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Una delle figure immancabili in ogni organizzazione o istituzione africana è il responsabile del protocollo. Si tratta in genere dell’uomo tuttofare, che conosce poliziotti e doganieri e che olia gli ingranaggi dell’aeroporto per riuscire a fare entrare e uscire velocemente le persone sotto la sua tutela.
Il mio responsabile del protocollo mi viene a prendere in albergo di Kinshasa quattro ore prima del mio volo. Il check in è già fatto e l’aeroporto è a venti chilometri. Non capisco tanta fretta, ma obbedisco.
La ragione mi sarà chiara di lì a poco, quando la nostra macchina sarà inghiottina dalla madre di tutti gli ingorghi. Sull’enorme viale in stile sovietico che porta all’aeroporto si è ammassata una quantità incredibile di macchine, camion, bus e mezzi di ogni tipo. Ci sono dei restringimenti per lavori in corso e si è probabilmente svolta la tipica dinamica delle strade di Kinshasa: macchina che si blocca in mezzo alla strada, altre macchine che passano a destra e sinistra, ulteriori rallentamenti, macchine che invadono la corsia opposta bloccando il traffico nell’altro senso, fino a che tutti si bloccano senza potersi muovere di un millimetro.
Mentre il tramonto lascia spazio ad un buio intenso e centinaia di persone camminano in mezzo alle macchine bloccate, scrivo e-mail ascoltando la storia della vita del responsabile del protocollo. Ha sei figli, di cui tre prima del matrimonio (tu sais, je les ai faits durant me études). Mi dice che se venisse in Italia cercherebbe moglie, perché la sua è morta. Con sei figli a carico non è molto contento e aggiunge: senza donna e senza figli va bene, ma senza donna e con i figli è un disastro. La vita, come gli ingorghi, vanno presi con filosofia.
L’attesa si fa senza speranza e le lancette girano. Per evitare di perdere l’aereo decidiamo di cercare una moto per andare all’aeroporto. Lui con il mio trolley ed io con la borsa del computer, iniziamo a zigzagare in mezzo alle macchine ferme, in una nuvola di gas di scarico e polvere. Chiaramente il muzungu che cammina invece di stare seduto in macchina attira grande attenzione e ilarità. Un ragazzo mi si mette alle calcagna e mi fa un lungo discorso in lingala, altri si limitano a sorridere.
Quando troviamo una moto, saliamo in tre: il guidatore davanti, io in mezzo e il responsabile del protocollo dietro con il trolley sottobraccio. Il pilota è esperto di zigzag in mezzo alle macchine e ai pedoni. Deve avere degli occhiali naturali perché riesce a vedere al buio, in mezzo alla polvere e guidando a velocità supersonica. In certe occasioni meglio non pensare a niente e lasciarsi trasportare nel buio tropicale.
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