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Una lacrima ci fregerà, si era detto.
Ma questo sembra valere più per i francesi che non per Nanni Moretti, che sì, ci commuove e ci fa piangere, ma non ci frega.
Perchè nel suo ultimo film, a tratti autobiografico (anche se non dichiarato), dispone le cose in modo da creare e rompere l'empatia con i suoi personaggi, e perchè alcune di queste cose non tornano.
Margherita Buy -impegnata a mettere da parte l'ansia che arriva ed esplode comunque in più scene che la rinchiudono ancora una volta in questa sfera emotiva- è chiamata a fare il verso a Moretti stesso, diventandone un alter ego al femminile che dirige ma non vorrebbe dirigere, che pensa a voce alta, che si perde nei suoi pensieri, che scoppia gridando l'amara verità in faccia a tutti.
Il montaggio, però, è in alcuni punti confuso, alternando sogni ad occhi aperti, sogni che si fanno incubi, fantasie e quella realtà che non si vuole affrontare, divisa tra un set in cui tutto sembra andare per il verso sbagliato, e quella stanza d'ospedale in cui la verità è difficile da accettare e affrontare.
Margherita si trova così a dover confrontarsi con un lutto che sta per arrivare, vedendo spegnersi quella madre piena di vita davanti ai suoi occhi, mentre a lavoro, durante le riprese, le biffe del gran attore americano (decaduto) rallentano i tempi, mordono la sua pazienza già di per sé fragile.
Ed è questo secondo piano, quello lavorativo, quello che funziona di più, mostrandoci i dietro alle quinte con ogni probabilità accaduti, mostrandoci i compromessi, le esigenze e le richieste di un regista, con i suoi scatti d'ira e di dubbi che vanno a riversarsi sui collaboratori, con i giornalisti pronti ad interpretare tutto a loro modo, con domande e riflessioni che vanno a toccare, ça va sans dire, il cinema stesso di Moretti.
E' una dichiarazioni di intenti la sua, un piccolo manifesto su cosa e come è il cinema.
Poi però c'è la parte emotiva, quella famigliare a fare da contraltare, e qui le cose si perdono.
Non tanto per come il tema della morte viene affrontato, quanto per come ci viene mostrato, in modo confuso attraverso stacchi onirici, attraverso una recitazione che si fa forzata e poco naturale, cosa che da sempre contraddistingue lo stesso Moretti, che qui si ritaglia il ruolo laterale del fratello di Margherita, altrettanto stanco ma più aderente al reale.
Il risultato è così squilibrato, passando per una gag di un John Turturro incontenibile all'aggravarsi delle condizioni di Ada, passando per i dubbi su come girare una scena in auto al decidere se informare o meno la persona interessata delle sue vere e attuali condizioni, l'equilibrio si fa instabile.
Ci si perde un po', un po' troppo, tra le strade di Roma che Margherita e i suoi grandi occhi blu percorrono, ci si perde nelle sue fantasie, nei suoi ricordi, messi in modo confuso all'interno di una trama che perde così la sua linearità, senza scalfire.
Il buco peggiore arriva nel finale, lì dove quelle lacrime ci stavano fregando, con l'ennesimo ricordo, con l'ennesimo passo indietro che chiama quelle lacrime, chiama pure un sorriso tra queste, finendo per essere una ruffianeria evitabile.
Quello che resta è comunque un film NanniMoretti DOC, più intimista e meno politico, caratterizzato da interpretazioni (Giulia Lazzarini su tutti) comunque in parte, e da delle musiche ancora una volta da brividi e molto, molto chic.
Gli scivoloni ci sono, purtroppo, e o si vedono, o quelle lacrime hanno già offuscato la vista, fregandoci.
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