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Mi rileggo: “Sciogliere nodi”

Da La Dona

[on air : Mama- Jarabe de Palo]

Delle mie vacanze scolastiche di quegli anni non ho molti ricordi. Ricordo la canicola, i prati, il profumo di latte appena munto; ricordo i piccoli pezzi di tessuti che venivano assemblati per farne gonne alle vecchie bambole regalate o i pomeriggi trascorsi nel cortile di casa giocando a palla contro il muro. Ricordo quando ad Agosto arrivava il Luna Park e con esso, immancabili, i temporali e gli acquazzoni che rendevano impraticabile il prato dove la sera i “grandi” si davano appuntamento. Ricordo che quello delle vacanze era un periodo triste e che il quotidiano incontro con i miei compagni mi mancava. Forse questo è il motivo per cui i quindici giorni alla colonia estiva patrocinata dal comune o i “lavori femminili” dalle suore mi sembravano meravigliosi.
Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare il nome della minuscola suora che sapeva produrre con le sue mani quei preziosi capolavori, dei quali in quel periodo non capivo il valore. Utilizzava uno strano oggetto in osso che chiamava “navetta” su cui avvolgeva filo bianco in cotone e con maestria e rapidità annodava il filato che in pochissimo tempo si trasformava in un pizzo, lasciandoci a bocca aperta .
Penso a quanto i fili abbiano accompagnato la mia vita: fili in lana caldi con i quali confezionare capi invernali, trame ed orditi sfilati e ricostruiti con l’aiuto di altri preziosi fili sottili. Fili colorati che ravvivano una pagina in lino intonsa. Fili che colorano, fili che scaldano, fili che impreziosiscono, fili che si rompono, fili che legano. Fili che talvolta ho strappato, talvolta ho unito con nodi invisibili, fili che ho impiegato ore a districare. Ad ogni nodo sciolto una difficoltà superata e una rinnovata fiducia nelle mie capacità. Fili che diventano metafora della vita.
Un cotone lillà aggrovigliato, consunto, impolverato può diventare una risposta se ti stai facendo delle domande. Un gomitolo trattato con poca cura in mezzo a tanti altri belli, colorati, ordinati, ben avvolti. Scegli proprio quello anche se sai che sarà una sfida difficile districarlo. Lo prendi tra le mani con amore, lo guardi, cerchi di trovare il punto meno intricato,provi a capire quanto sia grave la situazione e decidi che è una sfida che puoi affrontare, che non ti fa paura. Ma quando inizi il lavoro ti accorgi di quanto siano stretti i nodi e quanta fatica occorrerà per sbrogliarli. Decidi che non puoi lasciare il groviglio e lo strappi, recidi il suo legame con il cuore del gomitolo, sapendo che ora il lavoro sarà meno difficile, avrai la libertà di lavorare senza il naturale condizionamento che viene da esso. Penserai dopo a unire i capi in modo da farne un unico gomitolo. Ma la sfida è più difficile di quanto ti aspettassi, l’intreccio si riforma poco più in là dal punto in cui lo hai liberato.
Stai per rinunciare quando quei grandi occhi scuri cercano il tuo sguardo; con una mano sistema il leggero e prezioso velo sulla sua testa e senza parlare ti offre la sua mano; l’orgoglio ti suggerisce di rifiutarla, vorresti vincere questa sfida da sola ma l’educazione ti impone di accogliere l’aiuto offerto, benché senza alcun entusiasmo. Le sue mani sono sicure, il filo sembra liberarsi tanto che lei presta poca attenzione a dove esso cade, tanto che nemmeno si accorge che lo sta calpestando. La verità è che provi una specie di fitta al cuore quando accade. Fermi i suoi movimenti rapidi e apparentemente non attenti a quali saranno le conseguenze; le tue mani possono riprendere a sciogliere i nodi di quel filo impolverato, sfilacciato; lo fanno con amore come se questo potesse salvarlo da quella che pensi sarà una fine terribile. Quando l’ultimo cappio è stato liberato, sul bianco tavolo vedi la tua vita scorrere libera, senza che vi sia alcun intoppo. Il filo è pronto per ricongiungersi al gomitolo, ora.



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