Rinnovo il mio pieno plauso alle idee di Luca Ferrari che mi sembra una delle poche persone in questa città ad avere non solo un notevole background teorico ma anche un’ottima capacità di tradurlo in una convincente azione concreta. E, aggiungerei, una delle persone che hanno deciso di restare qui e provare a cambiare le cose. “Associazionismo culturale (tipo ARCI), associazionismo politico (tipo Centri sociali), volontariato sociale, gruppi di pressione su temi civici (tipo LUCI), gruppi informali, singoli cittadini, scrittori, poeti, artisti musicisti”: credo che la c.d. “rivoluzione culturale” partirà proprio da qui, da questi pezzi sparsi che hanno bisogno di essere tessuti ed armonizzati in un quadro coerente. Questo “associazionismo” è l’unica forma che, al momento, conserva il pieno contatto con la realtà ed il conseguente vigore civico (al di là dei colori politici, ai quali il mio discorso è trasversale).
E mi spiace che nessuno delle alte sfere (dalle “camere stellate” dell’estabilishment cittadino) si sia mai chiesto perché la scena culturale a Cremona è scaduta così in basso. Parlo di quello che è il mio campo perché lì ho esperienza diretta (degli altri settori, solo indiretta): nessuno si è mai chiesto perché la scena musicale a Cremona sta collezionando un flop dopo l’altro (incluso il festival estivo organizzato da un’elitaria simbiosi tra il Comune e il “maggior quotidiano locale”)? E nessuno si è mai chiesto come mai artisti e musicisti cremonesi che hanno idee e progetti sono migrati in altre città? Ci saranno pure motivi di lavoro, ma stà di fatto che questi progetti non sono stati realizzati qui! Penso a Usless Wooden Toys, Cripple Bastards, Fruit of the Doom, La Mattanza, Valery Larbaud, ecc. Tutta gente che ha fatto molto per la musica a Cremona e che ad un certo punto è stata costretta a migrare, magari anche per lavoro, ma soprattutto, a ben guardare, per poter dare spazio alle proprie idee.
Tradotto: gli artisti c’erano, c’era un sottobosco che era cresciuto spontaneamente (come dovrebbe crescere l’arte, per generazione spontanea) e c’era bisogno solamente di un “mediatore” che riuscisse a TESSERE insieme (non a CONTROLLARE) tutte queste tendenze (il ruolo è attribuito giustamente da Ferrari al Comune). E il Comune, invece di cogliere la palla al balzo e concimare questo sottobosco, ha fatto terra bruciata, tirando su una coltivazione di piantine in serra, tutte uguali e ben controllabili. Cioè, anziché mediare e promuovere le varie pulsioni nate dal basso è stato scelto di far calare dall’alto uno schema già ossificato che, ovviamente, non ha attecchito, perché non è riuscito ad adattarsi alla geometria non euclidea di un terreno in costante evoluzione.
Ciò nonostante, la brace di questo sottobosco continua a vivere e a produrre da sotto la cenere dell’estabilishment (basta gettare un occhio alle locandine ed ai flyers sulle mensole e sui banconi di parecchi esercizi pubblici), e attende solamente l’occasione per poter tornare a riattecchire.
Scriveva Ilya Prigogine che possiamo isolare un cristallo, ma cellule, città, sistemi sociali ed economici, slegati dal flusso continuo della storia e dell’evoluzione muoiono molto rapidamente. La cultura a Cremona sta morendo miseramente in nome di un concetto elitario (dei cui fautori non facciamo qui i nomi) che ha provocato più danni che altro. E la strada, volenti o nolenti, credo proprio sia quella indicata da Luca Ferrari: un enorme “Laboratorio culturale cittadino cui tutti i soggetti che lo vogliono possano partecipare con l’obiettivo di concorrere ad elaborare un’idea di cultura della comunità” guidato da un mediatore che deve (non “può”), deve assolutamente rimanere tale.
Michele Scolari
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