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Mezzogiorno e sviluppo in Carlo Trigilia

Creato il 10 dicembre 2012 da Sviluppofelice @sviluppofelice
Carlo Trigilia e il suo ultimo libro Non c’è Nord senza Sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno (Il Mulino, Bologna, 2012)

Carlo Trigilia e il suo ultimo libro

di Giuseppe Pesare

Il sociologo dell’economia Carlo Trigilia, autore di Non c’è Nord senza Sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno (Il Mulino, Bologna, 2012), si occupa di sviluppo del Mezzogiorno da almeno due decenni. Il suo volume Sviluppo senza autonomia. Gli effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno, del 1992, ebbe un peso notevole nel dibattito sulle politiche di sviluppo del Sud in un periodo di cambiamenti cruciali (in quell’anno viene chiuso l’intervento straordinario per il Mezzogiorno e viene varata la legge 488). La classe politica meridionale – argomentava allora Trigilia – usa le risorse provenienti dall’intervento pubblico come strumento di acquisizione di consenso, e perciò le destina alla soddisfazione di richieste particolari piuttosto che a quei beni collettivi che riqualificherebbero l’ambiente socio-economico. L’intervento pubblico finalizzato allo sviluppo crea dunque degli “effetti perversi”, alimentando il clientelismo e “l’imprenditoria politica”, che dello sviluppo sono antagonisti. Trigilia richiamava la critica del ceto politico meridionale di Gaetano Salvemini; e auspicava – con il conforto di una stagione elettorale che sembrava rinnovare in profondità le amministrazioni locali – una responsabilizzazione delle classi dirigenti del Sud e una rinnovata vitalità dell’associazionismo. Poste queste precondizioni, le risorse dei contesti meridionali avrebbero rivelato le loro potenzialità, aprendo una prospettiva di sviluppo autonomo. 

La convinzione che il Mezzogiorno potesse contare sulle proprie forze era confermata da Trigilia nel suo volume di maggior successo (Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Laterza 2005). L’idea basilare era che fosse possibile riprodurre nel Sud (come del resto in qualsiasi contesto locale) il modello di sviluppo che aveva caratterizzato la “Terza Italia”, ampiamente studiato dalla sociologia economica italiana (e da Trigilia stesso)[1]: le economie esterne (materiali e immateriali) necessarie alle imprese nella competizione globale si trovano nei “territori”. Va stimolata, perciò, la produzione di fiducia e di capitale sociale per creare un sistema locale coeso intorno ad un progetto di sviluppo che lo renda vincente nella competizione globale tra territori.

 In Non c’è Nord senza Sud Trigilia sembra per molti versi abbandonare lo schema analitico dello sviluppo locale. Resta l’idea della valorizzazione delle risorse locali, ma l’attenzione torna ad appuntarsi – come in Sviluppo senza autonomia – sugli effetti perversi delle politiche per il Sud. Una scelta, questa, indotta probabilmente dagli scarsi successi delle politiche per lo sviluppo costruite sul paradigma local-sviluppista. Come già aveva osservato Paola De Vivo nel 2003,[2] a proposito dei patti territoriali in Campania, logiche clientelari si sono ripresentate anche nella gestione delle politiche di programmazione negoziata che spesso ha risposto a logiche di appartenenza politica, più che a logiche di sviluppo. In Non c’è Nord senza Sud emerge quindi una valutazione pessimistica sulle possibilità per il Mezzogiorno di risollevarsi da sé. L’ottimismo dei volumi precedenti sembra sfumare di fronte alle difficoltà incontrate dalla “Nuova Programmazione”, ma anche di fronte al declino di quella spinta alla partecipazione democratica che aveva sostenuto negli anni Novanta la “stagione dei sindaci”. Per Trigilia sembrano adesso pesare, sulle prospettive del Sud, anche le derive culturali (egli richiama, a più riprese, Putnam, anche se non accede a un approccio culturalista), che rendono ancor più difficile una soluzione del problema senza interventi dall’esterno.

In definitiva, l’ultimo lavoro di Trigilia pare riavvicinarsi, come nel libro del ‘92, alla prospettiva degli effetti perversi più che a quella dello sviluppo locale. Ma è evidente anche – e in questo il nuovo volume sembra abbandonare uno degli aspetti più interessanti di Sviluppo senza autonomia – la considerazione del Sud come area pressoché omogenea: i processi descritti nel testo, così come le proposte di intervento, sono riferiti al Sud nella sua interezza, non ad aree specifiche con specifiche problematiche. Trigilia, che è stato tra i primi a battersi contro l’utilizzo della categoria “Sud” nella descrizione di dinamiche socio-economiche, mostrando l’eterogeneità del Mezzogiorno, parla ora di «regioni meridionali» e «sviluppo del Sud», in quanto tali contrapposti al «Nord».

Quest’ultimo aspetto sembra segnalare un’esigenza fortemente avvertita: riportare l’attenzione sui problemi del Mezzogiorno in un momento in cui, essendo prioritaria la ripresa nazionale, l’intervento pubblico potrebbe favorire le aree del Paese più produttive e trascurare le altre, con il rischio di accentuare i divari regionali.


[1] C. Trigilia, Grandi partiti e piccole imprese, Il Mulino, Bologna, 1986.

[2] P. De Vivo, “La costruzione… della fiducia locale. I patti campani…”, in R. Rizza, G. Scidà (cura), Capitale sociale, lavoro e sviluppo, in Sociologia del lavoro, 91, 2003.

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