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L'estraneo vagabondo inadatto e furiosamente comico dell'indimenticabile Hollywood Party diventa qui un personaggio bloccato all'atto della sua creazione, costretto a sradicarsi dalla fantasia del suo autore morto troppo. Il "vecchio" demiurgo che voleva un personaggio tutto per sé, senza dichiararlo a quel buffo teatrino del mondo e alla sua anagrafe, lascia senza un perché il suo giardiniere: questi finisce con l'arrampicarsi su un mondo che non lo capisce, non lo giustifica, ma si accapiglia intorno al suo buffissimo candore, spostando sul piano allegorico l'unica dimensione propria a Chance, quella vegetale.
Chance non solo non fa nulla per intervenire sul mondo così com'è oltre quella televisione: telecomando alla mano, rimane immune alla vita, che non lo riesce a scalfire o, tanto meno, a sorprendere. La prospettiva senile di questo penultimo protagonista di Peter Sellers azzera la novità del mondo in quanto tale, regalando allo spettatore-bambino stranianti momenti di puro spasso nella più drammatica e, a tratti, mélo vicenda che si potesse immaginare per un simile burattino di viscerale follia (e adorabile la Shirley MacLaine che accompagna Sellers in questa pellicola!).
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Chance si allontana, incompreso nella realtà delle sue parole, con passo messianico, leggero e concreto, dalle incomprensioni che ha causato con la sua innocenza umana e senza compromessi con un mondo sordo: il giardiniere rimane sospeso a pelo d'acqua, la silhouette stessa di Peter Sellers, mentre tutto il resto vi affonda fin tanto che lui lo vuole, autodeterminandosi così, senza planare con la leggerezza degli angeli, senza ritagliarsi in qualche astratta sagoma di Magritte, ma camminando, come fanno tutti gli uomini.