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Microcredit crunch

Creato il 15 dicembre 2010 da Cren

Microcredit crunchPasseggiava orgoglioso con il bufalo al guinzaglio fra strade e sentieri di Thulo Parsel, sulle colline di Kavre in Nepal. Lo accompagnò come un parente nella sua casa di fango colorata per farlo vedere alla moglie e ai bambini, intorno razzolavano qualche capra e gallina. Per Pasanag Tamang un bufalo era un rendita (latte per circa euro 600 annui), uno strumento di lavoro (per l’aratura), una fonte di proteine per i suoi bambini e un investimento, sempre monetizzabile. Costo circa euro 1500, che era stato finanziato da un progetto di microcredito gestito da Comitato Scolastico (genitori ed insegnanti) della sua comunità.

La cosa ha funzionato e, nel giro di pochi anni, tutte le famiglie più povere del villaggio (quelle senza animali di grossa taglia) avevano il loro bufalo ricomprati con la restituzione del primo capitale, la scuola aveva seguito i pagamenti (senza problemi) e con gli interessi (il 10%, quelli normalmente praticati dai money lenders arrivano al 80% su base annua) aveva comprato banchi, libri per i bambini. Ogni anno, sotto un enorme pipal nei presi della scuola, tutte le famiglie della zona verificano le spese effettuate, controllavano quello che aveva fatto il loro Comitato, discutevano di piccoli progetti futuri. Quello che si chiama community auditing. Li era piccolo, controllato, inserito in attività di sviluppo più ampie e tutto ha funzionato.

Purtroppo ciò non sta accadendo nei paesi (India e Bangladesh) che hanno visto la più ampia diffusione del micro-credito nell’ultima decade. Dal 2003 al 2009 il numero dei micro-debitori è salito, in India, da 1 milione a 26,7 milioni, sorpassando il Bangladesh, dove il micro-credito in forma strutturata nacque. Gli operatori finanziari privati e no-profit hanno annusato il business e sono stati finanziati dalle banche istituzionali e dalla Banca Mondiale. Le società più dinamiche SKS Microfinance (George Soros e Vikram Akula), Spandana Sphoorty Financial, Basix & Share Microfin Ltd, hanno visto i profitti crescere del 100% annuo, le azioni volare in borsa, i redditi degli operatori moltiplicarsi. Sul tappeto sono rimasti i clienti (come ovunque) che però in India e Bangladesh hanno magari perso tutto quello che avevano, compreso il bene vitale della terra.

Mi raccontano amici che hanno lavorato nei villaggi dell’Andhra Pradesh (dove il 30% dei microcreditori indiani vive e il 20% non riesce a pagare), del Bihar o del Bengala che arrivavano 4-5 operatori di microcredito al giorno, aggiungendo ai contadini prestiti su prestiti per ripagare i vecchi. Gli importi erano bassi, USD 2000-3000 ma gli interessi raggiungevano il 50%. Poi, contrariamente, ai tradizionali usurai dei villaggi sparivano per ricomparire con minacce, carte bollate e poliziotti quando qualche rata saltava. Allora non c’era niente da fare si prendevano le pentole, il risciò, la macchina da cucire, il tetto appena comprato, il bufalo e infine la terra e la casa. Nessuno pensava a sviluppare il contesto sociale ed economico perché i contadini potessero produrre, vendere, aprire attività sostenibili in ambienti economici e sociali fragili. In alcuni villaggi c’erano venti donne con la macchina da cucire nuova che, ormai, facevano abiti solo per loro stesse, decine di risciò fermi nella piazza del paese, un sacco di telefonini, televisori (magari funzionanti con una vecchia batteria).

Poi la bolla esplodeva e i  soldi erano finiti (magari per ripianare altri debiti, per migrare in città, per pagare dote e matrimonio delle figlie) e i redditi creati dall’investimento nulli,  arrivava la disperazione. Chi non reggeva, non migrava,  si buttava nel primo fiume in piena  o si beveva un litro di veleno per i topi. Uno studio ci dice che malgrado il costante abbandono dell’agricoltura (circa 8 milioni di contadini l’anno) il trend dei suicidi per debiti continua a crescere ed è stimato in oltre 16.000 vittime all’anno. There were no major changes in the trend that set in from the late 1990s and worsened after 2002, scrive uno studio.

 Una bolla che oltre a soffocare i poveracci inizia a preoccupare anche le banche che nel corso dell’ultimo India Economic Summit stimano un rischio di perdite vicino ai USD 4 miliardi. Qualche banchiere parla delle stesso effetto per il sistema del subprime mortgage debacle. Si muovono anche gli stati ed ecco l’Andra Pradesh varare una legge severissima per limitare le società di micro-credito e riportare nelle mani delle agenzie statali, poco efficienti ma più indulgenti, la patata ormai bollente.

La crisi del microcredito investe anche i santoni del sistema come Mohammad Yunus e la Grameen Bank con circa 7 milioni di clienti solo in Bangladesh. Articoli e studi hanno segnalato che l’approccio seguito dalla Greemen (diventata una multinazionale del microcredito) ha portato benefici solo a una minima parte dei suoi clienti. Milfor Bateman, ricercatore senior presso l’ODI (Overseasa Dev. Inst.-Londra) s’è recato nel villaggio di Jobra da dove, nel 1970, Yunus iniziò le sue attività dichiarando “poverty will be eradicated in a generation” e l’ha trovato messo male. It is still trapped in deep poverty, and now debt too. La ragione è semplice, il microcredito, senza azioni di supporto sul contest economico, sociale e culturale, sulle capacità dei beneficiari, ha portato a un moltiplicarsi di piccolo attività in un uno spazio economico, non in grado di sostenerle nel medio termine. Il ripagamento del debito, come in India, è la priorità sullo sviluppo delle comunità e degli individui e ciò ha portato anche per gli utenti della Grameen ad un impoverimento (stimato nel 45% dei beneficiari dei prestiti) e in molti casi alla perdita di terra e casa.

Anche per Yunus Il tasso d’interesse reale deve portare un profitto e non è molto differente da quello praticato dalle aziende profit con tassi del 30-40% fino al 60% in casi particolari. Un modello un po’ da rivedere come ha dichiarato Khorshed Alam, uno studioso del microcredito del Bangladesh, conclude un suo articolo “Grameen Bank’s wonderfl story of prosperità, solidarity an empowerement has only one problem: it never happened.”  



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