Campionato del mondo 1970. Si gioca in Messico. Umiliata dalla sconfitta contro la Corea del Nord nei mondiali inglesi di quattro anni prima la nazionale italiana si presenta all’ultimo atto della coppa Rimet forte di tanti campioni, ma come al solito gravata dal consueto carico di polemiche. Ferruccio Valcareggi, tecnico azzurro da alcuni considerato poco “creativo” dal punto di vista tattico, ha comunque guidato l’Italia alla vittoria durante i fortunosi europei del 1968, giocati in casa, rompendo un digiuno di vittorie in campo internazionale che durava da 30 anni (mondiali del 1938). Un’eternità. Già a Inghilterra ’66 l’Italia si presenta con notevoli ambizioni, ma l’incredibile sconfitta contro i “ridolini” coreani si rivela traumatica per tutto il movimento. La vittoria europea rappresenta quindi un parziale riscatto, in attesa della conferma nel ben più prestigioso palcoscenico mondiale del ’70.
La nazionale che si presentava ai nastri di partenza in Messico è un mix di forza fisica e classe: accanto ai gladiatori Riva, Boninsegna, Domenghini, Bertini, Burgnich, Facchetti e Rosato giostrano alcuni piedi buoni come De Sisti, Cera, Mazzola e soprattutto Rivera.
Le consuete polemiche complicano le cose, con il clan nerazzurro contrapposto al gruppetto di milanisti: praticamente gli interisti contro Rivera. Non contribuisce di certo a stemperare la tensione la cacciata dal ritiro messicano del fedele scudiero Lodetti, uomo di fatica con piedi tutt’altro che modesti: mandato a casa con ignominia, a favore di Boninsegna e Prati dopo l’infortunio di Anastasi, lascia ancora più isolato un Rivera che comunque può almeno contare sull’appoggio (in senso tecnico) del bomber Riva.
E’ tutta qui l’origine della famosa staffetta Mazzola-Rivera: i due non si odiano, ma rappresentano il normale, prevedibile, sollazzo per un Paese da sempre abituato a dividersi in guelfi e ghibellini. Mazzola fornisce più corsa e garanzie in fase di copertura; Rivera è un regista capace di impostare l’azione, rifinirla e andare in gol: è probabilmente il miglior giocatore italiano del momento, l’uomo giusto per innescare due formidabili attaccanti come Boninsegna e Riva (entrambi mancini e portati naturalmente a pestarsi i piedi già ai tempi del Cagliari).
La “staffetta” secondo Intrepido
Un ct brasiliano, tedesco o addirittura inglese avrebbe probabilmente schierato nello stesso undici di partenza sia Mazzola che Rivera, ma Valcareggi, vittima della mentalità difensiva che da sempre caratterizza il calcio italiano e dell’influenza del clan interista, opta per la famosa “staffetta”: Sandro per il primo tempo, Gianni per il secondo.
Il girone eliminatorio, da sempre problematico per la nostra nazionale ai mondiali, non fa di certo sognare. L’Italia passa il turno grazie all’unico gol segnato in tre partite: quello di Domenghini contro la Svezia (gli altri incontri con Israele e Uruguay finiscono 0-0). Il gioco dell’Italia è asfittico: in altura, dove le lunghe e ripetute rincorse sono devastanti per il fisico dei giocatori, si pensa di poter innescare la coppia Boninsegna-Riva con i lanci dalle retrovie.
Ai quarti l’Italia deve vedersela con il Messico, la squadra di casa, una buona formazione che pratica la zona e un calcio tecnico basato sul possesso palla: per Riva e compagni le cose sembrano mettersi male, con i padroni di casa subito in vantaggio (gol del numero 8 Gonzales dopo pochi minuti di gioco). Ci pensa ancora Domenghini a sistemare le cose, al venticinquesimo, con un tiro “cieco e sciamannato” (copyright di Gianni Brera) che induce lo stopper messicano Pena all’autogol. Nel secondo tempo si scatena la coppia Rivera-Riva (la mente e il braccio): doppietta del bomber del Cagliari, che finalmente si sblocca, e gol del milanista al settantesimo. Un perentorio 4-1 per l’Italia e soprattutto la conquista della semifinale dopo moltissimi anni. Si giocherà a Guadalajara, contro la Germania: clima più caldo di Toluca, ma anche mille metri in meno sul livello del mare. Il pubblico messicano reagisce all’eliminazione della propria nazionale tirando oggetti in campo: tiferà sempre contro l’Italia.
Clicca per vedere lo slideshow.Il famoso match contro la Germania Ovest ha sempre catalizzato le nostalgie degli appassionati non soltanto italiani. Tuttora esiste una targa presso lo stadio Azteca di Città del Messico che ricorda una gara straordinaria non tanto sotto il profilo tecnico quanto sotto quello delle emozioni.
Vale la pena riportare il racconto di Gianni Brera, limitatamente alla fase più emozionante della partita: i supplementari.
Tempi supplementari. Si fa male Rosato, entra Poletti. A parte una lecca a Held, che se la merita, gioca di punta per i tedeschi, e segna al 5′. Cross di Libuda (che inciucchisce Facchetti), testa a rifinire di Seeler: palla morta in area, Poletti non stanga via, accompagna di petto verso porta: Müller si frappone: Poletti e Albertosi fanno la magra: 1-2. Sciagura. Pubblico osannante. Meritiamo, meritiamo, come no? Ma qui incominciano gli errori tedeschi. Pur imitando Ramsey, Herr Schoen ci ha preso per degli inglesi. E insiste a WM. Vogts commette fallo su Riva. Rivera tenta il pallonetto perché incorni qualcuno: chi c’è in area tedesca? Il furentissimo Held. Il quale di petto mette graziosamente palla sul sinistro di Burgnich, l’immenso: 2-2. Dice che il pubblico si diverte, a questi scempi. Il critico prende atto: ma rabbrividisce pure. I tedeschi sono proprio tonti: ecco perché li abbiamo quasi sempre battuti. Nel calcio vale anche l’astuzia tattica non solo la truculenza, l’impegno, il fondo adetico e la bravura tecnica. I tedeschi seguitano a pencolare avanti in massa. Così segna anche Riva. Domenghini si ritrova all’ala sinistra (dove non è il mio grande grandissimo sbirolentissimo Bergheim?): crossa basso: trova Riva. Riva tocca a lato di esterno sinistro, secco, breve: scarta di netto Vogts ed esplode la rituale mancinata di collo. Gol strepitoso. È il 14′ del primo tempo supplementare. I tedeschi sono anche eroici (e quante botte pigliano e danno). Sono stanchi morti, ma quando Seeler suona il tamburo (con il gomito in faccia a Bertini) tutti ritrovano la forza per tornar sotto e pareggiare. È angolo a destra. Batte Libuda. Seeler stacca da sinistra e rispedisce a destra: Müller dà una incornatola che Albertosi segue tranquillo: sul palo è Rivera (ma sì, ma sì): il quale sembra si scansi. Albertosi lo strozzerebbe. Rivera china il capino zazzeruto e la fortuna sua e nostra gli offre subito il destro di salvare sé e la squadra. È il 6′: lanciato sulla sinistra, Boninsegna ingaggia l’ennesimo duello con il cottissimo Schultz: riesce a crossare basso indietro: i pochi tedeschi in zona sono su Riva. Rivera in comodo allungo si trova la palla sul piatto destro e freddamente infila Maier, già squilibrato prima del tiro. Adesso è proprio finita. I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimentali (a mi, nanca on po’). Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato. Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’infarto, non per ischerzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan).
L’epilogo è col Brasile di Pelè, Tostao, Rivelino, Gerson, Jairzinho, Clodoaldo, Carlos Alberto & co. In pratica il più forte di tutti i tempi. L’Italia è in riserva dopo la partita contro la Germania (i brasiliani godono anche di un giorno in più di riposo).
Clicca per vedere lo slideshow.Il primo tempo è piuttosto equilibrato. Grandissimo gol di testa di Pelè su un impotente Burgnich, a marcare il vantaggio brasiliano, poi la rabbiosa reazione di Boninsegna che ruba palla al giocoliere Clodoaldo verso i venticinque metri, vince un contrasto col portiere Felix e deposita in rete anticipando Riva che, per non ostacolare il compagno, compie una torsione quasi contro natura per un bomber di razza. Nel secondo tempo, dopo il 2-1 del sopraffino regista Gerson, i brasiliani dilagano e vincono la finale con un sonoro 4-1 (Jairzinho e Carlos Alberto, servito da sua maestà Pelè).
Valcareggi, dal canto suo, commette un clamoroso errore tattico: lasciare giocatori fondamentali come Gerson e Carlos Alberto (capitano e terzino destro brasiliano, di fatto un’ala) completamente liberi: sono questi giocatori a essere decisivi con le loro reti e azioni individuali. La nazionale verdeoro si porta a casa la prestigiosa coppa Rimet (avendola vinta per ben tre volte). Nel versante italiano, come al solito, sono le polemiche a tenere banco: in particolare quella sui famosi, umilianti, sei minuti che Valcareggi concede a Rivera sconfessando la cosiddetta staffetta che lo stesso C.T. italiano aveva congegnato. Un vero e proprio regalo al Brasile più forte di tutti i tempi.
Togliamoci il cappello di fronte al Brasile, riconosciamo che non solo sul piano tecnico-tattico i brasiliani sono stati largamente superiori, ma che hanno ottenuto questo prestigioso risultato nella storia del calcio mondiale anche per una continuità del proprio vivaio e per una concezione del football per noi quasi proibitiva… Gli italiani hanno compiuto una notevole prodezza proprio perché in partenza il credito che si faceva loro non andava oltre le semifinali. Ma proprio nelle semifinali, quando i sentimentali e i romantici si sono abbandonati a orge di entusiasmo e di gratitudine verso gli azzurri, chi avesse seguito il gioco più freddamente e lucidamente si sarebbe accorto che il tono tecnico-tattico della nostra squadra era assolutamente inferiore al suo compito. Con la Germania è stata la vittoria del cuore e anche della fortuna. Il calcio istintivo ci ha portato a un successo che i romantici considerano memo-rabile. Guardando tuttavia quanto è avvenuto in campo, io personalmente non mi son sentito di ingannare i lettori e, con un coraggio di cui spero mi si dia atto, ho reagito al mio intimo entusiasmo, alla mia soddisfazione, all’emozione anche parlando di football e così annotando puntualmente che i nostri errori, la nostra stessa difesa, sopravvalutata dai critici italiani e no, non avrebbe potuto reggere ai brasiliani.