Ne ha presi tanti nella vita, e non solo dagli altri, perchè Mickey
Rourke, attore sessantenne da Schenectady, i pugni in faccia se li è
creati su misura. Più degli avversari, reali o immaginari hanno potuto
gli
alti e bassi del carattere ed i demoni di un anima assai inquieta.
Appassionato di moto, boxe e belle donne, Rourke non ci mise molto a
conquistare le pagine dei gossip e della cronaca per gli amori
turbolenti e le amicizie con i boss mafiosi. Ad un certo punto ebbe il
mondo
ai suoi piedi, conquistato suo malgrado con l'esplosione di
"Nove settimane e mezzo" fenomeno innanzitutto mediatico e poi
cinematografico, in grado di immortalarlo come esempio di una virilità
dolce e selvaggia. Invece che giovarsene,
continuando a lavorare sulla scia di un consenso femminile planetario,
Mickey Rourke fece di tutto per disfarsi di quell'immagine incominciando
a minarla con scelte di senso opposto, in cui decandenza fisica -
"Angel Heart" (1987) noir allucinato e luciferino diretto da Alan Parker
e poi "Barfly"(1987) biografia alcolica dello scrittore Charles
Bukowski - e
pauperismo produttivo (i film successivi lo furono tutti con poche
eccezioni) gli inimicarono lo star system hollywoodiano, a quei
tempi
odiato, e platealmente sbeffeggiato ad ogni uscita. Un'incontinenza che
tracimo nel privato, con la decisione di iniziare una carriera da boxer,
brevissima ma sufficiente a deturpargli il volto, poi "aggiustato" a
colpi di bisturi che lo consegnano ad un destino da freak neanche di
lusso.
Quello che segue sono lutti familiari - la morte dell'amato fratello
assistito fino all'ultimo - ed una depressione annichilente, con Rourke,
segregato e solo, tenuto a galla dall'inseparabile Beau Jack, il
chihuahua capace di curarlo con il calore di un'amore gratuito ed
incondizionato. Il resto è storia recente, con il
successo di "The Wrestler" (2008) in cui l'amico Aronofsky mette in
scena la
resurrezione dell'attore in maniera paradossale, costringendolo ad una
"morte in diretta" fermata da un ultimo fotogramma che ne registra
l'addio in maniera
plateale. Come sempre accade quando c'è di mezzo Mickey Rourke.
Magazine Cinema
Ne ha presi tanti nella vita, e non solo dagli altri, perchè Mickey
Rourke, attore sessantenne da Schenectady, i pugni in faccia se li è
creati su misura. Più degli avversari, reali o immaginari hanno potuto
gli
alti e bassi del carattere ed i demoni di un anima assai inquieta.
Appassionato di moto, boxe e belle donne, Rourke non ci mise molto a
conquistare le pagine dei gossip e della cronaca per gli amori
turbolenti e le amicizie con i boss mafiosi. Ad un certo punto ebbe il
mondo
ai suoi piedi, conquistato suo malgrado con l'esplosione di
"Nove settimane e mezzo" fenomeno innanzitutto mediatico e poi
cinematografico, in grado di immortalarlo come esempio di una virilità
dolce e selvaggia. Invece che giovarsene,
continuando a lavorare sulla scia di un consenso femminile planetario,
Mickey Rourke fece di tutto per disfarsi di quell'immagine incominciando
a minarla con scelte di senso opposto, in cui decandenza fisica -
"Angel Heart" (1987) noir allucinato e luciferino diretto da Alan Parker
e poi "Barfly"(1987) biografia alcolica dello scrittore Charles
Bukowski - e
pauperismo produttivo (i film successivi lo furono tutti con poche
eccezioni) gli inimicarono lo star system hollywoodiano, a quei
tempi
odiato, e platealmente sbeffeggiato ad ogni uscita. Un'incontinenza che
tracimo nel privato, con la decisione di iniziare una carriera da boxer,
brevissima ma sufficiente a deturpargli il volto, poi "aggiustato" a
colpi di bisturi che lo consegnano ad un destino da freak neanche di
lusso.
Quello che segue sono lutti familiari - la morte dell'amato fratello
assistito fino all'ultimo - ed una depressione annichilente, con Rourke,
segregato e solo, tenuto a galla dall'inseparabile Beau Jack, il
chihuahua capace di curarlo con il calore di un'amore gratuito ed
incondizionato. Il resto è storia recente, con il
successo di "The Wrestler" (2008) in cui l'amico Aronofsky mette in
scena la
resurrezione dell'attore in maniera paradossale, costringendolo ad una
"morte in diretta" fermata da un ultimo fotogramma che ne registra
l'addio in maniera
plateale. Come sempre accade quando c'è di mezzo Mickey Rourke.
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