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Mi mancano i plug in di Emanuele Serra

Creato il 27 febbraio 2011 da Nasreen @SognandoLeggend

Emanuele Serra:

Mi mancano i plug in di Emanuele Serra

Emanuele Serra: torinese, giovane, scrive.

E’ restio a parlar di sé, ma ci ha fornito direttamente qualche informazione su di lui:

“Torino è la città in cui vivo e sono nato. Mi piace. Alcuni posti li preferisco ad altri. Come il lungo Po Antonelli e l’unico pub che si trova lì, che è anche il posto d’incontro con i miei amici. Ho vissuto trentuno primavere, tra poco saranno trentadue, non me le ricordo tutte. Alcune hanno lasciato il segno, altre le vorrei dimenticare, altre ancora le ricordo con orgoglio. In tutto questo credo di essere tremendamente e orgogliosamente normale. Mia figlia si chiama Elena, ha otto mesi, due occhi chiari come quelli della madre, Paola. Da me dicono che abbia preso il sorriso. Adoro i gatti e il sabato gioco a calcio con gli amici. Non sempre.  Scrivo, principalmente per piacere. Sette anni fa ho scritto un romanzo, edito nel 2008 dal titolo la distanza che ci divide. Da qualche mese è uscita anche la raccolta di mi mancano i plugin e altri racconti. (la cui storia già la sapete)”. Ah, da un anno ho smesso di fumare, che sembra una cavolata ma non lo è.”

Sito: http://www.serraemanuele.it/

Mi mancano i plug in di Emanuele Serra
Titolo: Mi mancano i plug in
Autore: Emanuele Serra
Serie: #
Edito da: Progetto Babele
Prezzo: 11,66€
Genere: Racconti
Pagine: 106
Voto:
Mi mancano i plug in di Emanuele Serra

Mi mancano i plug in di Emanuele Serra
Mi mancano i plug in di Emanuele Serra

Trama:

Questo libro contiene alcuni racconti e molte domande. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, quale sia la linea di demarcazione fra innocenza e crudeltà. Fin dove possa spingersi un padre per salvare la vita di sua figlia. Se si possa spiegare cosa sia la morte ad un bambino o perdonare chi ci ha rubato l’infanzia. 
Ma, forse, tutto questo non ha la minima importanza.
In fondo, a chi importa se un operaio di Torino, lentamente, impazzisce, perchè non ha altra via per sottrarsi ad un ciclo produttivo che lo vuole ingranaggio, puleggia, biella. A chi importa se ci sono milioni di uomini e donne costretti a lasciare casa e memorie per inseguire un sogno di disperazione. A chi importa di un gabbiano ferito o di un bambino che scrive lettere alla sorella morta.
Forse non ci sono risposte, forse l’importante è non voltarsi, mai. E, nel frattempo, si può leggere questa antologia. Non risponderà alle vostre domande, ma farà nascere qualche dubbio. E non è poco. (Marco R. Capelli)

Citazione: Sorrido.

A volte il destino è un gioco beffardo e bastardo con un senso dell’umorismo nero come la pece.

Ero pure andato in pellegrinaggio fino a Lourdes, una cosa avevo chiesto, una sola cosa, non tanto per me quanto per te, perché sei padre nella mente, ingegnere di un futuro possibile, inchiodato in una realtà che ti appartiene ma che preferisci deviare, il mio era come un patto, con il buon Dio, un gioco di compiti, di sacrifici e di reciproca stima.

A me il compito di creare un mondo per mia figlia, a te buon Dio, ti prego, fai solo che sia sana.

Recensione:

Quando si inizia a leggere Mi mancano i plugin, non si può far a meno di essere colpiti dalle parole di ammirazione che vengono rivolte al giovane autore nella prefazione. Si intuisce, in chi ha letto i racconti, un senso di immedesimazione negli stessi, una sorta di comprensione profonda di ciò che l’autore voleva dire e trasmettere ai suoi lettori. Perciò, una volta terminate quelle pagine di presentazione, non ci si può che accostare alla lettura con tanta curiosità e, perchè no (sono pur sempre io, scettica fino a prova contraria), con un senso di superiorità che porta a pensare: “Voglio proprio vedere se mi ci ritrovo davvero anch’io in quelle parole!“.

L’inizio è spiazzante. Si apre con un disegno, e mi piace. Già ricevo il primo piccolo colpo (“oh, no! vuoi vedere che st’autore ci sa fare davvero così come hanno affermato le belle parole spese su di lui?“). Poi, il vero inizio. Che è poesia. Leggo senza quasi rendermi conto del significato e mi faccio trasportare dal suono delle parole. Torno indietro, concedo a quelle parole un senso e, per la seconda volta, mi piace. Diventa poesia, diventa realtà, diventa vita, diventa dolore e tutte queste sensazioni sono racchiuse solo nel primo racconto. Ok, torno sui miei (iniziali) passi, abbandono le mie personali e scettiche resistenze e guardo con occhi diversi quello che verrà.

Non mantiene sempre lo stesso tono o lo stesso ritmo. A volte mi ritrovo racconti duri, a volte mi ritrovo scene che non vorrei vedere e non vorrei sapere, altre volte mi sono ritrovata a non capire quelle parole: dove andavano, a chi andavano, di cosa parlavano. Ma proprio quando un racconto sta per allontanarmi, ne arriva un altro che mi ributta dentro nella lettura e non posso che tornare.

E ora, arrivata alla fine, sono qui a dire di dare un’occasione a questi racconti, così scorrevoli e così veloci, così vicini alla nostra vita e altri così lontani, che sanno unire per bene forma e contenuto senza annoiare o stancare, rendendosi piacevoli e leggibili. Chi concederà questa opportunità si ritroverà, alla fine, a pensare a quale potrebbe essere il racconto che ha preferito e sentirà l’esigenza di rileggerlo, per riascoltarlo e riviverlo. Io l’ho fatto.


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