di Iannozzi Giuseppe
Michela Murgia sorprende per la mole di niente pseudo-teologico che riesce a infilare in Ave Mary. E la chiesa inventò la donna (Einaudi). Non un romanzo, non un saggio e nemmeno un pamphlet. Forse degli appunti diaristici, in ogni caso una sorta di zibaldone male arrangiato.
In apparenza Michela Murgia parlerebbe della Chiesa e del ruolo della donna all’interno di essa nel corso dei secoli; in verità parla del suo sentirsi cristiana nonostante il Vaticano.
In Ave Mary non c’è niente che non sia già stato detto sulle gerarchie ecclesiastiche, sulle Madonne, su i roghi innalzati al cielo per mogli infedeli e presunte streghe. Siamo di fronte a delle riflessioni di chiaro stampo diaristico per una visione più che mai solipsista della Storia. Non servono le personalissime osservazioni della Murgia sulle icone sacre e su quelle fashion per conferire robustezza di stile e di contenuti al libro, che a conti fatti tale non lo si può davvero considerare.
Pur criticando le scelte della Chiesa e la sua sottomissione alle mode di questo nostro momento storico, alla fine l’autrice stringe forte al seno le sue spinose radici cristiane. E questo è quanto. Ave Mary, ennesimo fascio di fogli tenuto insieme da una copertina e dal suo prezzo.
Dimenticare questo Ave Mary è atto dovuto per il critico, opzione desiderabile invece per chi fosse tentato di leggere il vuoto fatto di niente della Murgia, che di Maria di Nazareth porta un ritratto fazioso e pacchiano, addomesticato a esclusivo favore della piccineria d’un revisionismo bassamente proletario.
Per chi fosse intenzionato a comprendere sul serio la Chiesa, dalle sue origini sino a questo nostro oggi bastardo e berlusconiano, indispensabile è Gli italiani sotto la Chiesa. Da san Pietro a Berlusconi di Giordano Bruno Guerri (Bompiani). Una sola preghiera: sappiate scegliere tra il fumo negli occhi di Michela Murgia e il rigore di un grande storico qual è Giordano Bruno Guerri.