Una trentina di associazioni e di comitati di cittadini hanno dato vita presso la Sala del Carroccio in Campidoglio ad un convegno di comunicazione rivolto alla città sui temi della metro C e più in generale sulla mobilità romana. La comunicazione è stata strutturata in dossier ed i relatori hanno illustrato dettagliatamente i motivi per cui il proseguimento della tratta T3 vda San Giovanni al Colosseo aprirebbe le porte ad un grave ed irreparabile danno sia per il sistema complessivo della mobilità sostenibile che avrebbe bisogno di altri tipi di opere infrastrutturali, sia per il dissestato bilancio comunale oramai sotto il tiro di costi incontrollabili per questa metropolitana che ancora deve affrontare il tratto più complesso e più imprevedibile del suo tragitto, quello dell’area archeologica che ha al suo centro il Colosseo e via dei Fori.
Il Convegno, significativamente titolato “Metro C-il pasticcio continua” ha dimostrato, dati alla mano, che gli obiettivi strategici che l’opera più costosa d’Italia si proponeva di raggiungere, sono tutti falliti o pesantemente ridimensionati mentre i costi sono aumentati e ragionevolmente continueranno ad aumentare.
E’ stato evidenziato negli interventi dei relatori che le risorse da destinare alla T3 sottrarrebbero altre risorse al recupero e al potenziamento delle reti esistenti nel trasporto pubblico locale ed alla costruzione di un sistema di mobilità a rete basata sull’intermodalità e sui nodi di scambio (ferrovie, linee di superficie, bus elettrici, stazioni, parcheggi di scambio gomma-rotaia nelle centralità di periferia). E l’area di riferimento non può essere quella delimitata dal GRA ma l’intera Area Vasta che comprende anche le centralità esterne della Provincia di Roma ed i grandi nodi regionali. Gli interventi dei relatori dei dossier hanno concluso che occorre creare “un progetto di mobilità integrata tenendo conto che il nuovo piano regolatore di Roma punta su molteplici centralità e quindi è un controsenso continuare a realizzare spezzoni di metropolitana indirizzate verso il centro. La metro C dopo San Giovanni deve cambiare direzione”.
E’ stata anche evidenziata, nel corso dell’esposizione dei dossier, il continuo aumento dei costi: da una previsione originaria di 4 miliardi e 260 milioni per realizzare 41 stazioni su 42,2 chilometri, si è raggiunta oggi la cifra di 5 miliardi per 25,5 chilometri con 30 stazioni.
Nel corso del dibattito sono intervenuti Athos De Luca (PD) e Marcello De Vito (M5Stelle) che hanno criticato sia il progetto che la contabilità dell’operazione tutta. In particolare De Luca ha ribadito che la metro deve fermarsi a San Giovanni per consentire di effettuare una nuova VIA sulla T3
Vittorio Sartogo dell’Associazione C.A.L.M.A. (Coordinamento Associazioni Lazio Mobilità Alternativa) ha presieduto il Convegno e, a conclusione, ha illustrato il documento finale di impegno che qui riportiamo integralmente.
I relatori dei vari dossier hanno illustrato con fatti e dati le ragioni della nostra richiesta di sospendere i lavori a San Giovanni e di aprire una nuova prospettiva per la mobilità romana.
Il documento commentato alla fine da Sartogo si conclude con queste parole: “…..anche la Metro C sarà almeno servita a chiudere una pagina brutta per la città ed aprirne una del tutto nuova”.
I dossier esposti successivamente hanno riguardato nell’ordine i seguenti punti:
DOSSIER 1 La mobilità dell’area metropolitana vasta romana: situazione attuale, l’inefficacia del procedere per tratti senza un programma integrato, senza un’ idea di sistema intermodale a rete, necessità prioritarie. (Relazione di Bernardo Rossi Doria dell’Associazione C.a.l.m.a.)
DOSSIER 2: La tratta centrale della metro C: il costo finanziario crescente, gli obiettivi mancati. (Relazione di Paolo Gelsomini dell’Associazione Progetto Celio).
DOSSIER 3: I finanziamenti abnormi per la metro C precludono interventi prioritari e necessari sui trasporti su ferro di superficie a cominciare dalle emergenze per i pendolari e dalle annunciate pedonalizzazioni del centro storico. (Relazione di Angelo Zola dell’Associazione C.a.l.m.a.).
DOSSIER 4: La devastazione ambientale e sociale. Paesaggio, beni storici, verde, vivibilità, economia. Valutazioni condivise di impatto sociale e ambientale, propedeutiche alla programmazione di opere infrastrutturali. (Relazioni di Cristiana Mancinelli Scotti, Manlio Lilli e Massimo Livadiotti di Salviamo il Paesaggio di Roma e Provincia).
Nel corso dei numerosi interventi, non completati per mancanza di tempo, sono intervenuti i consiglieri comunali Athos De Luca (PD) presidente della Commissione Ambiente di Roma Capitale e Marcello De Vito (M5Stelle) che hanno criticato sia il progetto che tutta la contabilità dell’operazione tutta. In particolare De Luca ha ribadito che la metro deve fermarsi a San Giovanni per consentire di effettuare una nuova Valutazione dell’Impatto Ambientale sulla tratta che prosegue dopo San Giovanni.
SINTESI E DOCUMENTI DEI DOSSIER
DOSSIER 1
La mobilità dell’area metropolitana vasta romana: situazione attuale, l’inefficacia del procedere per tratti senza un programma integrato, senza un’ idea di sistema intermodale a rete, necessità prioritarie. (Relazione di Bernardo Rossi Doria dell’Associazione C.a.l.m.a.)
Il dossier 1 presenta una decina di pannelli/dia per documentare quali programmi di intervento sulla mobilità sarebbero possibili e necessari ove si riuscisse a fermare lo spreco della prosecuzione della metro C oltre la stazione di S.Giovanni verso il Colosseo ed oltre.
Già nel 2010 C.a.l.m.a. aveva fatto delle proposte documentando l’esistenza di una antica ma obsoleta rete ferroviaria a sevizio del territorio che presenta ben 50 stazioni dismesse nel comune di Roma e 119 stazioni nella regione. Il ripristino e la rigenerazione di questa rete allora chiamata delle “cento stazioni” libererebbe flussi dalla convergenza verso il centro e consentirebbe la costruzione di una rete intermodale estesa allo spazio “vasto” della metropoli. L’idea di “ragnatela” originariamente pensata nel 2010 per regolare la mobilità nella ZTL del centro storico della città potrebbe dunque essere aggiornata e ammodernata elencando e descrivendo con maggiore chiarezza le diverse modalità e scambi offerti ai cittadini nel territorio: pedonali, ciclabili, TPL su ferro in superficie, su gomma, ecc. con relative interconnessioni con e tra le Metro esistenti.
DOSSIER 2
La tratta centrale della metro C: il costo finanziario crescente, gli obiettivi mancati.
(Relazione di Paolo Gelsomini dell’Associazione Progetto Celio).
Lo studio delle problematiche della mobilità a Roma in relazione all’urbanistica porta a fare alcune considerazioni. Il PRG del 2008 prevede una struttura urbana policentrica incardinata su nodi di scambio intermodali e con una rete di centralità di settore urbano (come Anagnina, Romanina, La Storta, Saxa Rubra) e di livello metropolitano (come Bufalotta, Ostiense, Pietralata, Lunghezza). Queste centralità per essere riqualificate e rigenerate con piani attuativi hanno bisogno di sistemi di infrastrutture locali e a maglia in tutto il territorio comunale ed extra-comunale. Debbono cioè essere collegate fra di loro.
Quindi Mobilità non vuol dire solo metropolitane, ma reti di trasporti intermodali (metro, bus, tram, navette, piste ciclabili) con dei nodi strategici di scambio (parcheggi) e di riqualificazione urbana e metropolitana (centralità del PRG).
Ma tutte le risorse della mobilità romana saranno assorbite per questa metro C, questa spada diretta verso il Colosseo (si dice nel 2020), verso piazza Venezia (2025?) o, per concludere il percorso fondamentale di 25,5 Km, verso Clodio-Mazzini (si può ipotizzare ottimisticamente il 2040?). La metro D evidentemente non vedrà la luce (stiamo appena al preliminare che per altro già costa) ed addio intersezione a piazza Venezia con la C; le stazioni del centro storico presentano tutte difficoltà archeologiche, idrogeologiche e statiche per gli edifici ed i monumenti; il nodo terminale di Tor di Quinto che dava senso all’opera è oramai una chimera. Allora, non sarà certo questa metro C a risolvere il grave problema della mobilità romana.
Noi non diciamo di fare il terminal a San Giovanni. Diciamo di non andare avanti sapendo che tutti gli obiettivi strategici sono falliti mentre i costi sono saliti e continueranno a salire. Apriamo un grande new deal sulla mobilità e pensiamo seriamente, con i tecnici, ad impiegare bene le risorse per cominciare a costruire a Roma una vera rete trasportistica con linee di tram, bus elettrici, nodi di scambio con parcheggi. Pensiamo anche alle linee ferroviarie regionali, all’anello ferroviario, alle linee di ferrovia e di tramvia che già abbiamo e che andrebbero solo riqualificate. Pensiamo ai tragitti dei pendolari, a zone non servite come la Cassia. Leggiamo, insieme ai tecnici, i flussi di passeggeri nelle ore di punta, e scopriremo che non vogliono arrivare al Colosseo (previsti 5000 passeggeri/ora di punta in direzione nord contro i 17.000 iniziali) ma si spostano lungo linee tangenziali (GRA, Sistema tangenziale intermedio ecc.).
Il percorso Pantano-San Giovanni è stato finanziato con 1818 milioni e la tratta T3 da San Giovanni al Colosseo con 792. Ma ci sono contenziosi su progetti di variante per il momento conclusi con l’accordo transattivo del 9 settembre scorso sulla base di 260 milioni netti. Il Cipe inoltre ha messo a disposizione ulteriori 300 milioni per portare la linea dal Colosseo a piazza Venezia, ma queste risorse sono subordinate alla messa in pre-esercizio del percorso Pantano-Centocelle entro il 15 dicembre.
Sul fronte delle stime, il costo desunto dal semplice progetto preliminare dal Colosseo a Clodio è pari a 769 milioni. Alla luce delle cifre già messe a disposizione, quest’ultima stima appare evidentemente bassa.
Dalla tabella della delibera CIPE del 2010 che finanziava la tratta T3 San Giovanni-Colosseo di 3,3 Km per complessivi 792 milioni, disaggregando all’interno della voce opere quella del costo del lavoro, e proiettando la cantierizzazione fino al 2020 risulta da calcoli effettuati che saranno impiegati circa 370 addetti per sette anni
DOSSIER 3
I finanziamenti abnormi per la metro C precludono interventi prioritari e necessari sui trasporti su ferro di superficie a cominciare dalle emergenze per i pendolari e dalle annunciate pedonalizzazioni del centro storico. (Relazione di Angelo Zola dell’Associazione C.a.l.m.a.)
Il costo iniziale previsto per l’intero percorso di 25,5 km della metro C da Pantano a Piazzale Clodio, con fermate in 30 stazioni, era di 3,35 miliardi di euro (FOTO 2). Attualmente le spese finora sostenute superano i 2,8 miliardi. Questa lievitazione dei prezzi a danno delle casse pubbliche è andata del tutto a favore delle imprese costruttrici attraverso un continuo cambio dei progetti che ha ritardato l’iter dei lavori, determinando l’aumento del costo dell’opera. Alla fine del mese del novembre scorso, la stampa (la Repubblica e il Corriere della Sera, innanzitutto) ha riportato che secondo il procuratore della Corte dei Conti regionale la responsabilità del fatto non è imputabile ai politici capitolini – il che non è sicuramente convincente sia in ragione del mancato controllo dell’operato di Roma metropolitane, sia della discutibile consegna alla stessa società dell’intera vicenda riguardante la metro C – bensì alla legislazione che regola appalti e contratti, ad un comportamento piuttosto torbido delle imprese e alla complicità di Roma metropolitane. La quale, appunto, è la società che segue la realizzazione dell’opera per conto del Comune. Lo stesso Procuratore aggiunge che sulla vicenda sono aperte tre inchieste, una delle quali riguarda l’individuazione delle varianti che hanno portato ritardi nel completamento dei lavori e i responsabili della loro attuazione.
Perciò, al vaglio della Procura ci sono le responsabilità sia dei dirigenti del consorzio di imprese costruttrici sia di Roma metropolitane: si tratta di fare chiarezza sui motivi del continuo aumento dei costi, sulla verifica del contenuto dei contratti di appalto e degli accordi intrapresi; occorre inoltre appurare se, e in che misura, c’è stato uno spreco di danaro pubblico e, nel caso, decidere quali debbano essere le penalizzazioni relative all’illecito. Anche in relazione a tutto ciò non si può trascurare il fatto che il tratto dal Colosseo a Piazza Venezia (700 metri) costa, ad oggi, in totale 375 milioni di euro finanziati dallo Stato e dal Comune, che ne dovrebbe impegnare 75. Ma con la stessa cifra si possono costruire più di 40 km di tramvia in superficie, con i quali avviare un’organica rete di trasporto su ferro, che permetterebbe di togliere migliaia di auto private dalla strada, di aumentare la velocità commerciale dei mezzi pubblici, di diminuire l’inquinamento imperante nella città, di ridurre gli incidenti stradali. In più, è da considerare che il finanziamento statale sarà erogato a condizione che entro il 15 dicembre 2013 entri in funzione il preesercizio, da parte dell’Atac, tra le stazioni di Pantano e di Centocelle, al cui costo deve provvedere il Comune (con il fondato dubbio che nel travagliato bilancio capitolino non compaia la relativa voce di spesa). Infine, il finanziamento dei 300 milioni di euro da parte dello Stato esaurisce quello complessivo destinato al trasporto pubblico locale, mandando in fumo interventi prioritari e urgenti, ad esempio, sui servizi per i pendolari e sulla pedonalizzazione del Centro storico, che in ogni caso vanno realizzati.
Sembra logico e conseguente a tale stato di fatto un ripensamento dell’utilità di proseguire nella costruzione, non solo del tratto in questione Colosseo-Piazza Venezia, ma anche del prolungamento dell’opera da San Giovanni al Colosseo. A tale ripensamento dovrebbe affiancarsi inoltre la valutazione di una soluzione alternativa, basata su una maglia di linee di tram in superficie e dei suoi collegamenti con tutti i vettori del trasporto cittadino al fine di un rilancio di un servizio collettivo efficiente ed economicamente vantaggioso per l’utenza e per le casse dello Stato e del Comune. Al riguardo è ben poca cosa la notizia apparsa sulla stampa del 21 novembre 2013 dell’interesse del Sindaco Marino a realizzare, nel breve periodo, tre linee tramviarie: la prima – prevista per la fine del 2014 – a partire da P.zza dei Cinquecento fino alla Stazione di Trastevere (tram 1), per lunghi tratti è già in essere attraverso i binari esistenti a Viale Manzoni, Via Labicana, Colosseo, Via Marmorata e Viale Trastevere; la seconda, che riguarda il ripristino della linea 3 tutta su rotaia entro l’estate 2014, richiede modesti lavori di sistemazione delle banchine e dei binari ed è stata già in esercizio in tempi relativamente recenti; la terza, che dovrebbe collegare Piazza Risorgimento a Piazza Mazzini (forse lungo Viale Angelico), è tutta da definire in termini di finanziamento, di percorso e di fermate. Ma una rete che deve essere organica e integrata non può prescindere, tanto per cominciare, dalla tangenziale (FOTO 3) Saxa Rubra-Laurentina (già discussa anni fa in un Consiglio comunale che approvò di dare vita al progetto, con uno studio di fattibilità) e dal collegamento tramviario sul Lungotevere (FOTO 4) tra le Metro A e B da Ostiense fino a Ponte Milvio. E, soprattutto, non può prescindere da una discussione aperta alla partecipazione dei cittadini e delle loro organizzazioni sul modello e sulla pianificazione della mobilità da perseguire, non limitandosi ai confini del Comune, ma a livello di area vasta. Su tale questione le associazioni si incontrino, agli inizi del prossimo anno, con l’obiettivo di convocare insieme un’apposita conferenza metropolitana, in quanto, tra l’altro, è prioritariamente necessario razionalizzare il flusso di centinaia di migliaia di provenienze dall’hinterland romano e dalle province laziali verso la Capitale (FOTO 5), più del 70% delle quali avvengono su auto private. Così come è ormai improcrastinabile eliminare la concorrenza che si protrae da decine di anni tra il servizio delle ferrovie regionali e quello su gomma gestito da Cotral sugli stessi itinerari, come richiedono, insieme all’aumento delle corse e ad un rafforzamento sostanziale del servizio – non ottenendo alcuna risposta – i lavoratori pendolari.
Senza dimenticare che solo a livello di area vasta si può e si deve affrontare la vicenda delle enormi e inutili spese necessarie alla costruzione dell’autostrada Roma-Latina. Nel contempo, dare una soluzione alle questioni esposte, implica l’avvio a concrete occasioni di occupazione per i lavoratori edili, ferrotranvieri e metalmeccanici: i primi, impiegati nei lavori sulle strade ferrate a sostituire e incrementare il numero di quanti vengono impiegati nei lavori della Metro C; i secondi, occupati alla guida e alla manutenzione dei mezzi su rotaia; i terzi, interessati allo sviluppo della rete tramviaria e delle tecnologie conseguenti alla modernizzazione e velocizzazione del trasporto locale.
DOSSIER 4
(Relazioni di Manlio Lilli e di Massimo Livadiotti di “Salviamo il Paesaggio” di Roma e Provincia).
La nuova metropolitana e il Patrimonio archeologico.
La realizzazione di una infrastruttura come la galleria della Metro e le opere accessorie, con gli stessi cantieri impiantati in corrispondenza del suo percorso, credo, necessiti, considerato il particolare contesto urbano, di un ragionamento sulle strutture antiche esistenti.
La Soprintendenza ha predisposto indagini preliminari in coincidenza dei diversi cantieri. E’ noto. Proprio da una di queste indagini di archeologia preventiva sono riemersi i resti del cosiddetto ateneo di Adriano in Piazza Madonna di Loreto. Credo che le stesse procedure si siano utilizzate anche per l’area di via della Ferratella/Piazzale Ipponio. Area di grande rilevanza. Ricordo, brevemente, come in occasione degli scavi per la realizzazione di un parcheggio interrato a piazzale Ipponio siano stati rinvenuti resti di una villa. Ricordo, ancora, come proprio in occasione delle indagini preliminari per la realizzazione della stazione S. Giovanni, saggi in via Altamura, in Largo Brindisi e soprattutto in coincidenza del Corpo 3 della stazione, hanno permesso di ricostruire la morfoidrografia dell’area, mutata solo con la costruzione delle mura Aureliane, e il suo popolamento. Area per la quale utili informazioni in precedenza erano fornite solo dalla cartografia storica. Penso alla carta di Bufalini del 1551, in modo particolare. Sappiamo che l’area era contraddistinta dalla presenza di numerosi corsi d’acqua che finivano per confluire nel corso d’acqua più importante, la cd. Marrana. All’interno di una sequenza stratigrafica ininterrotta dall’età contemporanea a quella antica, si segnalano i dati relativi all’arco cronologico compreso tra l’età tardo-repubblicana e quella primo imperiale individuati a partire da circa 17 m dal p.d.c. Resti in opera reticolata e in opera quadrata e canalette, con funzione idraulica e interpoderale, soprattutto i resti lignei di pomacee sembrerebbero indiziare la destinazione a frutteto dell’area. A questa stessa funzione sembrerebbero rimandare le trincee agricole che in alcuni casi conservavano noccioli di pesca. Insomma ad una esigenza preliminare la Soprintendenza ha risposto nel passato e non dubito a credere lo farà anche ora, con indagini preventive.
Non faccio cenno al problema del radicale mutamento nel paesaggio, in buona parte già avvenuto, certamente in coincidenza del cantiere di via Sannio e di quello in via dei Fori Imperiali. Problema reale ma che volutamente non tratto per concentrarmi su altri due aspetti.
Prima questione. I problemi per così dire di accessibilità che alcuni cantieri hanno provocato e che per molto tempo continueranno a provocare. Mi riferisco naturalmente all’accessibilità di alcuni monumenti o parti di essi. Mi sembra di poter dire che così come il cantiere di via Sannio impedirà la visita a porta Asinaria, allo stesso modo, quello lungo via dei Fori imperiali escluderà alle visite, parti della Basilica di Massenzio. Capisco bene che la realizzazione di un’opera così impegnativa non possa non comportare dei “disagi”. Ma credo che non permettere la visita, peraltro per lungo tempo, a un altro Monumento non sia questione da sottovalutare, da derubricare a marginale.
Seconda questione. Le emergenze connesse direttamente o indirettamente ai Monumenti. Quelle legate per così dire ai “traumi” da stress ai quali sono sottoposti certamente fin da ora. Nelle fasi in cui, dopo l’impianto dei cantieri, si è provveduto all’inizio dei lavori, utilizzando naturalmente ogni tipo di mezzi e strumenti. Brevemente ricordo l’esistenza delle mura Aureliane ad immediato contatto del cantiere di via Sannio. Tratto che non è stato interessato da alcun restauro nel passato anche recente e che per la stessa struttura delle murature non potrà certo beneficiare di queste indagini. Le stesse preoccupazioni poi temo vi siano anche per il cantiere in piazza Celimontana, in coincidenza del giardino attrezzato. In particolare qualche apprensione esiste per un tratto delle sostruzione del tempio di Claudio, lungo via Claudia, dal momento che in corrispondenza dell’uscita del cantiere sul lato opposto della strada c’è un’abside della struttura antica che nel passato, proprio a causa della suo stato di conservazione precario è stato “contraffortato” con una struttura metallica. Queste criticità, evidentemente, si amplificano, nel cantiere lungo via dei Fori imperiali, nell’area dell’auspicato parco archeologico più grande del mondo. Parco archeologico che, è stato detto più volte, restituirebbe alla fruizione collettiva un bene unico, in tal modo salvaguardato anche dagli agenti corrosivi sprigionati dai mezzi di passaggio lungo via dei Fori imperiali. Ora mi chiedo, in attesa che si realizzi il Parco è davvero necessario sottoporre certamente i monumenti limitrofi a via dei Fori imperiali a sollecitazioni così importanti. Monumenti che pur essendo l’esito di competenze altissime, esempi delle straordinarie capacità realizzative romane, potrebbero soffrirne. Ricordo che la Basilica di Massenzio è fondata su un terreno pessimo dal punto della tenuta. Basilica di Massenzio peraltro già fiaccata in coincidenza di via in Miranda dallo scavo del foro di Nerva che ne ha scoperto parte delle fondazioni e reso necessaria una massiccia contraffortatura con tiranti in acciaio ben visibili su due lati. Un simile ragionamento riguarda così il tempio di Venere e Roma. A questo punto mi chiedo, anzi chiedo alla Soprintendenza che siano resi noti nel dettaglio gli studi in materia che sono certo saranno stati fatti.
La realizzazione di un’infrastruttura non può certo costituire un potenziale pericolo per la conservazione di strutture antiche di così grande rilevanza. Le preoccupazioni avanzate sono dunque un invito alle Soprintendenze competenti a fugare ogni dubbio. A rassicurarci sul fatto che la sorte di nessun monumento sarà la medesima delle essenze che in molti casi le circondavano. D’altra parte avrebbe davvero senso rischiare di contribuire al deterioramento di uno solo dei monumenti di Roma per un’opera che dovrebbe almeno in parte essere funzionale alla loro fruizione?
Concludo. Le indagini archeologiche, i loro risultati, la salvaguardia di quel che si è scoperto, ancora di più la salvaguardia dei grandi monumenti in vista, come la loro fruizione, sono tutti insieme temi di rilievo. Di grande rilievo. Elementi da valutare insieme a quelli che sono emersi fin’ora per altre questioni, oltre a quelli che emergeranno. Insomma credo che l’archeologia sia parte di un tutto. Spesso in Italia, a Roma, soprattutto, quando un’opera subisce dei ritardi oppure non viene realizzata, si scarica ogni colpa sulle “antichità”, come ancora vengono chiamate. Nel caso, almeno questa volta, l’archeologia non merita di divenire il velo sotto il quale ogni cosa si nasconde.
Manlio Lilli
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Cominciamo col dire che ad oggi nella cantierizzazione del tratto della T3 i danni più ingenti e dolorosi li ha subiti il patrimonio ambientale…..in pratica la parte viva di quel paesaggio culturale di cui Roma è ricca! Quando parlo di parte viva mi riferisco ad esempio ai meravigliosi filari di cipressi e pini lungo l’Appia Antica oppure…. alla meravigliosa cornice di pini che svetta attorno al Circo Massimo, al Palatino e a quello che rimane degli orti farnesiani o appunto come in questo caso alle Mura Aureliane punteggiate qua e la da splendidi alberi centenari!
C’è grande rammarico per questo da parte dei cittadini e residenti…..specie per la vicenda di via Sannio o piazzale Ipponio….quello che si era chiesto e si chiede ancora è la Discontinuità col passato. In campagna elettorale abbiamo sentito tante volte dire questa parola seguita a ruota dal ‘mantra’ Beni Comuni!
Cito a proposito un estratto dal nuovo PRG (approvato sotto la giunta Veltroni pochi anni fa…) L’ambito è caratterizzato dall’area di pomerio delle Mura Aureliane tra Porta S. Giovanni, Porta Asinaria e Porta Metronia, attualmente occupata dal mercato di Via Sannio e da impianti sportivi di diversa dimensione. La particolare posizione di contatto con le Mura e di apertura visiva verso la Basilica di San Giovanni in Laterano suggerisce la valorizzazione dell’intera area per la fruizione degli spazi aperti.
Probabilmente pochi sanno cos’è il POMERIO. Era l’area consacrata esclusivamente agli dei protettori della città che proteggevano l’area vicina alle mura dove non si poteva costruire, non si poteva abitare, non si poteva coltivare, non si poteva combattere. Magicamente il boschetto di querce centenarie che questa giunta ha permesso di abbattere a via Sannio stava li a ospitare ancora quel che restava del Genius Loci..
C’è da aggiungere poi che gli alberi in questione furono piantati da un sindaco che è stato una pietra miliare per Roma…un certo Nathan ai primi del 900…..Ebbene tutto questo è stato cancellato per non ledere interessi privati come quelli degli operatori del mercato di via Sannio, un circolo del Tennis o la famosa Romulea!
Legge 10 del 2013
C’è poi grande rammarico anche per il fatto che da poco in Italia si è fatta una legge (perfettibile e migliorabile come molte….) la numero 10 del 2013 per la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo! E proprio all’articolo 7 che dice : ‘si danno disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale’!!!
Tutto disatteso e inapplicato…….. come d’altronde molte altre buone leggi (basti pensare alle leggi sul suolo o sui vincoli idrogeologici…) di questo paese!
Unesco
C’è da dire che ad oggi i tentativi per chiedere una pausa di riflessione su un progetto nato male e proseguito peggio (parole della Corte dei Conti…) sono stati in buona parte inascoltati….anzi dopo i danni ambientali si profilano quelli monumentali….ed è per questo che l’associazione Respiro Verde Legalberi ad esempio poche settimane fa ha consegnato alla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco una lettera in cui si chiede al Comitato per il Patrimonio Mondiale di attivarsi per richiedere assicurazioni ma soprattutto un sollecito alle autorità italiane per una supervisione dello stato di conservazione del sito culturale N.91 Binazionale Centro Storico di Roma e in questo caso avere dati esaustivi sulle problematiche esistenti legate ai lavori della tratta T3 informando la cittadinanza e soprattutto l’opinione pubblica internazionale sulla tutela e fruibilità del patrimonio paesaggistico e archeologico! In sintesi l’Italia deve quindi informare in merito ai lavori della metro C (cito alla lettera) ‘ delle nuove costruzioni che potrebbero modificare il valore universale del bene’.
Volevamo solo ricordare una notizia di qualche mese fa e che la città di Dresda (chiamata la Firenze di Germania) per molto meno è stata depennata dai siti Patrimonio dell’Unesco …..la costruzione di un ponte veicolare!
Comunque il testo integrale della lettera all’Unesco per chi volesse è scaricabile dal sito WWW.SALVIAMO IL PAESAGGIO.ROMA.IT
Valore o compensazione
Tornando sul discorso degli ormai tristemente famosi abbattimenti degli alberi…… in sede delle due commissioni (ambiente e trasporti) durante le audizioni abbiamo più volte sentito parlare di compensazioni come anche di espianti…..e a tal proposito vorrei citare poche righe da un libro molto interessante uscito qualche anno fa dal titolo “ QUANTO VALGO” Il valore economico degli alberi ornamentali. di Mirco Tugnoli –dottore in scienze naturali-
Alla pagina 7 cito “ Circa un anno fa lessi sul Times che nel centralissimo quartiere di Mayfair,a Londra,un platano era stato quotato circa 750.000 sterline!
Con i tassi di cambio allora in uso l’articolo si sarebbe potuto intitolare ‘L’albero da 1 milione di euro’
La valutazione economica era stata eseguita sulla base di una metodologia chiamata C.A.V.A.T Capital Asset Value for Amenity Trees e che prendeva in considerazione le dimensioni, lo stato di salute, l’importanza storica e paesaggistica dell’albero, nonché la densità di popolazione del quartiere in cui la pianta viveva”.
Questo solo per anticipare che qualora la tratta T3 dovesse essere ripensata o archiviata e visto che a proposito degli abbattimenti fatti le soprintendenze hanno solo espresso pareri indicativi….gli uffici e i tecnici che invece hanno di fatto autorizzato le operazioni per gli abbattimenti dovranno rispondere e ci auspichiamo risarcire economicamente i cittadini e i residenti sui danni arrecati a quel patrimonio paesaggistico con la scomparsa inutile di decine di alberi di pregio. Sempre l’associazione Respiro Verde Legalberi si occuperà di fare una stima generale sul valore totale di tutti gli alberi tagliati secondo il valore economico e quindi anche ornamentale e se appunto ripensiamo alla grandezza e alla bellezza di questi alberi possiamo immaginare che la cifra sarà molto alta!! Concludo infine per dire che sia gli espianti come la compensazione di 4 nuovi alberi per ogni pianta abbattuta alla luce di tutto questo siano da ritenere assolutamente inaccettabili!
Massimo Livadiotti
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METRO C il pasticcio continua
DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL CONVEGNO SVOLTOSI IL 9 DICEMBRE 2013
Campidoglio Sala del Carroccio
Impegno per una mobilità alternativa ed efficace dell’area metropolitana romana,
frutto di un processo partecipativo aperto di decisione pubblica
- La documentazione presentata testimonia l’insostenibilità finanziaria della prosecuzione della Metro C oltre San Giovanni sotto un duplice profilo: quello dei costi esorbitanti dell’opera, senza paragoni con quelli in uso sia in Italia che in Europa; quello della incongruità tra i costi sostenuti, e che si vanno sostenendo, e i benefici attesi. Con le stesse cifre sarebbe infatti possibile dotare la città e il suo hinterland di una rete su ferro in superficie adeguata alle trasformazioni che si sono verificate in questi anni. Tra le cause che hanno determinato l’attuale situazione vi è certamente l’assenza di chiarezza nelle informazioni, la negazione del confronto con i cittadini nonché le indecisioni con le quali si è mossa fin dall’inizio la progettazione, ritornando spesso su se stessa con modiche rilevanti.
- Lo stop alla realizzazione della tratta T3 San Giovanni – Colosseo della Metro C è volta a impedire che resti aperta e si aggravi una voragine mangiasoldi incontrollabile, ancor più in tempi di crisi economica e di grave deficit dei bilanci comunale e regionale. Non soltanto le reiterate avvertenze e prescrizioni della Corte dei Conti non sono state finora seguite ma anche le richieste del Sindaco di Roma sulla certezza dei costi e dei tempi non hanno ricevuto risposte chiare e definitive. La certezza dei costi e dei tempi verrebbe ancora meno qualora l’infrastruttura si cimentasse davvero con l’attraversamento della delicatissima area archeologica del centro di Roma. Inoltre, il peso sui bilanci pubblici di un finanziamento così rilevante quale quello già conteggiato, cui si aggiungerebbero i costi dell’attraversamento del centro storico, anch’essi stellari, preclude la possibilità di programmare altri interventi riguardanti il potenziamento, il miglioramento e la qualificazione delle infrastrutture attuali e la loro connessione in un sistema intermodale unitario.
- D’altra parte non vi è solo il pericolosissimo aspetto finanziario, ma il fatto sostanziale della perdita degli obiettivi trasportistici che ne avevano motivato la progettazione. L’attraversamento del centro storico avverrebbe senza stazioni, con compromissione dell’area fragilissima tra San Giovanni e Piazza Venezia, con attestamento in quest’ultima dove certo sarà assai difficile organizzare una stazione terminale proporzionata al flusso dei viaggiatori. Flusso che, peraltro, risulterebbe essere assai inferiore alle ipotesi di progetto, con la conseguenza certa di porre la Metro C in un cronico disavanzo. Nel frattempo i cantieri di durata imprecisata hanno già lacerato l’ordito urbano e socio economico e inferto ferite gravi nel paesaggio.
- In un clima di continuo aggravarsi dell’inquinamento atmosferico dovuto fondamentalmente al traffico automobilistico ed all’invasiva presenza di pullman turistici, viene proposto il palliativo di alcune domeniche a piedi ed il ripristino di vecchie linee tramviarie, nonché timidissime iniziative di estensione di alcune aree pedonali e qualche promessa di costruzione di più diffuse piste ciclabili. Confidiamo che sia solo l’avvio di una politica di reale cambiamento. Mentre già da troppo tempo le aziende di pubblico trasporto versano in uno stato comatoso per la corruzione, il nepotismo, l’incapacità degli amministratori. Così la situazione delle linee di superficie e sotterranee, nonché delle ferrovie suburbane, sia per i tempi di attesa, che per le condizioni di viaggio è diventata veramente di estrema gravità.
- La decisione dell’interruzione a San Giovanni sarebbe un atto di coraggio che aprirebbe possibilità serie di cambiare pratiche ormai insostenibili verso un modo nuovo, chiaro e motivato, di affrontare i problemi annosi e insopportabili della mobilità romana e di area vasta. Infatti porrebbe fine a un sistema di interessi privati che lucrano sull’incapacità della politica di prendere atto che quel progetto è ormai impraticabile e che, con il ricatto osceno della disoccupazione degli addetti, dolorosissima per i lavoratori e per la città, cercano di rovesciare le proprie responsabilità. Sotto questo profilo, anzi, la trasparenza finora negata e gli accertamenti contabili e giudiziari in corso pongono l’indifferibile e immediata scelta della sostituzione dell’attuale management. Ci vuole coraggio, perché concludere il tratto fino a San Giovanni significa dar vita a un complesso programma urbano di riordino del tessuto interessato dalla Metro C, anche dal punto di vista sociale e del paesaggio, e contestualmente a un piano di intermodalità che connetta quella tratta al sistema generale della mobilità, facendo così in modo che l’opera non resti la solita “incompiuta” ma diventi l’occasione per quell’innovazione tecnologica, trasportistica, di rigenerazione urbana, di tutela e ripristino dei valori dell’abitare di cui tanto si parla senza mai nulla fare. Un’azione quale quella prospettata richiede infatti la collaborazione interdipendente di più discipline e settori; cosa non semplice di fronte alla parcellizzazione delle competenze, tant’è che finora l’unico povero elemento di connessione resta la burocratica e chiusa Conferenza dei servizi. Mentre è vitale l’indicazione di obiettivi fondati su analisi serie e chiare, ottenuta con la partecipazione attiva degli abitanti e dei lavoratori. Ovvero mediante l’incontro e il colloquio tra differenti conoscenze ed esperienze
- Più in generale, l’alt a San Giovanni, con il recupero di una migliore capacità di spesa e con la necessità di rimarginare bene la ferita alla città, richiede che il cambiamento accennato si consolidi in una pratica nuova nelle modalità delle decisioni pubbliche . Si tratta di adottare come metodo normale di decisone la partecipazione delle popolazioni, con l’intento di produrre una positiva dialettica relazionale tra esperienze e conoscenze territoriali specifiche e saperi amministrativi e tecnico- scientifici, con il fine di giungere a buone basi di condivisione sulle opere infrastrutturali, e non solo. Questa è probabilmente la discontinuità più forte con i sistemi di accentramento delle decisioni e con i conseguenti effetti di opacità delle stesse, brodo di cultura di comportamenti non accettabili dall’opinione pubblica. Con il termine decisione si intendono non solo le scelte finali ma tutto il processo che vi conduce e quello che segue alla loro formalizzazione. Dunque dall’analisi del problema alla definizione delle priorità alle scelte e alla loro gestione.
- Un connesso esempio dell’urgenza del cambiamento può essere dato dalle aziende di trasporto pubblico, in grave deficit per il malgoverno specifico della singola azienda e perché soprattutto quelle di superficie debbono competere su un terreno nel quale le priorità sono state affidate al trasporto su gomma. L’alternativa al deficit sembra essere la privatizzazione, in contrasto con il voto del popolo italiano di mantenere in mano pubblica tali attività, come è risultato dai referendum del 2011. Un’alternativa che nasce dal luogo comune secondo il quale l’iniziativa imprenditoriale privata, mossa dal profitto, risulterebbe più efficiente di quella pubblica, non ostante molte linee siano state pubblicizzate proprio perché a suo tempo le stesse aziende in mano privata non davano un servizio socialmente efficace. L’innovazione dunque non può essere altro che sperimentare una nuova forma di proprietà e di gestione e la nostra Costituzione la indica quando afferma che attività economiche di rilevante contenuto sociale possono essere affidate a comunità di lavoratori e di utenti.
- Un punto decisivo riguarda l’occupazione, messa a repentaglio dalla crisi economica e sottoposta ad ulteriori tensioni dalle politiche di restrizione del credito erogato dalle banche e dalla situazione grave delle finanze pubbliche che hanno ridotto investimenti e appalti. Vale per l’edilizia, per il settore metalmeccanico con la crisi dell’auto, per i servizi di trasporto pubblico che hanno difficoltà a rinnovare i propri mezzi di produzione. Vengono al pettine anche scelte errate del recente passato come l’esternalizzazione di molte attività, che ha rappresentato la principale risposta alla crisi del settore del trasporto pubblico, invece di puntare alla valorizzazione e innalzamento delle qualità professionali degli addetti. Determinando così l’abbandono o la marginalità della ricerca di soluzioni innovative. Occorre dunque procedere alla formazione dei lavoratori posti in cassa integrazione o privati del lavoro o precari in stretto collegamento con un Piano di promozione dell’ammodernamento e sviluppo delle linee di trasporto regionali e urbane nonché di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente. Un Piano in cui la componente fondamentale sia l’innovazione sostenibile nelle costruzioni e nelle infrastrutture, nei mezzi utilizzati e nelle modalità del loro utilizzo. Un Piano che sia parte essenziale sia del programma di mobilità urbana e regionale, che del vincolo dell’azzeramento del consumo di suolo. A tal fine l’impegno è di incontrare sindacati e lavoratori per dare vita a un tavolo di costruzione, nel rispetto dell’autonomia sindacale, delle alternative possibili e delle concrete vie per praticarle.
- Per tutti questi motivi è urgente aprire il dibattito pubblico sulla sistemazione del tratto di Metro C fino a San Giovanni e affrontare il tema più complessivo della mobilità del centro storico e dell’area vasta romana, considerando la loro specificità e insieme la loro interdipendenza. Una Conferenza di area vasta che metta capo al Piano integrato della mobilità metropolitana e della logistica deve prendere l’avvio al più presto. Ormai non serve un semplice aggiornamento del vecchio Piano Urbano del Traffico, troppi sono stati i cambiamenti e molte le possibili soluzioni affacciatesi in questi anni. Ed è cresciuta la capacità di associazioni, comitati, cittadini, organizzazioni sociali e di lavoratori di riflettere sulla condizione urbana e del trasporto sia dei passeggeri che delle merci e di definire proposte e obiettivi. Un patrimonio di idee e progetti che vuole confrontarsi sul destino della città e sui rapporti che legano l’area urbana alla cintura verde e allo sprawl diffusosi nel territorio regionale. Il processo di costruzione del Piano integrato della mobilità e della logistica deve fondarsi sul coinvolgimento ampio di istituzioni, centri scientifici, organizzazioni di lavoratori, associazioni e abitanti ed avere lo scopo, scegliendo priorità e punti critici indifferibili, di indicare obiettivi, strumenti, forme di gestione, modalità di controllo e capacità di interventi in corso d’opera per evitare i disastri che la costruzione della Metro C ha posto in rilievo
- Sembra essere in via di approvazione, dopo decenni di discussione, la riforma istituzionale consistente nella nascita delle Città Metropolitane, fondate sulla soppressione delle Provincie e su un Consiglio metropolitano che raccolga nella Regione i Sindaci delle città maggiori e i rappresentanti delle Unioni comunali. Nel caso di Roma ciò dovrebbe logicamente comportare il superamento di Roma Capitale e la trasformazione dei Municipi in Comuni con la possibilità di avere i propri rappresentanti nel Consiglio metropolitano. Forse non sarà così perché non è neppure certo che contestualmente vi sia l’abolizione della Provincia e tutto fa intravvedere un ulteriore garbuglio istituzionale. In ogni caso le modalità sinteticamente indicate per costruire la Conferenza di area vasta per la mobilità e la logistica possono utilmente servire a sperimentare e modellare rapporti tra Comuni, Area Metropolitana e territorio che condensino un’esperienza positiva e costruttiva per la medesima Area Metropolitana. L’intervento sulla mobilità di area vasta richiede ovviamente l’adozione di una strumentazione particolare, senza dimenticare tuttavia che si tratta di una nervatura essenziale della vita delle comunità e delle singole persone. Perciò è naturale che si confrontino esigenze differenti essendo funzione e compito strategico dell’Area Metropolitana il riuscire a comporle in un sistema e in iniziative efficaci, tanto più valide quanto più quelle esigenze avranno potuto esprimersi. In questo senso la Conferenza di area vasta potrebbe divenire un valido momento anticipatore.
- Se così andrà, ed opereremo affinché così vada, anche la Metro C sarà almeno servita a chiudere una pagina brutta per la città ed aprirne una del tutto nuova.
Le Associazioni e i Comitati presenti in Campidoglio
Roma, 9 dicembre 2013
RASSEGNA STAMPAROMA TODAY Metro C, comitati uniti contro il progetto: “Stop a San Giovanni. Al suo posto il tram” Lunedì in Campidoglio decine di associazioni e comitati hanno tenuto un convegno dal titolo “Metro C. Il pasticcio continua”. Obiettivo: “Aprire una discussione pubblica sulla mobilità” DI Ylenia Sina10 dicembre 2013 http://www.romatoday.it/cronaca/metro-c-comitati-associazioni-stop-san-giovanni.html
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