
Come già lascia intendere la trama, il rischio di un film come “Mi chiamo Maya, diretto dall’esordiente Tommaso Agnese, è di non riuscire a raggiare le numerose insidie che si presentando nel trattare un argomento così delicato. Rischi che, ahinoi, durante la visione prendono la forma di effettivi difetti dal momento in cui l’errare delle due piccole protagoniste, angosciate da un futuro che non c’è e tormentate dall’assenza della figura materna, vanno barcamenandosi tra situazioni che, oltre ad avere indosso l’odore della caduta nello stereotipo, sono completamente sconnesse tra di loro, presentando una drammaturgia che tende a far acqua da tutte le parti. Il cercare di salvare il tutto dal punto di vista visivo, nonostante l’ottima fotografia di Davide Manca, diventa controproducente nell’andare ad evidenziare maggiormente i disgiungimenti che vanno a formare un tessuto narrativo per nulla coeso. Altra nota dolente, sulla quale è impossibile sorvolare, è il livello medio-basso della recitazione, che tende a gravare sulle spalle già esili della maggior parte dei prodotti audiovisivi nostrani - l’onnipresente Valeria Solarino, già vista di recente ne “la terra dei Santi”, continua a dimostrare di avere doti recitative tutt’altro che spiccate -.
