Avete sentito bene. Siete proprio voi, decine di milioni di persone che da più di trent’anni continuate ad acquistare i dischi di Vasco Rossi, a non aver capito un cazzo. Voi, orfani dell’irriverenza al sistema col distorsore acceso per un impatto trasgressivo del calibro del Rock di Capitan Uncino, voi avete ceduto a una delle più semplici equazioni, rock più parole dritte alla pancia uguale evasione dall’ordinario accompagnata da beveroni con superalcolici da discount. E non dite che non è vero, perché se non vi foste fermati al primo tamarro che passava tanto eravate stufi della trascuratezza musicale dei cantautori, tutta una generazione di gruppi no, scherzo, a pensarci bene nessuno avrebbe catalizzato così come lui la voglia caciarona di disimpegno e di stracciare la tessera del partito anzi no riciclarla come filtrino da spinello. La fortuna è che la sua parabola umana tende per motivi anagrafici verso la conclusione, in questo paese lo sapete che sperare nella vecchiaia è l’unica via plausibile per liberarsi di personaggi che hanno stufato da tempo, abbiamo un esempio ancora più illustre. Ma vi assicuro che ancora ieri sera in una spiaggetta qui a fianco ho colto l’inconfondibile successione di accordi di “Colpa d’Alfredo” e siamo nel 2013, non avete sbagliato a impostare la data del vostro pc. Siamo nel 2013 e come ai tempi in cui dire negro e troia nella stessa frase non faceva né caldo né freddo a nessuno perché il politically correct non era stato ancora inventato ci sono menestrelli da outdoor che si cimentano nel timbro roco con accento emiliano più celebre d’Italia per farsi due risate con gli amici dopo il tramonto, con quel giro di chitarra che sa fare chiunque, anche io che suono i sintetizzatori e potete immaginare quanto ci tenga ai miei polpastrelli. L’occasione buona si è persa in un sera di un’era storica fa, quando ognuno di noi ha sentito la prima volta l’immediatezza di un modo di esprimere il glocale, in tempi in cui non si poteva passare da uno stato all’altro per validi motivi di politica internazionale e quindi ci si autoriferiva ancora di più tra città, periferie urbane, contesti ibridi e agglomerati rurali in pieni contesti di sviluppo impazzito se non abusivo, laddove nella complessità delirante soprattutto under venti si è allargata a macchia d’olio questa paralisi artistica che ci portiamo dietro perché facile da trasportare, proprio come una chitarra acustica sulla spiaggia. E sono convinto che se non ci fosse stato lui avremmo detto sì lo stesso, ma almeno a qualcun altro.
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