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Micheal Schumacher: analisi della comunicazione attorno al campione
Creato il 25 marzo 2014 da SporthinkInfatti, oltre ai numerosi record di tipo sportivo, Schumacher detiene anche l’indiscutibile primato di essere stato il primo campione ad aver sfruttato la propria immagine su tutti i fronti possibili del marketing e della comunicazione. Prima di lui solo il mito di Ayrton Senna era riuscito a creare un minimo di merchandising personale capace di identificare il tifoso con il campione, ma con il tedesco si è andato ben oltre.Schumi creò un logo e una linea di vestiario e altri prodotti in vendita online e per corrispondenza con licenziatari per ogni singolo
Paese, oltre che disponibili nei negozietti dei circuiti nel weekend delle gare. Quello che Senna riusciva a fare sul mercato giapponese, ovvero creare una vera caccia dei fan ai suoi prodotti, Schumacher lo riusciva a fare a livello mondiale.Inoltre il contratto che fece di Schumacher un pilota Ferrari prevedeva clausole assolutamente innovative. Schumi divenne l’uomo immagine dell’intero gruppo FIAT di cui fu anche consulente di sviluppo tecnico. Al rinnovo , nel 1998, si andò oltre. L’azienda concesse l’uso del cavallino rampante su tutti i materiali merchandise di Michael Schumacher. Fu una vera rivoluzione per la scuderia di Maranello, mai nessuno prima potè usare quel logo, se ricordate negli anni precedenti sui lati dei cappellini dei piloti vi era la scritta stilizzata “Ferrari” (vedere i cap di Alesì e Berger o il primo cap di MS) da allora si concesse dapprima al “kaiser” e successivamente anche ai suoi compagni di scuderia. Un logo esclusivo diveniva oggetto di consumo.Questo genere di azioni permise di sviluppare il merchandising dell’intero Circus di F1 che cominciò a vendere molto di più di prima. Schumacher, la Ferrari e la Formula 1 autogeneravano il mito e la sua diffusione e i tifosi ne divenivano coloro che, in modo naturale, ne ampliavano la portata. I risultati in pista rafforzarono il mito a suon di risultati, vittorie e interviste. Fu anche il primo ad “istituzionalizzare” l’esultanza sul podio con il suo tipico saltino, mai nessuno prima di lui seppe fare altrettanto.
Quello che però Schumacher non riuscì a scalfire era la diffidenza di chi in Italia lo voleva vedere parlare in italiano durante le interviste. Ancora oggi c’è chi questo tipo di obbiezione continua ad imputargliela, e i vari tentativi fatti dal campione di dire qualche parola in una lingua non a lui utile non hanno fatto altro che aumentare la diffidenza di chi aveva già pregiudizi a riguardo. Forse fu proprio questo l’unico punto debole di una comunicazione sostanzialmente impeccabile per quei tempi, il non essere riuscito a trasformare un punto debole in un punto di forza. Peccato certamente veniale dato che la stima, se non l’affetto di tutti gli appassionati è riuscito comunque a conquistarseli.
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