Non ho molto da dire su questo libro, è così intimo e raccolto, così vero, così commosso che ogni parola in più lo sgualcirebbe un po'.
Ognuno di noi ha il suo Tabucchi, credo. Ognuno di noi ha visto tutto quello che Bajani, così bene, ha raccontato. Lo ha visto addosso ad altri volti, ad altri amici, ad altri famigliari, ma la morte è una cosa universale ed è per questo che, mentre lo leggevo, con gli occhi un po' perennemente umidi, mi sembrava di avere per le mani parole che descrivevano situazioni già vissute anche da me. Mi sembrava di avere in mano la bellissima copia delle mie paginette di diario.
Quelle risate solo per fare rumore, per coprire il silenzio tombale di una casa rimasta piena a metà.
Quella morte che non fa dormire chi resta.
Credo che questo Timidino (come Tabucchi apostrofava Bajani) sappia decisamente scrivere bene. Emozionando. A me, almeno, ha fatto questo effetto. Mi ha perfino tolto le parole, e non è poco. Mi associo ai tanti silenzi del libro. Forse avrei potuto lasciare questo post pure tutto bianco, ma non so se poi si sarebbe capito che questa, per me, è stata una piccola lettura bellissima.
Il primo libro del 2014, che forse mi aiuta a chiudere un capitolo del vecchio anno. Punto.
E a capo.
Ehi, timidino, mi avevi detto attraversando a grandi falcate quella piccola curvatura terrestre. Timidino, dico a te. Che ci fai lassù nello spazio?
Io avevo avvicinato l’occhio. Non mi venire addosso, però! avevi urlato. Poi, di fronte al mio imbarazzo avevi detto: Senti, timidino, tu non parli e io mi annoio a morte. Per cui ti saluto, che qui c’è un sacco di lavoro da fare. Ma tu - ti prego - smettila di stare sempre così con i piedi per terra che non sei affatto divertente.