Il cecchino (Le guetteur) è il mio Romanzo criminale francese. La genesi del film si deve al produttore Fabio Conversi, che ne ha acquistato i diritti. I due sceneggiatori (Cedric Melon e Denis Brusseaux) volevano che facessi il film perché erano rimasti colpiti, appunto, da Romanzo criminale.
Considero un onore che sia stata data la possibilità ad un regista italiano di girare un polar, un poliziesco di stampo francese, ma devo ammettere che all’inizio ero un po’ intimidito. Dopo aver letto il copione e aver visto che il progetto comprendeva attori del calibro di Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz e Olivier Gourmet mi sono tranquillizzato.
Sono tutti e tre attori eccellenti e aderivano perfettamente all’idea che avevo dei loro personaggi. Nelle pieghe del poliziesco si nasconde inoltre il tema dei giovani “reduci” dell’Afghanistan. Il pubblico deve percepire che la nostra civiltà sta attraversando una fase distruttiva dal punto di vista dei rapporti umani.
Nella storia questo si evince dal rapporto che lega il personaggio di Daniel Auteuil, quello di suo figlio e i servizi segreti francesi. Nel film Parigi diventa così l’arena nella quale si pareggiano i conti di quella guerra, senza dimenticare il fatto che costituisce un meraviglioso background per questo thriller.
La mia intenzione era anche quella di analizzare la decadenza occidentale. Lasciando da parte i “reduci”, trovo che il personaggio di Olivier Gourmet (Franck, il medico corrotto) rappresenti l’emblema di questa decadenza, perché incarna alla perfezione l’ambiguità e la duplicità occidentale; una sorta di Dottor Jekyll e Mr Hyde dell’era moderna.
Gli sceneggiatori volevano che il personaggio di Olivier fosse un piccolo borghese parigino, educato dai genitori sin dall’infanzia in modo da renderlo una persona perbene. C’è però un aspetto inquietante della sua personalità che lo porta a essere l’esatto contrario. In questo senso mi ha ricordato le opere di Pirandello e il modo in cui descrivono il disagio della borghesia occidentale.
La performance di Olivier Gourmet porta questo concetto all’estremo. Infatti, nonostante la sua professione di medico, la sua istruzione, e i forti valori morali indicatigli dai genitori, è corrotto e finisce con l’allearsi con il male.
Sono molto attratto dalla complessità dell’animo umano e mi piace esplorarne il lato oscuro. Lavorando al “King Lear” in teatro, sia come regista sia come attore, mi sono convinto che Shakespeare abbia creato l’uomo moderno, con tutte le sue contraddizioni. Ne Il cecchino m’interessava guardare oltre l’apparenza della dicotomia buono/cattivo, e far riflettere il pubblico su chi sia il vero colpevole. È quel tipo di riflessione sul bene e sul male che tanto caratterizza le opere shakespeariane.
Al di là del tema poliziesco, ciò che m’interessa sono gli esseri umani. Abbiamo un fuorilegge, un uomo che sente che la legge non lo rappresenti più, e un altro che non ha più limiti: siamo al centro della tragedia umana.
In questo caso, ho fatto un film d’azione ad ampio spettro, senza appesantirlo con un discorso politico. Qualcuno potrebbe chiedersi se provo empatia nei confronti dei personaggi più sfortunati, degli emarginati o persino dei criminali, come sembra accadere di nuovo ne Il cecchino.
In realtà penso che dai miei film trapeli che ho conosciuto sia esseri umani che hanno fatto del bene, sia quelli che hanno fatto del male, e che li ho guardati negli occhi. Inoltre il mio approccio nei confronti delle persone è letterario: autori come Dostoevskij che trattano le passioni e i grandi misteri dell’anima, mi hanno influenzato profondamente. Credo di aver imparato a rispettare tutti gli esseri umani.
Questo è il retaggio della mia cultura cristiana – e non cattolica! – con la sua bellissima immagine di Cristo. Per quanto riguarda il rapporto con gli attori, posso dire che con Mathieu Kassovitz siamo andati molto d’accordo, anche se abbiamo dovuto ragionare parecchio insieme per trovare il modo giusto di rappresentare un ruolo tanto complesso. Mathieu si sente più regista che attore, nonostante sia un grandissimo interprete.
Sa essere anche molto critico in modo costruttivo, il fatto che faccia tante domande – un po’ come Amleto – mi ha aiutato a ottenere un risultato migliore. Il personaggio di Daniel Auteuil (il capitano Mattei) invece pensa molto, ma agisce poco. I suoi occhi esprimono la tristezza nei confronti di un mondo che vede crollare intorno a lui. Incarna un genere di poliziotto assai diverso rispetto al prototipo che si trova in un film d’azione classico.
Daniel si è reso completamente disponibile ed è un attore straordinario da dirigere. Fin dal primo giorno si è divertito molto a guardarmi mentre gli mostravo come doveva recitare il suo personaggio. Mentre con Mathieu abbiamo avuto il rapporto che si ha fra registi, con Daniel ci siamo relazionati come due attori.
Mi ha ricordato il modo in cui Clint Eastwood dirige i suoi interpreti: non parla granché, recita la scena e poi chiede all’attore di fare la stessa cosa. Così mi sono comportato anch’io con Daniel, che, comodamente seduto, apprezzava quel che gli mostravo.
Ci sono anche due figure femminili forti e determinate al centro dell’azione: l’avvocato di Kassovitz (Kathy, interpretata da Arly Jover) e la moglie del gangster. La società di produzione francese ha offerto il ruolo della moglie del gangster a mia figlia Violante, dopo averla vista con George Clooney in The American. Inizialmente la coppia non doveva essere italiana, ma poi sono stati scelti Violante e Luca Argentero.
Mi piaceva l’idea della coppia, che avevo già visto in film come I senza nome con Gian Maria Volonté. La coppia introduce nel film la storia d’amore e un risvolto romantico. Il personaggio dell’avvocato donna è invece più disturbato, ma volevo utilizzare comunque queste due figure femminili per sottolineare la loro religiosità.
Le donne sono capaci di seguire chiunque per amore. Sono più coraggiose e più sentimentali degli uomini. Le donne sono importanti in questa storia così dura, poiché ne offrono un sano contrappunto.
Written by Michele Placido