Sfoglio il quotidiano. Poggio i piedi sulla scrivania. Oggi,di lavorare non ho voglia. Nella testa ho solo un concentrato di pensieri come non ne ho mai avuti. Non ricordo la mia mente ne abbia partoriti di così tanti dopo un semplice “certo”. Incredibile,quanto una parolina insignificante “certo” seguita da una altrettanto piccola parolina “volentieri”, possa scatenare pensieri.
E mi viene in mente la mamma. Santa donna. Mi chiedo se anche ad altri, in questi momenti, viene in mente la mamma. Guardo le scarpe poggiate a terra, allineate perpendicolarmente alla sedia. I piedi sulla scrivania e i calzini. Si direbbe siano da cambiare. Erano di un grigio più scuro una volta. Maria deve aver sbagliato candeggio.Candeggio. Mia madre diceva sempre “vado a candeggiare”, canotte di mio padre alla mano. Santa donna. Se vedesse i miei piedi sulla scrivania.
Sbuffo,chiudo gli occhi e la vedo. Il sorriso di quel “certo,volentieri”. La fossetta al lato della bocca. Bocca. Labbra. Occhi. I suoi occhi. Guerre, morti, morti ammazzati, incidenti,politici mangioni. Nulla di nuovo neppure oggi. Leggo sul trafiletto “cuoco a domicilio”. Mi segno il numero. Mia madre, santa donna, direbbe che sarebbe uno spreco. “Uno col talento come il tuo, riesce in qualunque cosa si applichi”. Santa donna. Chissà che penserebbe se sapesse che non so lessare neppure un uovo.
Eppure, è stata proprio lei, santa donna, a viziarmi, con le sue ciambelle la mattina, gli spaghetti sguazzanti nel sugo a mezzogiorno, la carne di cavallo a cena e il bicchiere di latte prima d’andare a dormire. Mai ch’avessi alzato un dito. “Roba da donna” Diceva “Roba da mamma.” “Tu” battendosi l’indice sulla tempia destra “ lavora con questo e vedrai! Vedrai!”. Ed è con quello che lavoro. Da vent’anni. Le mie mani si direbbero affusolate, lisce, mani d’uomo che non saprebbe neppure rimestare la sabbietta in una cassettina di feng shui. Le unghie cortissime. La pelle leggermente abbronzata. Rimetto su le scarpe. Devo dire a Maria di lucidarle un po’, sembrano sbiadite. Giacca, cellulare, chiavi. Torno a casa. Esco un po’ prima. Devo portar fuori Ermes e controllare che tutto sia a posto.
La signora Rita, del primo piano, stende il bucato. Mi sorride. Le sorrido. Ha mani grandi Rita. E anche una pancia grande. “Che occhi grandi…” leggeva mia madre. Santa donna. Mia madre. Le piacerebbe la signora Rita. Sgranerebbero insieme rosari sulle panche della chiesa dietro l’angolo e sbuccerebbero pisellini freschi il lunedì, dentro ampi grembiuli sulle ginocchia. Ne sono certo. Ermes mi viene incontro. Deve essersi annoiato tanto. Che vita strana, fanno, i gatti. Una vita beata. Direbbe mio padre. Una vita senza senso. Mia madre. Santa donna. Maria sbuca dalla camera da letto. “Ah! Bentornato!” Sorride. “Senti. Ho messo su le lenzuola pulite e stirate, ho messo quelle blu, il blu rasserena sai? Gli asciugamani al solito posto. Ermes ha giocherellato con una delle tue camicie, me la porto e la lavo, te la riporto Lunedì, ne hai un altro centinaio nell’armadio” ridacchia. “Non volevi quella blu scuro proprio questa sera,vero? Comunque ne hai una dozzina di colore simile là dentro” indicando con la testa la porta della camera. Maria, senti, i calzini, vedi? Le dico, sfilandomi la scarpa. Lei si avvicina, guarda in basso.“Ah, sì, erano grigio topo una volta. Ora sono fumè.Dovrai abbinarli bene” risponde, poggiando la grande borsa sul tavolo della cucina. Guardo il mio piede nudo sul parquet dell’ingresso. Non ho mai capito la differenti sfumature cromatiche con cui le donne sanno nominare ogni singolo oggetto. E le scarpe,vedi? Forse sono da lucidare.“Ah, sì, sembrano impolverate. E’ normale. Ti ostini ad andare al lavoro a piedi. Ne hai un altro centinaio là dentro. Ne troverai un paio adatte per stasera,no?” Maria, quattro figli e un marito assente. Le mani grandi e i capelli corti corti, il naso un po’ schiacciato, la pancia prominente. Bada a tre case con altrettanti gatti, nel mio stesso palazzo. Mai una smorfia, mai un lamento. Sorriso sulle labbra. Si avvia alla porta. “Ah! Senti, ho lucidato bene il parquet, ho passato l’aspirapolvere sul tappeto davanti al divano. In cucina. Trovi la ricetta per gli spaghetti. Non preoccuparti, devi solo mettere l’acqua e quando fa le bolle grandi ci butti giù una manciata di spaghetti. In frigo trovi la padella con la salsa che devi metterci sopra. Mi raccomando. Bada a tirarla via prima,così si stempera. Accendi il fuoco e la scaldi. Sai farlo quello,vero? E’ come per le schifezze che mangi quando non vai al ristorante. Solo sta attento a non bruciarla!Il secondo è pronto in forno. Tiralo su qualche minuto prima degli spaghetti, scaldi anche quello e lo porti così com’è a tavola. Ok?” Faccio sì con la testa.Sorride. “Bene! Vedrai, te la caverai benissimo.” Pensi? Le chiedo. “Oh sì!! E’ come andare in bicicletta,sai? La poggi lì, usi l’auto per tutti i giorni, per i viaggi, per la spesa, la bici solo il sabato o la domenica mattina. Ma appena la prendi, sai già dove mettere le mani, i piedi e come sedertici sopra.” Sorride di nuovo. “Sai andare in bicicletta,vero?”. Si, sì. Certo. E’ che ... guardo il piede sul parquet dell’ingresso,ancora nudo. Si avvicina. Mi strizza una guancia. Mia madre lo faceva spesso. Santa donna. “Hai le guance più belle che si siano mai viste,bimbo mio,sai?” Diceva. Santa donna.
“E’ solo una donna. Una bella donna – l’ho intravista l’altro giorno,sai? – E’ come andare in bicicletta, ti dico. Dà retta a me. Fidati. Non morde mica. Ah! A proposito. Ermes l’ho portato fuori io. Veramente è sgusciato dalla porta quando ho risposto alla signora Sandra che ha citofonato per lo zucchero. Sono già tre volte in una settimana. Avranno tutti il diabete in quella famiglia ...”Chiudo la porta e mi getto sul divano. Sfilo via l’altra scarpa. I pantaloni. La camicia. I calzini. Grigio fumè, grigio topo. Esiste anche un grigio topo?Ed è questo,il grigio fumè? Sotto la doccia scivolano via molti pensieri. Faccio la barba. Sono bravo a non tagliarmi. “Se ti tagli disinfetta tutto con l’acqua ossigenata,eh!Mi raccomando”. Direbbe mia madre. Santa donna. Sorrido allo specchio. E invece un taglietto lo scovo, lì,appena appena sotto il mento. Devo esser invecchiato. Guardo la mia immagine riflessa nello specchio. Giusto qualche ruga ai lati degli occhi. “Queste,vedi? Sono rughe da sorrisi, bimbo mio” diceva mia madre “vengono a chi sorride e sorride e sorride,sempre. Fatti venire queste rughe eh, mi raccomando! Voglio vederti pieeeeeno di rughe così! Sorridi! Su! Che sei bello!”. Chissà cosa direbbe, ora, mia madre, vedendo quelle rughe d’espressione. E quei capelli bianchi sulle tempie, che si mescolano infingardi tra gli altri.
Non indosso la canotta da anni. Credo d’aver smesso un’estate di qualche decennio fa. E non l’ho più messa. Sarà il caso? E’ autunno, ma è caldo. E se poi? No. Le 19. Ermes è fuori sul balcone. Accovacciato dentro al vaso di gerani di Maria. Erano,gerani,un tempo. Ora, solo un vaso con della terra compattata dai lunghi sonni di Ermes. I gatti. Sembra abbiano il mondo a loro disposizione. Quanto li invidio. Lei arriva puntuale. Per una donna, è quasi un’eccezione. Ma lei, lo è. Un’eccezione. Un’eccezione nella mia routine quotidiana. Mia madre direbbe che routine suona male, sa di monotonia, di incolore, di assenza. E lei, una lei, era assente da tempo. Non ricordo più da quanto. Sorride. Un bacio lieve sulla guancia.
“Ho portato il vino.” Sorride di più. “Se non ricordo male, è quello che ti piace. Dovresti metterlo in frigo però,credo si sia scaldato un tantino..” ride un po’ porgendomi la bottiglia. Sì,è il mio preferito. Se anche non lo fosse,che importanza ha? L’hai portato tu, le direi, basta questo. Sediamo impacciati alla penisola della cucina. La ascolto parlare. Le guardo i capelli, le mani, mentre gesticola. Stappo una bottiglia di non so cosa, Maria dice “bollicine,basta che ci siano le bollicine”. E le verso da bere in un flute.
Ho messo su la camicia blu. Un blu non so cosa,ma blu. Mi piace il blu. Mi rasserena. Lo dice anche Maria. Il pantalone blu anche lui. Mi chiedo se non sembro buffo, tutto di blu. Ha quasi litigato con una collega,oggi, mi racconta. Per fortuna ha molto autocontrollo. E poi, dice, “non volevo rovinarmi la serata con una stupidaggine del genere” Sorride. “ E la tua giornata?Com’è andata?”. Penso ai miei piedi sulla scrivania. Ai calzini grigio topo diventati grigio fumè. Alle scarpe impolverate. Penso agli spaghetti, dovrei mettere su l’acqua e aspettare che faccia le bolle. Tirare fuori la salsa, ricordarmi del secondo in forno.Invece,la guardo, i suoi occhi, la sua bocca, la fossetta ai lati delle labbra quando sorride.
Le allontano una ciocca di capelli dal viso, la metto così,dietro l’orecchio. Il mio indice sfiora appena la sua fronte, la sua tempia. Ho una irrefrenabile voglia di baciarla. Si può baciare una donna al primo appuntamento? Non sarebbe la prima volta. Ci siamo già visti. Ci conosciamo. Ci conosciamo? Ma qui. Casa. Mia. “E’ come andare in bicicletta,sai come si fa vero?” direbbe Maria.
Non ne sono più tanto sicuro. Non sono più sicuro di niente,quando è con me. Quando sono con lei. Passo il pollice sul mento. Il taglietto non si nota più. La ascolto parlare. Il suo cane, dice, oggi non ne ha voluto sapere di anticipare la passeggiata serale e temeva di far tardi. L’ha strattonata su e giù per il quartiere, e il guinzaglio non regge in una mano così piccola. “Ecco cosa capita,quando decidi di prenderti un cane che è il doppio di te! Ti fa correre su e giù e ti costringe a docce dell’ultimo minuto per non far tardi” Ride.
Doccia. Com’è fare la doccia con te? Mi chiedo. E baciarti?Qui, a casa mia? Come andare in bicicletta. Mi sembra di ricordare. Dove mettere le mani, come, per quanto tempo. Mi sembra di sapere,dove metter i piedi e come mantenere l’equilibrio. Mi sembra quasi di sentire, il vento sul viso. Il suo respiro. Le sue mani. La sua bocca. I suoi capelli. Lei.
Tiro fuori la pentola, metto su l’acqua. Tiro via dal frigo la padella con la salsa e prendo un mestolo nel cassetto. “Vuoi una mano?” mi sorride. Il blu,indosso a lei, sembra ancora più bello. Rasserenante, direbbe Maria. “Semplicemente meraviglioso, figlio mio, meraviglioso”, mia madre. Santa donna.
Livia. Meraviglioso. Hai ragione mamma, meraviglioso.
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