Magazine Poesie

Michail Lermontov

Da Paolo Statuti

Poesie di Michail Lermontov tradotte da Paolo Statuti

 

Preghiera

Non incolparmi, Onnipotente,

E non punirmi, t’imploro,

Se il buio funebre della terra

Con le sue passioni io adoro;

Se di rado nell’anima entra

Il torrente della tua parola viva;

Se nell’errore la mia mente

Vaga lontano dalla tua riva;

Se trabocca dal mio petto

La lava dell’ispirazione;

Se i selvaggi fermenti

Offuscano la mia visione;

Se questa terra mi è angusta,

Di penetrare in te ho paura, ed io

Spesso i canti del peccato

Prego, non te, mio Dio.

 

Ma estingui questa magica fiamma,

Il fuoco che tutto distrugge,

Trasforma il mio cuore in pietra,

Ferma lo sguardo che si strugge,

Dalla tremenda sete di versi

Fa’ ch’io sia libero, o creatore,

E allora sulla via della salvezza

A te di nuovo mi volgerò, o Signore.

1829

 

La mia casa

La mia casa è sotto la volta celeste,

Dove risuonano i canti soltanto,

Dove ogni scintilla di vita risplende,

Ma per il poeta lo spazio è tanto.

 

Dal tetto egli arriva alle stelle,

E il lungo sentiero tra le mura,

Chi ci abita, non con lo sguardo,

Ma con la sua anima misura.

 

La verità è nel cuore dell’uomo,

Il sacro seme dell’eternità:

Spazio senza fine, secoli interi,

In un baleno esso abbraccerà.

 

E la mia bella casa onnipotente

Per questo sentimento è costruita,

Dovrò soffrire a lungo in essa,

E solo in essa avrà quiete la mia vita.

1830

 

Il mendicante

 

Sulla porta di un santo convento

Un poveretto chiedeva la carità,

Magro, sofferente ed oppresso

Dalla fame, dalla sete, dalla povertà.

 

Chiedeva solo un pezzo di pane,

E lo sguardo mostrava la sua pena,

E qualcuno un sasso posò

Sulla sua mano distesa.

 

Così io imploravo il tuo amore

Con pianto amaro e ardente;

Così i miei sentimenti migliori

Eran delusi da te per sempre!

1830

 

Sole d’autunno

 

Io amo il sole d’autunno, quando

Tra nuvole e nebbie si fa largo,

E getta un pallido morto raggio

Sull’albero cullato dal vento,

E sull’umida steppa. Io amo il sole,

C’è qualcosa nello sguardo d’addio

Del grande astro simile all’occulta pena

Dell’amore tradito; non più freddo

Esso è in sé, ma la natura

E tutto ciò che può sentire e vedere,

Non provano il suo calore; così è

Il cuore: in esso è ancora vivo il fuoco,

Ma la gente un giorno non lo capì,

E da allora negli occhi brillare non deve,

E le guance non sfiorerà in eterno.

Perché di nuovo il cuore sottoporre

A parole di dubbio e allo scherno?

1830 o 1831

 

Il mio demone

 

   1

 

La somma dei mali è il suo elemento;

Volando tra nembi scuri e foschi,

Egli ama le fatali tempeste,

La spuma dei fiumi e il fruscio dei boschi;

Egli ama le notti cupe,

Le nebbie, la pallida luna,

I sorrisi amari e gli occhi

Che non sanno il sonno né lacrima alcuna.

 

     2

 

Le ciarle futili del mondo

Egli è avvezzo ad ascoltare,

Egli deride le parole di saluto

E ogni credente ama beffeggiare;

Estraneo all’amore e alla pietà,

Dal cibo terreno è sfamato,

Ingoia ingordo il fumo dello scontro

E il vapore del sangue versato.

 

   3

 

Se nasce un nuovo sofferente,

Lo spirito del padre egli affligge,

Egli è qui col severo sarcasmo

E la rozza gravità dell’effige;

E quando qualcuno già discende

Con l’animo tremante nel sepolcro,

Trascorre con lui l’ultima ora,

Senza dare al malato alcun conforto.

 

   4

 

L’altero demone non mi lascerà,

Finché in vita io sarò,

E la mia mente prenderà a illuminare

Come un magnifico falò;

Mostrerà un’immagine di perfezione

E poi per sempre la toglierà

E, datomi un presagio di letizia,

Da lui non avrò mai felicità.

1831

 

No, non sono Byron…

 

No, non sono Byron, sono un altro

Eletto ancora sconosciuto,

Come lui, dal mondo vessato,

Ma con l’anima russa io sono nato.

Cominciai presto, finirò prima,

Non molto compierà la mia mente;

Nella mia anima, come nell’oceano,

Giacciono le mie speranze infrante.

Chi può, o tenebroso oceano,

Conoscere i tuoi segreti? Qualcuno

Narrerà alle folle i miei pensieri?

Io sono Dio – o non sono nessuno!

1832

 

La vela

 

Biancheggia una vela solitaria

Nella nebbia azzurra del mare!..

Cosa cerca nel paese lontano?

Cos’ha lasciato nel paese natale?..

 

Giocano le onde – il vento sibila,

E l’albero si piega e geme…

Ahimé, – la fortuna non cerca

E dalla fortuna non viene!

 

Sotto ha la corrente azzurra,

Sopra – del sole l’effige dorata…

Ma essa, inquieta, cerca la tempesta,

Come se in questa la quiete fosse data!

1832

 

Preghiera

 

O Madre di Dio, sono qui in preghiera

Davanti al tuo volto come intensa luce,

Non la salvezza, non la gratitudine,

Né il pentimento a te mi conduce,

 

Non per la mia anima deserta, l’anima mia

Di ramingo senza patria ti prego nel profondo,

Ma voglio affidare a te una vergine innocente,

A te che proteggi dal gelido mondo.

 

Circonda di felicità chi è degno d’averla,

Dagli compagni benigni in abbondanza,

Una bella giovinezza, una serena vecchiaia,

Al cuore mite dai la pace della speranza.

 

E quando si avvicinerà l’ora dell’addio,

Tu manda per vegliare al letto del dolore,

Sia in chiassoso mattino o in notte silente,

L’anima leggiadra dell’angelo migliore.

1837

 

Preghiera

 

In un momento arduo della vita,

Quando la tristezza stringe il cuore:

Una prodigiosa preghiera

Io recito a memoria.

 

C’è un’intensità beata

Nell’armonia della parola viva,

E in essa inesplicabile

Un sacro incanto spira.

 

Dall’anima come un grave peso

La coscienza rotola via distante –

E si vuol credere, e si vuol piangere

Ed è un lieve, così lieve istante…

1839

 

Le nuvole

Nuvole celesti eternamente erranti!

Sulla steppa azzurra come perle infilate,

Dal caro nord verso il meridione

Scorrete, come me, esiliate.

 

Cosa vi spinge: Il volere del destino?

Una segreta invidia? Un’ira manifesta?

O vi opprime il peso di un delitto?

O degli amici la venefica maldicenza?

 

No, vi hanno annoiato gli aridi campi…

A voi sono estranee passioni e pene;

In eterno fredde e in eterno libere,

Voi una patria e un esilio non avete.

1840

 

Il profeta

Dal giorno in cui il giudice eterno

Mi ha dato del profeta l’onniscienza,

Negli occhi degli uomini io leggo

Pagine di rabbia e di violenza.

 

A predicare presi allora i precetti

Della verità e dell’amore alla gente:

Cominciarono a coprirmi d’insulti

E a tirarmi pietre follemente.

 

Mi cosparsi il capo di cenere,

Come un mendico fuggendo la città,

Ed ora come uccello nel deserto vivo,

Mangiando solo ciò che Dio mi dà;

 

La creatura terrestre m’è sottomessa,

Le leggi del Signore rispettando,

E le stelle mi ascoltano di notte,

Coi raggi lietamente giocando.

 

E quando nella città chiassosa

Entro a volte con passo affrettato,

I vecchi dicono ai bambini

Con un sorrisetto malcelato:

 

«Guardate: ecco un esempio per voi!

Egli superbo da noi è fuggito;

Lo sciocco pensava: ciò che dice Dio

Dalla mia bocca è uscito!

 

Guardatelo, bambini miei:

Che figura pallida e trista!

Guardate com’è magro e nudo,

E come ridono alla sua vista!»

1841

 

Il sogno

 

Nella valle del Daghestan infocata

Col piombo nel petto immobile stavo;

Dalla ferita ancora fumante,

A goccia a goccia il mio sangue versavo.

 

Giacevo solo sulla sabbia della valle;

Sporgenze di rocce premevano intorno,

E il sole bruciava le gialle sommità

E pur me – ma io dormivo, come morto.

 

Rischiarato dai fuochi nel paese natale

Un banchetto sognavo in quel mentre.

Giovani donne inghirlandate

Parlavano di me allegramente.

 

Ma, ignorando la lieta conversazione,

Una di loro sedeva sola e pensosa,

La sua giovane anima era triste

E immersa Dio solo sa in che cosa;

 

E sognava il Daghestan, dove giaceva

Un cadavere a lei noto, nel cui petto

Fumando, anneriva la ferita,

Da cui il sangue colava ormai freddo.

1841

 

(C) by Paolo Statuti



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