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Michel Rio: Merlino

Creato il 18 novembre 2015 da Martinaframmartino
Michel Rio: Merlino

Ho cent'anni. Un secolo è un'eternità da vivere e, una volta che lo si è vissuto, un pensiero fugace dove tutto - gli esordi, la coscienza, l'invenzione e la disfatta - si rapprende in un'esperienza senza durata. Porto il lutto di un mondo e di coloro che l'hanno popolato. Sono l'unico superstite. Dio stesso sta morendo, e Satana non gli sopravviverà. Questo antico desiderio d'assoluto, che mi ha sempre spinto ad agire, trova ora nell'inazione l'appagamento supremo, l'assoluto della solitudine. Ideale di piombo. Discrezione e modestia qui non si confanno: ho creato un mondo ed è morto: Quanto di divino reca la mia impresa è attenuato dal suo stesso esito, un cadavere, e i due sensi della parola "vanità" coincidono sul limitare del nulla cui mi vedo destinato.

Chi parla è Merlino, il protagonista dell'omonimo romanzo di Michel Rio. Della vasta produzione di Rio, scrittore francese che ha esordito nella narrativa nel 1973, è stato tradotto ben poco. Tre romanzi pubblicati da un piccolissimo editore, Edizioni del Labirinto, e ormai fuori catalogo, e la trilogia legata al ciclo arturiano: Merlino, Morgana e Artù, pubblicata da Instar e anch'essa, con l'eccezione proprio di Merlino, fuori catalogo. Ed è un peccato, perché i libri sono molto belli. A cominciare dal loro aspetto.

Una nota posta all'inizio del romanzi ci informa che le illustrazioni provengono da The Book of Deer, un codice miniato del IX sec. d.C. conservato nella Cambridge University Library, e in effetti le meravigliose illustrazioni che arricchiscono le pagine e le eleganti cornici che racchiudono la prima pagina di ogni capitolo donano al libro un aspetto prezioso. Non solo un romanzo, ma un tesoro da conservare con cura. E quando si inizia a leggere si scopre che le parole di Rio sono pura poesia.

Protagonista della narrazione la voce di Merlino, profeta, bardo, sciamano, figlio di Satana e di una vergine, "luogo vivente di tutti i contrari". Condannato a un'immortalità che altro non è se non il perpetuarsi del lutto per la perdita di chi ha amato, il Mago si è rifugiato eremita nella foresta e in un disperato tentativo di riscattare la propria opera dall'oblio del tempo decide di affidare al racconto i brandelli di un'esistenza le cui origini si perdono oltre l'orizzonte della storia. Nelle sue parole rivivono così le gesta di un mondo meraviglioso e spaventoso, nonché il duello tra la propria fede illuministica nel potere ordinatore della ragione e Morgana, paladina del caos.

Queste poche righe sono la descrizione che accompagna la scheda del libro su internet, ma non rendono assolutamente l'idea. Quante rivisitazioni del ciclo arturiano avete letto? Io diverse, e questa è una delle poche che per me ha un significato, non tanto per gli eventi quanto per la sua profondità.

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