«Scegliere la strada dell'ironia, ha osservato qualcuno, vuol dire cercare la giustizia.»
Ezio Raimondi.
Metto le mani avanti, assolvo tutti quanti hanno avuto che fare con me. Delle mie mancanze e colpe sono l'unico responsabile.
Ciò premesso, si rende necessaria un'aggiunta. La mia dichiarazione è oltremodo pericolosa non per le responsabilità personali che potrebbero diventare oggetto di denuncia morale da parte di
persone particolarmente pie e vocate alla condanna delle altrui condotte. Ma perché tale dichiarazione sposta il soggetto delle situazioni personali da quell'assieme di presupposti per cui ogni
persona è vista come il deposito di caratteri ereditari, di scelte provvidenzialistiche, di maturazioni sociali provocate dall'ambiente di provenienza o di formazione delle prime esperienze di
vita.
Per chi raggiunge successo e fortune indicibili, si fanno le pulci e ponti d'oro. Proprio a Rimini s'è visto Lapo Elkan tenere una lezione all'università. Quando si dice avere santi in paradiso.
Per chi può fregiarsi soltanto di batoste ricevute per decenni, basta ed avanza una risata che dovrebbe trasformarsi in un sorridente pernacchio, come in quella scena di Amarcord dove c'è il
sordino, l'equivalente al rumore sbeffeggiante alla Totò, secondo un vecchio termine locale.
La pernacchia oggi è qualcosa di più sofisticato, da conventicole segrete che non ammettono che uno che sta libero e giocondo possa dire la sua nei limiti della legge, senza offendere nessuno, ma
soltanto attraverso lo studio o qualche scritto occasionale di commento ai fatti della vita.
Quelle conventicole segrete spesso sono la trama quasi biblica che teologi carnevaleschi e manovratori ambiziosi al limite dell'impudicizia tessono, nel silenzio generale, perché sai com'è la
vita, non si sa mai, possono servirmi in caso di bisogno.
A queste cose sono allergico, e dicendo così mi contraddico, perché le allergie sono un fatto patologico determinato da una certa predisposizione biologica, della quale non ci si può vantare, ma
di cui si deve tener conto per una certa serie di comportamenti. Non posso dire che mi creo da solo le allergie. Sono certissimo invece del fatto che una psoriasi in zona oculare nel 2005 s'è
sviluppata quando il mio sito «storico», ovvero quello più antico, nato nel 1999, venne chiuso d'autorità dal gestore. Il quale aveva ricevuto da uno studio legale la comunicazione falsa secondo
cui ero sottoposto ad indagine giudiziaria per diffamazione a mezzo web.
Tutto falso, come l'ambiente e la società riminese in cui la mia inesistente vicenda personale andava e va collocata. Non si voleva che uno qualsiasi, uno che non voleva inginocchiarsi davanti a
nessuna autorità economica dispensatrice di grazie, e che non voleva sottostare alle griglie interpretative della storia e della cultura imposte da quell'autorità non per dono divino, ma per
affermare il principio secondo cui nessuna foglia doveva o poteva muoversi senza il suo permesso.
Tante volte allora, prima che il sito fosse riaperto nel 2007 soltanto esibendo la foto del giornale locale la cui copertina riportava la notizia di una condanna patteggiata in tribunale dal
signore che aveva fatto scrivere la lettera falsa contro di me (e l'avvocata che l'aveva firmata fu assolta dal suo ordine professionale perché l'aveva appunto soltanto firmata e non pure
composta…); tante volte prima di allora, dicevo, mi sono assunto la grave responsabilità filosofica e scientifica di dire che erano nato anarchico.
Ma nella vita si nasce o si diventa? Se chi compie una mala azione, come ad esempio quel vecchio amico e collega che negli anni Ottanta spinse il caporedattore del giornale a cui collaboravo con
una serie di articoli sulla Rimini del Novecento, ad intimarmi che dovevo fermarmi per cedere il passo e le pagine a quello stesso vecchio amico e collega, dunque costui è nato o è diventato tale
da permettersi di impedire ad un'altra persona di scrivere qualcosa?
Non vorrei apparire come colui che divaga dal vero senso delle cose, ma aggiungerei a questo punto qualche dubbio sulla coscienza di quel caporedattore, se non fossi certo che in lui il rispetto
gerarchico del potere configurato in un modo che non è mai stato confessato ma anzi confermato con l'attenuante, che riconosco sinceramente, della costrizione a compiere opera di favoreggiamento
soltanto per far ricavare all'istituzione a cui appartiene un utile economico al quale lui non partecipa. Quindi il voto dell'obbedienza premia chi comanda e costringe a disprezzare chi crede che
essere liberi significhi rispettare tutti e tutto.
A quale biologia politica appartiene chi si ritiene autorizzato a mettere veti perché un misero cronista faccia qualcosa che piacerebbe fare a lui per avere il monopolio dispotico della Storia
locale? Come si vede le domande crescono, le certezze diminuiscono, perché il «santo vero» di questa provincia addormentata è soltanto la spaccio trionfante di verità che si cuciono su misura per
pararsi la parte del corpo umano che la verecondia vuole non nominarsi.
Come spiegare altrimenti la bugia di quell'avvocato che immaginando i retroscena della vicenda del 2005 mi diceva che ormai i termini per una denuncia era scaduti, mentre non era vero. Come
s'accorse il suo assistente di studio quando mi sorprese davanti alla porta dell'ufficio 42 al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Rimini, con in mano la denuncia da presentare, per cui
sbottò in una domanda scandalizzata, «Ma che cosa ci fa qui?», come se mi avesse sorpreso in mutande e con i calzoni sul braccio nella stanza di un bordello (ovviamente felliniano).
Questo particolare scompagina non poco l'impostazione del mio racconto. Con una domanda conseguente: perché accadono certe cose? E se certe cose vengono a cambiare il corso della realtà che ci
circonda, qual è la forza nostra personale per cercare di imprimere un certo corso agli eventi?
Mia madre aveva un posacenere nella sala da pranzo borghesemente arredata con le mie librerie. Su di esso era tracciata una scritta, «Tutto arriva a chi sa aspettare». Per nobilitare l'oggetto e
quelle parole che esso offriva, forse basta la frase manzoniana con Renzo che evoca la Provvidenza. «La c'è la Provvidenza», spiega Ezio Raimondi, come opera di misericordia dell'uomo all'uomo
secondo il precetto evangelico della carità, ricordando che all'osteria della Luna piena lo stesso Renzo aveva gridato spavaldo agli avventori di aver in mano «il pane della provvidenza». Che
saggiamente Manzoni, aggiungo, scrive questa volta senza iniziale maiuscola.
Gira e rigira mi ritrovo a fare i conti con due Grandi, quel Manzoni che ho sempre amato, ed Ezio Raimondi, Maestro di uno stile non soltanto letterario ma di vita. Ecco perché proprio in capite
di queste povere pagine ho inserito quella sua frase, «Scegliere la strada dell'ironia, ha osservato qualcuno, vuol dire cercare la giustizia», che per me ha sempre voluto dire parecchio.
Per tanti anni sui fogli locali ho tenuto rubriche percorrendo quella strada dell'ironia che serviva appunto per cercare la strada della giustizia. Forse per questo motivo, negli ultimi periodi,
tanti illustri e potenti reazionari concittadini, alcuni per fissazione maniacale, altri per pregiudizio politico, hanno tentato di farmi sparire dalle pagine. Li ho accontentati. E mi sono
ritirato. Da due anni.
Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA