Sono alto un metro e ottantasei centimetri, se non ricordo male sono così dalle superiori. Un amico mi ha fatto notare però che mi muovo come se la mia statura fosse più elevata, ovviamente riferendosi a quella fisica. Su quella morale non ricordo di aver superato assestment espliciti, qualcuno sa perché. Passo dalle porte chinando la schiena più o meno platealmente, per esempio, un vezzo che è diventato tic più che abitudine. Stesso discorso quando entro o esco dall’automobile, mi abbasso nemmeno dovessi entrare nella tana di un animale selvatico. Ma c’è un motivo. Ho abitato ambienti con dimensioni davvero limite per una persona dall’altezza come la mia dopo essere nato e cresciuto in stanze dai soffitti a misura di ciclope. Stipiti contro i quali ho lasciato più di una volta lo stampo della fronte, e per adattarmi ai quali il mio istinto di sopravvivenza mi ha imposto come reazione il ridurmi dell’intera lunghezza del capo. Bagni in cui il lavabo era ubicato abbondantemente sotto il bacino e lo specchio sovrastante mi rifletteva torace e ascelle, almeno per lavare quelle era utile. Finestre sui davanzali delle quali potevo inginocchiarmi e che, una volta spalancate, costituivano un reale pericolo per chi avesse voluto sporgersi. Se avete presente l’esperimento di controsoffittatura estrema degli uffici di “Essere John Malcovich” avete capito cosa intendo. Probabilmente gli antichi inquilini di quegli appartamenti erano molto più bassi di noi, di me almeno, nel corso degli ultimi secoli ci siamo evoluti come le giraffe e certi edifici residenziali d’epoca oramai sono inadatti. E forse anche troppo, se prendo spesso testate contro il portellone dell’auto quando carico e scarico la spesa, voglio dire, la mia auto non è stata progettata così tanto tempo fa. Ma mi dico così solo per spostare il nocciolo del problema e per attribuire ad altri fattori esterni e indipendenti da me la responsabilità di un fenomeno a cui vado soggetto da sempre. Diciamo da quando sono alto un metro e ottantasei centimetri, se non ricordo male dalle superiori. Non passo giorno senza farmi male per battere la testa, bruciarmi le mani contro la pentola, tagliarmi mentre affetto il pane, urtare le dita dei piedi sugli angoli dei mobili o contro le sedie. Il tutto unito alla sofferenza di avere a che fare con cose, oggetti, strumenti e utilità varie ubicati tremendamente in basso per le mie possibilità. Che finché appartengono alla sfera ludica dei bambini, uno può anche mettersi seduto o in ginocchio e adattare la propria posizione a genitore quadrupede. Ma per il resto si tratta di un handicap piuttosto debilitante, la schiena ne risente e passare il tempo chinato non è piacevole. Il tutto inserito in un quadro in cui non avere l’esatta percezione dello spazio occupato dalla propria figura e delle conseguenze dei propri movimenti, soprattutto quando non si ha il tempo di pianificarli e occorre agire di impulso, può generare serie conseguenze, probabilmente si tratta di una delle prove principali della selezione naturale della specie. Ecco, se fossi un animale – indipendentemente dalla posizione nella catena alimentare – sarei già stato cibo per predatori, o trasformato in concime per il terreno. Senza contare che gli esseri alti sono visibili ovunque da chi si sta procacciando il cibo. Viceversa, direte voi, essere uno e ottantasei ti consente di avere punti di vista preclusi ad altri. Forse il problema è proprio questo. Da quassù siamo costretti a guardare lontano, a perdere il controllo di ciò che è attiguo, e a farci del male con la prossimità più spigolosa.
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