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Mia suocera bene, Diego De Silva

Creato il 16 maggio 2011 da Mdeconca

Mia suocera bene, Diego De SilvaLa struttura alternata, che in Italo Calvino (Se una sera d’inverno un viaggiatore) e in Vincenzo Consoli (Retablo) ha nobili predecessori nella tradizione novecentesca, è in realtà un espediente limitato ad una parte del romanzo, un buon due terzi; per il resto -uscito dal supermercato- tutta la vicenda si stringe su Vincenzo e sui suoi dilemmi esistenziali, ricalcando -ma forse è solo un’impressione- gli stilemi di Salvo Montalbano (fidanzata assente, ma presente; angelo custode come il secondo io a cui riferirsi durante le riflessioni personali), creatura di Andrea Camilleri. 

De Silva non riesce a sostenere il peso di una trama unica e allora si affida ad un puzzle di racconti: ciascun capitolo è infatti un microcosmo a sé nel quale di volta in volta sono snocciolate vicende differeti il cui sviluppo contribuisce a delineare i tratti del protagonista principale.
Un po’ come Luis Sepulveda, De Silva rinuncia ad una rappresentazione omnicomprensiva per poter tracciare -secondo un sistema monadico- la vicende differenti quando coerenti di un antieroe dei nostri giorni.
Non a caso i capitoli più belli, forse più eticamente e letteralmente seri, sono quelli legati a due canzoni (Diario – Equipe84; Se bruciasse la città, Massimo Ranieri), colonne sonore differenti di momenti distanti nella crescita del personaggio principale. E’ la rinuncia ad una ragione unica che possa spiegare tutto e l’inzio di una metafisica dell’accidente (“Il mond
o è tutto ciò che accade”, L. Wittgenstein ???) come momento fondante in cui siamo messi alla prova. Le due canzoni sono vivisezionate e adattate, ma anche criticate in modo puntuale insieme al momento stesso in cui sono state scritte.

Mia suocera beve è dunque un romanzo puzzle coerente con la letteratura più relativista degli ultimi anni, dalla scrittura dissacrante e linguisticamente piena, in cui anche il fatto linguistico assume un valore etico-etimologico pregnante; è un romanzo in cui tutta la realtà, con comico e grottesco senso dell’imitazione [sono parodiate con perfetto stile mimetico le pagine dei giornali in cui compaiono le gesta di Malinconico con una sapienza ed una fine attenzione al particolare; così come è definitivamente dissacrato il reality ed il talk show all'insegna dell'adagio sic transit gloria mundi], ritorna quasi con finalità catartiche.
Malinconico alla fine è un antieroe credibile, frutto di una maturazione linguistica e narrativa di un autore che ha abbandonato il neorealismo eroico e veramente malinconico di Certi bambini, a favore di una visione più disincantata e quindi relativistica del senso di giustizia, alla fine riassunto nella ricerca di sopravvivenza dignitosa del protagonista.

Da leggere con leggerezza, ovvero con un animo predisposto alla riflessione interiore.

 


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