Di GIANLUCA MASSIMINI
Pioveva a dirotto in quell’istante e lui, come previsto, aspettava all’interno. Guardava di fuori, oltre il parabrezza, e già da un po’ di tempo. Rifletteva sul da farsi, in attesa che arrivasse, fino a quando non scorse un’auto lampeggiare e infilarsi veloce tra quelle ferme in sosta. Fu allora che la vide venir via coperta da un ombrello e affrettarsi in punta di piedi per non bagnarsi.
Ora, già in altre occasioni i due si erano incontrati. Da quando si erano conosciuti, quattro mesi prima, lei l’aveva raggiunto lì o in qualche altro posto senza mai rifiutarsi e sempre con la stessa voglia di vederlo, di trovarlo, e questi appuntamenti, a sentir loro, erano eccitanti. In quel caso non c’era modo di far nulla, nulla di diverso s’intende, ma presi dal piacere, dalla voglia di amarsi, si stringevano, si baciavano, l’uno nelle braccia dell’altro.
Così, come la vide avvicinarsi: chissà se questa volta riuscirò a dirglielo, pensò lui per un momento, o se non l’ha già capito al telefono, o dai messaggi, e s’apprestò ad accoglierla dentro. Dopo un attimo, infatti, salì su.
Il mio caro! – disse lei entusiasta, con la solita vena esuberante, e lo abbracciò, per baciarlo sulle labbra. – E’ un vero piacere vederti!
Come va? Come è andata? – chiese lui, alludendo alla pioggia che cadeva e al tragitto, che non doveva essere stato agevole.
Bene, benone! – fece lei. – Peccato per quest’acqua maledetta che mi ha seguita fin qui col fiato sul collo, senza darmi tregua. Ho pensato a un certo punto che non ce l’avrei fatta e che dovevo fermarmi, ma ho avuto paura che alla fine ti saresti annoiato e così ho continuato…
Sei stata gentile. – disse lui con un sorriso e la guardò riconoscente.
Il mio amore! – esclamò lei, baciandolo di nuovo dopo avergli preso il viso tra le mani. E fissandolo negli occhi, liberatasi della giacca che buttò sui sedili posteriori: Non potevo certo lasciarti solo… – fece, e alzò le spalle come a dire di aver fatto una cosa semplice, nulla di più di quanto era dovuto. – Tu sei sempre bravo con me, e disponibile. E poi avevo una gran voglia di vederti, di stare insieme a te.
Lui le sorrise ancora. E per un breve istante si disse che era proprio bella con quegli occhi e quel rossetto, quelle labbra che la rendevano così attraente, così donna.
Ma che cos’è che volevi dirmi? – fece lei, porgendo a un tratto attenzione. – Era qualcosa d’importante? Sembrava fosse una cosa di vita o di morte. Al telefono, dico…
No, no. – esclamò lui, fingendo. – Volevo solo vederti, tutto qui. – e sorrise di nuovo. – Avevo voglia di vederti. – e le strizzò l’occhio, ma con la testa altrove, all’occasione persa.
Così, dopo uno sguardo dato ad indagare, mentre il ticchettio della pioggia si faceva più insistente, quasi meravigliandosi che si stesse aspettando, lei gli chiese: Sei qui da molto? – non sapendo cos’altro chiedere, le mani sulle ginocchia mentre le dita tamburellavano nervose. E cominciò a portare indietro i capelli, oltre l’orecchio, per fermarli con una forcina che aveva nel frattempo preso dalla borsa e messo tra le labbra. Slacciò pertanto un bottone sotto il collo, facendo il gesto di aver caldo, e aprì un po’ il finestrino, mentre tornava a fissarlo con gli occhi grandi.
No, non da molto. Sono arrivato da poco. Saranno dieci minuti, non di più. Ho visto che non c’eri e così ho spento. E tu, come stai? dimmi.
Bene. Sto bene. – tagliò secca. E poi più nulla, come se fosse già infastidita dal fatto di perder tempo.
Lui la osservava, scrutandola a fondo. Al che, dopo un attimo di silenzio, sorrisero entrambi.
Allora… – fece lei impaziente, ma non riuscì a finire la frase o non voleva dire niente, in realtà. – Dai, vieni qui, vieni qui da me. – gli disse con un cenno. – Avvicinati. Fammi vedere se ti piaccio ancora. – e lo tirò a sé, abbracciandolo. Lui volle accontentarla, anche se avrebbe voluto fare altro. E fingendo un po’ di ardore, le labbra socchiuse, cominciò a baciarla e a stringerle il seno più e più volte, tanto che lei si animò fino ad eccitarsi. Le sfilò la camicia, mentre lei continuava a morderlo. Lui, era chiaro, per lei stravedeva e il fatto di avere con sé quell’uomo che la prendeva, che l’abbracciava in quella promiscuità allettante, a lei piaceva enormemente, tant’è che subito chiuse gli occhi. Quando, sentendolo poco convinto: Tutto bene? – gli chiese a un tratto, come a cercare un segno della sua presenza.
Sì, sì, tutto bene. – e la baciò ancora sulla fronte. – Avevo pensato che avremmo potuto far qualcosa e rimandare tutto a dopo, nel frattempo. Che ne dici?
Va bene. – fece lei, – Va bene. – disposta a seguirlo, anche se non proprio contenta: – Cosa vuoi fare? – chiese guardandolo e rimettendosi a posto sul sedile.
Possiamo andare da qualche parte, magari qui attorno, in un locale. Che ne dici? Potrebbe piacerti?
Per me va bene. – fece lei, e cominciò col riporre nei jeans la camicia fuoriuscita poc’anzi.
Allora andiamo. – esclamò lui. E accese il quadro della Citroën per togliere l’alone dal parabrezza. – Facciamo due passi sotto l’acqua e ci infiliamo in un pub a posto, giusto per passare il tempo. Magari ci piace e ci si diverte un po’. – aggiunse.
– Sì, va bene. – disse lei, e alzò le spalle.
Così, messa in moto l’auto, fece retromarcia, benché vedesse molto poco. Uscirono dal piazzale e imboccarono la statale. Sulle prime andarono a caso, non conoscendo granché la zona. Percorsero l’abitato una traversa alla volta, cercando di distinguere le insegne dei locali da quelle dei supermarket. Lei si animò in più occasioni, indicandogli delle luci che poi si rivelarono essere tutt’altro. Mi dispiace farti girare a vuoto. – disse a un certo punto, atteggiando una faccia contrita.
Non preoccuparti. – fece lui, pensando che forse in un posto tranquillo avrebbero parlato con calma.
Allora imboccarono una via qualsiasi e riconobbero nettamente le insegne di un pub. Accostarono in fretta salendo sul marciapiede. S’avviarono a piedi per strada, sotto l’ombrello, costeggiando l’ingresso di alcuni magazzini e dei caseggiati posti l’uno dopo l’altro, al chiarore incerto dei lampioni. Attraversarono la piazzola di una pompa di benzina, mentre qualche auto sfrecciava più in là.
Eccoci arrivati. – lei disse contenta.
Quando furono dentro si sedettero felicemente l’uno di fronte all’altro. Si lasciarono avvolgere dalle luci e dal calore degli interni, dal tintinnio dei bicchieri e delle stoviglie, dal vociare confuso tra i tavoli. Quindi ordinarono.
Qui mi piace molto, è fantastico! – fece lei tutta presa dal posto, e con un viso compiacente, allungando una mano sul tavolo a cercare la sua.
Sfoggiava anche in quel caso un’aria e una presenza strabilianti. Era allegra, vivace, ma anche così a suo agio e sicura di sé da far spavento. La stessa eccezionale spensieratezza di quando altre volte, sempre in giro per locali, gli aveva parlato del lavoro e dei colleghi, delle avances e delle storie avute in ufficio come se niente fosse, senza farsi problemi. Dal suo profilo giovane emanava bellezza e curiosità ma anche fermezza e idee chiare in testa. Non era certamente come le altre, pensò, come quelle noiose con cui aveva a che fare ogni giorno. Ora la guardava, l’ascoltava, felice di averla al suo fianco. In più di un’occasione, ripensava, l’aveva vista animarsi e gioire per un nonnulla, ritrovando forse in questo un qualcosa che lui con gli anni aveva perso. Era lei in fin dei conti a tenerlo vivo, presente…
Allora, mi dicevi? – fece a un tratto. – Non mi hai ancora raccontato come passi il tempo libero, cosa fai quando non lavori? – insisté, fissandolo negli occhi mentre sgranocchiava una nocciolina presa dal tavolo.
Te l’ho detto. – fece lui mostrando un sorriso. – Di solito vado in giro con gli amici. Ci sono un sacco di locali dalle mie parti, ma in genere andiamo sempre negli stessi, perché è lì che ci troviamo. Passiamo la serata giocando a biliardo o guardando le partite al maxischermo, tra una birra e l’altra. Oppure si va a fare un giro in moto, pioggia permettendo. – e si fermò un istante per dare un’occhiata attorno.
Lei non lo osservava, faceva dei disegni sul tavolo con uno stecchino ancora intonso. – Oppure porti con te qualche ragazza… – alluse maliziosa, e alzò lo sguardo.
Il che non guasta. – aggiunse lui. E sorrisero entrambi.
E il tuo lavoro com’è? Non me l’hai mai detto.
Mah, non è granché… – e fece girare ancora gli occhi per il locale. – Si tratta di caricare e scaricare pacchi tutto il giorno, quando arriva una consegna, quando lo dice il grande capo, e di metterli dove vuole. A me non piace molto e penso di cambiare prima o poi. Se solo trovassi di meglio… Sto aspettando che mi faccia sapere qualcosa mio cognato, che ha una ditta di scarpe.
Non parlarono dunque che per un attimo, gli occhi bassi.
Certo. E come sarebbe questo lavoro? – chiese lei.
Non lo so, non ne so nulla, ma meglio che caricare e scaricare tutto il giorno… – fece lui. – La verità è che sono stufo. Non lo sopporto. Quel posto, dico. Non mi piace più da tempo, ormai. In certi periodi dell’anno pensi che vada meglio, ma solo perché c’è calma piatta, ma poi è uno strazio. Ti affatichi per niente e per quattro soldi. E poi non è il massimo passare le serate a inventariare profilati, brugole o viti da dodici, che è peggio. Poi lui ti chiama perché arriva una consegna, magari di domenica o al sabato pomeriggio, quando sei fuori… o perché non vogliono pagarti. Questo puoi capirlo…
Sì, sì, lo capisco… – disse lei. E poi, sempre continuando a disegnare con lo stecchino, diede una sbirciata ai ragazzi del locale che giravano tra i tavoli.
Una giovane si avvicinò a quel punto per servirli. Quando l’ebbe fatto, affrontarono i due toast con prosciutto e formaggio, che si era sparso nel piatto. Parlarono. Scherzarono. Lei rideva, aveva la parola facile, forse per colpa della birra. E momento dopo momento lui sperava. È bella, si diceva. E che occhi. Che labbra! Cosa avrebbe fatto per averla con sè. Sorrideva mettendo la lingua tra i denti e le piaceva fare sesso, cosa non meno importante. Ancor più lo colpiva il fatto che dicesse di sì, che ci stesse ogni volta, per strada come nelle più accese fantasie da letto. Per di più, quando parlava, lo ascoltava attentamente, non facendosi sfuggire nulla. Questo lo stupiva. Nessun’altra, pensò, mi ha mai dato tante attenzioni. Ecco, questa è la donna che fa per me, quella che mi farebbe perdere la testa, sempre, e che potrebbe farmi tornare a vivere, pensò. Doveva dunque sorprenderla, farla sentire speciale, come vogliono tutte le donne…
Tutto bene? – fece allora lei, vedendolo assorto.
Sì, certo.
A cosa stai pensando?
A delle cose senza importanza, così…
Cosa dici, ci scambieranno per una coppia anche qui? – fece lei ridendo.
Ah, è probabile.
Non mi hai ancora detto, però, cosa ti è successo. Volevi vedermi ad ogni costo, quando mi hai chiamata…
È vero, sì, avevo voglia di vederti. E quindi? – chiese aggrottando le ciglia, come a non capire la domanda.
Sembrava proprio una cosa seria. – E lo guardò con gli occhi attenti, con un’aria interrogativa, a cui seguì presto un sorriso benevolo, mentre lui si sarebbe morso volentieri la lingua a pensare a quello che aveva detto e a come si era perso.
Il mio uomo! – fece quindi lei, e si alzò leggermente col busto dalla sedia per prendergli il collo e farlo a sé, per baciarlo sulle labbra. Ne seguì un mugolio prolungato di compiacimento. Poi, dopo le carezze, tornarono ai toast. La mano di lui, intanto, raggiunse quella di lei.
Il mio caro… – continuò. – E come hai fatto a venire, cosa ti sei inventato questa volta? Non dev’essere facile per te lasciar tutto e filare qui per me, a trovare la tua bella, come dici tu.
Be’, diciamo che non sono stato sincero…
Non è una novità. – disse lei, e rise, coprendosi la bocca con la mano, mentre masticava.
Ho detto che andavo via per un cliente. Che mi ha dato appuntamento per restituirmi una consegna. Tutto qui. Il resto vien da sé… ho avuto carta bianca perché si fidano.
E poi? – aspettando.
E poi niente…
Al capo cosa hai detto?
Non ho detto niente. Ma non ci sono problemi. – E mentre girava e rigirava con le dita un barattolo di ketchup sul tavolo, avendo ormai finito di mangiare, alzando gli occhi le disse: E tu, invece, cosa mi racconti? È stato difficile venire qui stasera? Non è che hai fatto dispiacere qualcuno, qualche tuo pretendente?
No, – disse stupita, – io sono single, te l’ho detto. Non ho problemi e se voglio far qualcosa la faccio. – e alzò le spalle, come a dire che la cosa era semplice e non doveva preoccuparsi di nulla.
Ma come, così bella e intelligente e non c’è nessuno che ti fa la corte?
Sì, ma che c’entra? – chiese sorridendo.
Come che c’entra?
Son venuta qui da te e basta. In genere non faccio confidenze. Con gli altri, intendo. Non mi piace dare spiegazioni e quindi preferisco non parlarne. Del resto gli altri con me non le fanno mai… E poi non amo sentirmi controllata, con gli occhi addosso…
Fai bene.
Son venuta perché mi hai chiamato, ed eccomi qua, altrimenti sarei uscita con le amiche. – disse, portandosi di nuovo il toast in bocca.
Ma è strano che tu non stia con nessuno, dico, non ti ci vedo… Ti facevo impegnata…
No, caro. – rispose allora negando con la testa. – Questo no. Non voglio stare con nessuno per il momento. – disse. – Voglio divertirmi, questo sì… – e sorrise, mentre parlava, – Anche perché ne ho avute di storie complicate, sai? – disse, portando gli occhi in alto.
Ne notava ora i lineamenti forti, decisi, che non aveva notato prima.
Certo, quando ti presenti a cena da sola, senza qualcuno, – continuò, – ti guardano strano, e non capisco perché. Pare che il mondo ti dica che devi per forza stare con qualcuno, altrimenti non hai senso, ma cosa vuol dire? Poi magari lui ti soffoca, ti dice cosa fare, e a lungo andare ti chiude in casa, in un recinto, e si aspetta che alla sera tu gli faccia trovare tutto pronto e i panni stirati. E poi diciamo la verità…. Ce ne son certi, caro, che a conoscerli ti vien da chiederti a cosa pensano quando fanno l’amore. A volte mi dico che sarebbe meglio fare qualcos’altro… – e le scappò da ridere, la testa indietro. Al che risero entrambi. Una risata liberatoria.
Fu in quell’istante che lui le disse: – Eppure a me piacerebbe molto se tu ti trasferissi, se venissi a vivere da me… Sarebbe bello, potremmo stare insieme sempre, e poi nessuno direbbe nulla. Potremmo uscire ogni sera e andare al cinema, in pizzeria… – e la cercò con gli occhi, accennando un sorriso. Fece quindi il busto avanti per baciarla sulla fronte, senza che lei si muovesse di un centimetro.
Ma lo sai che non è possibile. – fece lei senza guardarlo. – Io ho una vita movimentata… – e masticò ancora allegra. – E poi a me va bene così.
Arrivarono dunque le patate fritte.
Sabato prossimo vorrei andare al Motorshow, con la moto, che dici? Ci verresti?
Al Motorshow? Non so, devo pensarci. – e chinò di nuovo lo sguardo, tornando a infilzare con lo stecchino il prosciutto rimasto nel piatto.
La prossima volta, però, potremmo andare in montagna, in uno chalet di montagna, sotto la neve, e stare lì qualche giorno. Sarebbe magnifico. Che ne pensi? – fece lui.
Perché no? – disse lei, rialzando gli occhi, ma senza grande entusiasmo.
Poi, finito che ebbero, si avviarono verso l’uscita e tornarono all’auto, con l’idea di raggiungere il parcheggio. Lui per strada le mise un braccio attorno al fianco e la baciò più volte sulla fronte. Pareva contenta e la cosa gli piacque. – Mi è piaciuto questo pomeriggio. – disse quando furono dentro. – E’ stato bello. Non credi? – E aspettò come se dovessero fare qualcosa. Ma niente. – Mi piacerebbe tornarci. – aggiunse allora, mentre abbassava lo sguardo a controllare se le scarpe si fossero bagnate molto.
Così, una volta ripartiti, arrivati sul piazzale che era deserto, si fermarono, e lui spense. Presero a darsi qualche bacio. Le infilò una mano tra le gambe, come faceva ogni volta.
No, devo andarmene. – lei gli disse, – È già tardi, devo sbrigarmi. Tanto varrebbe non tornare neanche. – E fece per scendere riprendendo la borsa e l’ombrello.
Fu a quel punto, allora, che lui la prese per il braccio con una certa insistenza, e la trattenne. Forse convinto che lei lo capisse, la fermò così, ma fu uno sbaglio. E affabile, senza fretta, le disse: Aspetta… Aspetta. Potremmo stare insieme, avere una vita insieme, per sempre… Aspetta…
Lei lo guardò interdetta. E vedendo che non la lasciava: Dai, smettila… – gli disse, e tentò un sorriso, provando a liberare il braccio inutilmente. – Ma che stai facendo? – gli chiese guardandolo. – Dai di matto? – E vedendo che lui non mollava: Dai, lasciami, ti dico. Ma se neanche ci conosciamo, ci vediamo solo per scopare… – fece innervosita, e tentò di sfilare la mano un’altra volta. Al che lui gliele prese entrambe.
Aspetta. Aspetta… – insisté, mentre lei si divincolava.
Dai, lasciami… Lasciami! – gli gridò, – Non tormentarmi… – mentre alcune lacrime cominciarono a scenderle sulle guance. – Non farmi del male adesso…
E liberatasi con la forza, senza attendere un attimo, balzò fuori di scatto, lasciando dentro la giacca e l’ombrello.
Pochi istanti dopo, sul piazzale, si sentì l’auto di lei accendersi ed avviarsi rabbiosa lungo la statale.
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Gianluca Massimini è nato a Pescara nel 1974. Dopo gli studi universitari ha svolto varie attività, vivendo per qualche anno a Bologna e successivamente a Vicenza, città nella quale risiede tuttora. Ha pubblicato molti racconti su rivista e le raccolte Eravamo insieme (2010) e Che cosa siamo, che cosa non siamo (2015). Qualche notizia in più su quello che ha scritto è presente sul sito www.gianlucamassimini.it