Magazine Diario personale

Michela Murgia “Il mondo deve sapere” – Recensione e riflessione personale

Creato il 26 novembre 2013 da Juana Romandini @drawy82

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L’agente vendite Michela Murgia, sotto lo pseudonimo di Camilla, lavora un mese nel callcentre della Kirby e mette su un blog con dettagli che nemmeno qualcuno assunto li’ da un anno avrebbe potuto notare. Come se, alla fine, lo scopo di quell’assunzione fosse stato proprio esplorare quel mondo e raccogliere dati. Ma, forse, e’ solo un’impressione sbagliata, la mia.

La storia:
Michela/Camilla viene assunta per lavorare nel covo di esaltati svitati che ruotano intorno al business del Kirby, un aspirapolvere venduto come futuristico ma che di alieno ha solo il prezzo. Impara subito qual e’ il suo posto e che tipo di approccio l’azienda si aspetta dalle sue telefoniste, arrivando in meno di tre settimane a diventare una delle top-seller del gruppo. Nel frattempo, la sera, Michela/Camilla redige aggiornamenti per il suo blog, in cui parla della sua viat alla Kirby’s Dream Land. Appena un mese dopo aver dato il via alle telefonate, Michela/Camilla decide che basta, quella vita non vuole farla piu’ e se ne va.
E li’ finisce anche il libro.

La lettura scorre veloce, facendo abbozzare un sorriso qui e la’. Al contrario di quanto asserito da molti, non ho trovato il libro ripetitivo, ne’ troppo lungo. Non bisogna dimenticare che questo e’ un blook, alla fine. Qualche ripetizione puo’ capitarci, eppure non mi e’ sembrato questo il caso. In alcuni punti l’autrice riprende ed espande concetti anticipati o menzionati in precedenza, ma l’ho visto piu’ come un passaggio necessario al fine di spiegare tali concetti senza concentrarli tutti in un unico, indigeribile polpettone da due pagine per ciascun topic.

Un po’ di editing non sarebbe guastato, se non in occasione della sua prima pubblicazione via print-on-demand (ne so qualcosa…), per lo meno in occasione della ristampa.
Anche un vero e proprio epilogo non ci sarebbe stato male…

Benche’ il libro mi abbia fatto abbozzare un sorriso ogni tanto, ho trovato a dir poco irritante l’attitudine assunta nei confronti delle casalinghe. Le quali, come si evince ad un certo punto, sono presenti anche all’interno della famiglia dell’autrice stessa. In altre parole, se ne deduce che abbia dato dell’idiota anche a mamma/sorella/nonne/zie/cugine/etc.
Le casalinghe nel libro vengono trattate come microcefali incapaci di intendere e di volere e, tra un po’, perfino di mangiare con le loro mani, respirare coi loro polmoni e camminare sulle loro gambe. Sono marionette inerti (inerti, non inermi, perche’ non v’e’ compassione, per loro) nelle abili mani delle telefoniste. Le quali telefoniste vengono presentate al tempo stesso come arpie assetate del sangue delle suddette casalinghe e esseri diversamente abili alla completa merce’ della psicologia inversa dei loro capi – quasi non avessero una volonta’ propria.
Non ci e’ dato sapere se queste ragazze, al pari dell’autrice, hanno un’istruzione, una laurea, un master e lavorano li’ solo perche’ costrette dalla crisi. Non ci viene spiegato, e questo solo chi ha lavorato in un callcentre lo sa, che quelle dalla Kirby sono chiamate a freddo, ovvero sono le clienti a venire contattate dal nulla e non all’opposto. Viene menzionato, ma non viene spiegata la differenza abissale che c’e’ tra un cliente che cerca di sua volonta’ un servizio perche’ interessato ad esso e un servizio che bracca il cliente ignaro a casa perche’ interessato ai suoi soldi.
La sola verita’ descritta come tale e’ il fatto che le casalinghe vengono prese di mira perche’, anche quando non inermi, sono un obiettivo facile (l’avrei fatta parlare con mia madre: avrebbe passato il resto del turno a leccarsi le ferite). E, soprattutto, e’ facile trovarle in casa sia per telefonare loro che per fissare un appuntamento per la dimostrazione.
Nella differenza tra inbound e chiamate a freddo (“cold calling”, in inglese) sta la mia irritazione nei riguardi dell’attitudine dell’autrice nei confronti dei clienti Kirby con cui ha avuto a che fare.
Se i clienti avessero chiamato loro sponte la Kirby e urlato nelle orecchie della prima telefonista che capitava loro a tiro, avrei anche potuto capirla (eccome se l’avrei capita). Ma i clienti non chiamavano loro la Kirby. Venivano chiamati. Come dice anche la Murgia, era la Kirby che si infilava a casa loro violando il loro domicilio mediante l’ausilio subdolo della linea telefonica fissa. Quindi no, non sono d’accordo a trattare tutti come infingardi taccagni repressi solo perche’ rifiutano di collaborare alla vendita di un prodotto in cui lei per prima non crede.
Eppure ho sorvolato e sono andata avanti. Ognuno puo’ pensare cio’ che vuole. Sentirsi superiore alla massa quanto vuole. E’ un mondo (quasi) libero, questo.

“Se non prendi appuntamenti, sei senza (cuore) e puoi anche andare a fare un altro lavoro, magari l’infermiera, che va fatto solo con le mani.”

No, Michela.
Se fin qui avevo sorvolato – sul tuo denigrare le tue colleghe, probabilmente disperate per quello stipendio, e sul tuo classificare tutte le casalinghe come una manica di microcefali non autoufficienti – qui non c’e’ giustificazione che tenga: hai toppato. Di brutto. Perche’ vedi, Michela, la differenza tra una telefonista e un’infermiera e’ che non si diventa infermiera cosi’, perche’ si ha bisogno di pagare l’affitto. Cosi’ come non servono cinque anni di studio piu’ l’esame piu’ il praticantato per diventare telefonista. Lo dici anche tu: per essere una brava telefonista basta avere la parlantina sciolta, la risposta pronta ed essere disposte a fottere la gente.
Hai mai parlato con un’infermiera, Michela? Hai mai provato a pensare che la loro efficienza d’acciaio spesso e’ lo scudo dietro cui si nascondono per riuscire a fare il loro lavoro? Pensi che, nell’intimo, non le tocchi quando un paziente che hanno curato se ne va – a casa come all’obitorio? Che non portino un mazzo di fiori al loro funerale?
O forse nella tua idea le infermiere sono come le casalinghe, esseri privi di cervello che popolano l’inerte mondo femminile che c’e’ al di fuori dell’Olimpo editoriale?
E poi, davvero pensi che lavorare 4 ore al giorno e dover sottostare a lavaggi del cervello a scopo motivazionale sia denigrante? Che essere spinti a produrre con la promessa di premi sia denigrante? Che avresti fatto se la psicologia messa in atto dai big fosse stata puro ricatto subliminale e psicologico, in poche parole pura manipolazione della carne da macello del callcentre? E se il profitto fosse stato preteso a prescindere, senza la promessa di un viaggio a Marbella, ma semplicemente facendo leva sulla necessità del singolo di tenersi il lavoro? E se avessi dovuto lavorare non 4, bensì 8, 10, 12 ore al giorno inclusi i weekend? E non per un mese, ma per anni? A 840 sterline nette al mese?
Facci il piacere, va’.

Questo libro e’ stato presentato come la “testimonianza di una telefonista precaria sopravvissuta un mese intero all’inferno del callcentre”. Se quello del Kirby e’ stato l’inferno, nei callcentre in cui abbiamo lavorato io e gli altri lei non sarebbe sopravvissuta un’ora.
La sola cosa che mi ha lasciata sbalordita e’ stato scoprire la “punizione” riserbata ai venditori perdenti. Credo che in nessun Paese civilizzato possa venir reputato normale il far vestire un uomo da donna e farlo andare a far la spesa cosi’ abbigliato soltanto perche’ per quel mese non ha raggiunto il target. Succede, e forse succede molto piu’ spesso di quanto non si pensi, ma questo non lo rende piu’ accettabile.
Nel mio caso, almeno, non c’erano umiliazioni sulla pubblica piazza come quelle, per noi agenti. Nel mio caso, infatti, era il manager stesso ad auto-umiliarsi, ma non a mo’ di punizione: per mettere in pratica quello che (diceva lui) era un “risollevare lo spirito” agli agenti. Quindi eccolo che cominciava a saltellare per il callcentre con un elmo da vichingo in testa e un’ascia di plastica in mano, arrivandoti alle spalle mentre parlavi col cliente e uscendosene con un urlo giurassico che ti faceva crepare d’infarto li’ sulla sedia.
“Tutto bene, signorina? Chi e’ che urla?”
“Tutto a posto, signora, non si preoccupi. E’ solo il mio capo.”
Ordinaria amministrazione, signora, stia pur tranquilla. Giusto il mio capo che fa il coglione replicando dal vivo il video di Lucy in the Sky with Diamonds.
Quando suddetto capo si sentiva particolarmente euforico, l’elmo cornuto veniva rimpiazzato da un paio di orecchiette da coniglietta fucsia (con lucine lampeggianti). Cosa non si fa, pur di “risollevare lo spirito del team”!
Aiutati magari da una striscia di coca lunga da qui a Thurso, perche’ no.

Valutazione libro: 2/5


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