Michael Caine è uno degli attori inglesi più conosciuti del cinema mondiale, con alle spalle più di cento pellicole. Insieme ad Harvey Keitel è stato protagonista dell’ultimo film di Paolo Sorrentino “Youth - la giovinezza” e la Cineteca Italiana lo omaggia nella rassegna “Michael Caine & Harvey Keitel” in programma alla Sala Oberdan di Milano.
E’ interessante mettere a confronto i differenti stili dei due attori. Harvey Keitel, come abbiamo diffusamente scritto in un precedente articolo, ha una recitazione corporea e fisica, che ha sempre caratterizzato le sue performance; anche Caine all’inizio ha interpretato ruoli in cui era necessaria una certa prestanza fisica, elemento attoriale scemato con il passare degli anni, dando invece risalto a una recitazione espressionista e controllata. E’ rimasta costante nel tempo questa sua capacità di rendere ambigui i personaggi da lui interpretati, sempre borderline, grazie a uno sguardo obliquo e fermo, con una vasta gamma di espressività facciali.
Michael Caine è della stessa generazione di Keitel (nasce a Londra nel 1933) ed è quanto meno curiosa la similitudine della biografia dei due attori: anche Caine appartiene a una famiglia modesta del proletariato urbano (il padre è uno scaricatore di porto e la madre una domestica) e vive un’adolescenza turbolenta che ha il suo punto di arrivo nel reclutamento nelle forze armate inglesi – come per Keitel nei Marines. Dopo l’esperienza nei Royal Fusiliers, che lo vede partecipare anche alla Guerra di Corea dal ’52 al ’54, frequenta una scuola di recitazione e debutta brevemente in teatro. Si avvicina quasi subito al cinema e durante tutti gli anni 50 compie una lunga gavetta, sviluppando le proprie doti attoriali in numerosi e modesti film con ruoli del tutto secondari (molte volte neppure accreditato).
Diventa protagonista nel decennio successivo e il primo successo arriva con l’interpretazione della spia inglese Harry Palmer, antieroe di una serie di fortunate pellicole, e alter ego del più famoso James Bond: “Ipcress” (1965), “Funerale a Berlino” (1966), “Il cervello da un miliardo di dollari” (1967) e ancora ripreso negli anni 90 in “All’inseguimento della morte rossa” (1995) e “Intrigo a San Pietroburgo” (1996).
Interprete al servizio di innumerevoli autori – da John Huston a Brian De Palma, da Woody Allen a Christopher Nolan – la sua attività si alterna tra ruoli principali e quelli da caratterista, anche in molti film non memorabili, mettendo in risalto la sua grande versatilità.
Un esempio delle sue capacità lo troviamo in uno dei cinque film che compongono la rassegna alla Cineteca, “The Quiet American” (2002) di Phillip Noyce. Caine interpreta un reporter inglese, Thomas Fowler, che lavora e vive nel Vietnam degli anni 50, durante la Prima Guerra indocinese tra i Viet Minh comunisti e l’esercito colonialista francese. Tratto dall’omonimo romanzo di Graham Greene, sullo sfondo delle vicende storiche, si sviluppa l’intreccio principale del film che vede un triangolo amoroso tra la sua giovane amante vietnamita e un americano, Alden Pyle, consulente economico dell’ambasciata statunitense. In realtà Pyle è un agente della CIA e ben presto Fowler scopre che l’americano è l’architetto di un piano per destabilizzare il paese e creare disordine, attaccando con attentati mirati sia i francesi che i vietnamiti, per cercare una “terza via”, quella degli interessi americani nella zona (all’interno del grande scacchiere della Guerra Fredda). Spinto dalla folle gelosia nei suoi confronti, Fowler venderà il concorrente in amore - che nel frattempo ha conquistato il cuore della sua amante vietnamita – a una cellula rivoluzionaria vietnamita, facendolo assassinare.
Remake del film di Joseph L. Mankiewicz del 1958, la nuova pellicola del regista australiano risulta didascalica nella messa in scena e, pur con una fotografia che gioca su nuance dai colori caldi e scuri, con riprese notturne suggestive (in particolare durante le sequenze degli scontri a fuoco al fronte), e una scenografia molto curata, “The Quiet American” è opera modesta di nessun spessore. Ma proprio per queste manchevolezze, risalta ancora di più la recitazione di Michael Caine che riesce a costruire un personaggio complesso e profondo, grazie al suo sguardo obliquo che nasconde un intero mondo di emozioni, centellinate in primi piani che l’attore inglese riempie con grande intensità. E, alla fine, l’unico interesse per il film in questione è il suo essere un palcoscenico ideale per ammirare le capacità interpretative dell’attore inglese.
Del resto l’ambiguità recitativa dello sguardo in macchina viene ben evidenziata anche negli altri titoli della rassegna a lui dedicata: ne “L’uomo che volle farsi re” (1975) dI John Huston lo presta all’ex soldato coloniale Peachy Carnehan, alla conquista del tesoro nel Kafiristan con il suo sodale Daniel Dravot (Sean Connery), in una narrazione avventurosa di ascesa e sconfitta dal sapore esplicitamente kiplinghiano; la sua capacità mimetica fiorisce nel thriller “Vestito per uccidere” (1980) di Brian De Palma, dove dà corpo, e soprattutto il volto, allo psicologo killer dottor Elliott in una performance recitativa che ha creato una nuova icona del cinema a venire; o il marito fedifrago di “Hannah e le sue sorelle” (1986) di Woody Allen perso nei mille dubbi amorosi tra due sorelle, una la moglie e l’altra l’amante; per arrivare al recente “Mister Morgan” (2013) di Sandra Nettelbeck, dove interpreta un vedovo inconsolabile e dimessosi dalla vita.
Michael Caine è un attore al confine, al limite dell’orizzonte, quello dello sguardo dei suoi personaggi, che riesce a trasformare, a seconda dei casi, il proprio sorriso in un’espressione solidale e umana oppure in un ghigno rabbioso e violento, regalando allo spettatore emozioni vere e sentite.
Antonio Pettierre
“Michael Caine & Harvey Keitel”, Fondazione Cineteca Italiana, Spazio Oberdan, Sala Alda Merini a Milano dal 3 al 12 luglio 2015 http://oberdan.cinetecamilano.it/eventi/michael-caine-harvey-keitel/