La struttura alternata, che in Italo Calvino (Se una sera d’inverno un viaggiatore) e in Vincenzo Consoli (Retablo) ha nobili predecessori nella tradizione novecentesca, è in realtà un espediente limitato ad una parte del romanzo, un buon due terzi; per il resto -uscito dal supermercato- tutta la vicenda si stringe su Vincenzo e sui suoi dilemmi esistenziali, ricalcando -ma forse è solo un’impressione- gli stilemi di Salvo Montalbano (fidanzata assente, ma presente; angelo custode come il secondo io a cui riferirsi durante le riflessioni personali), creatura di Andrea Camilleri.
De Silva non riesce a sostenere il peso di una trama unica e allora si affida ad un puzzle di racconti: ciascun capitolo è infatti un microcosmo a sé nel quale di volta in volta sono snocciolate vicende differeti il cui sviluppo contribuisce a delineare i tratti del protagonista principale.
Un po’ come Luis Sepulveda, De Silva rinuncia ad una rappresentazione omnicomprensiva per poter tracciare -secondo un sistema monadico- la vicende differenti quando coerenti di un antieroe dei nostri giorni.
Non a caso i capitoli più belli, forse più eticamente e letteralmente seri, sono quelli legati a due canzoni (Diario – Equipe84; Se bruciasse la città, Massimo Ranieri), colonne sonore differenti di momenti distanti nella crescita del personaggio principale. E’ la rinuncia ad una ragione unica che possa spiegare tutto e l’inzio di una metafisica dell’accidente (“Il mond
o è tutto ciò che accade”, L. Wittgenstein ???) come momento fondante in cui siamo messi alla prova. Le due canzoni sono vivisezionate e adattate, ma anche criticate in modo puntuale insieme al momento stesso in cui sono state scritte.
Mia suocera beve è dunque un romanzo puzzle coerente con la letteratura più relativista degli ultimi anni, dalla scrittura dissacrante e linguisticamente piena, in cui anche il fatto linguistico assume un valore etico-etimologico pregnante; è un romanzo in cui tutta la realtà, con comico e grottesco senso dell’imitazione [sono parodiate con perfetto stile mimetico le pagine dei giornali in cui compaiono le gesta di Malinconico con una sapienza ed una fine attenzione al particolare; così come è definitivamente dissacrato il reality ed il talk show all'insegna dell'adagio sic transit gloria mundi], ritorna quasi con finalità catartiche.
Malinconico alla fine è un antieroe credibile, frutto di una maturazione linguistica e narrativa di un autore che ha abbandonato il neorealismo eroico e veramente malinconico di Certi bambini, a favore di una visione più disincantata e quindi relativistica del senso di giustizia, alla fine riassunto nella ricerca di sopravvivenza dignitosa del protagonista.
Da leggere con leggerezza, ovvero con un animo predisposto alla riflessione interiore.