Proverbio di nuovo conio: l'epoca del vicino è sempre più verde. Quel che è geniale nell'ultimo film di Woody Allen non è l'invenzione che Gil (Owen Wilson) - uno scrittore americano in visita a Parigi con la fidanzata e i futuri suoceri, che non ama questi tempi piatti e sogna la Parigi degli anni '20 - venga trasportato magicamente ogni mezzanotte proprio in quella Parigi, dove incontra Francis Scott Fitzgerald e Zelda, Hemingway e T.S. Eliot, Salvador Dalí e Luis Buñuel, e così via. Quel che è geniale è che vi incontra l'intelligente modella Adriana (Marion Cotillard), la quale ritiene piatti gli anni '20 e sogna la Parigi della Belle Epoque. Ed ecco che per magia Gil e Adriana sono trasportati proprio là, e conoscono Toulouse-Lautrec, Degas e Gauguin - i quali pensano che la loro epoca è piatta, e sognano il Rinascimento...
Innamorato del passato (sta scrivendo un romanzo su un negozio di modernariato, cioè di nostalgia), Gil è infelice perché detesta i suoceri e perché la fidanzata Ines è, per esprimerci in termini lacaniani, una stronza maiuscola; inoltre è visibilmente affascinata da Paul, un giovane professore americano loro compagno, che è un so-tutto e lo fa pesare. Come molti personaggi di Woody Allen, Gil si sente schiacciato perché vive nell'inautenticità. Il problema del film è che questa parte introduttiva è piuttosto vacua. Non vi risplende l'umorismo satirico di Woody (cosa non avrebbe fatto un tempo con simili personaggi!); perfino la descrizione dell'intellettuale pedante manca della giusta ironia. Siccome poi Allen trae parte dei finanziamenti dalle città dove ambienta i film, e quindi deve esibirle, apre “Midnight in Paris” con una serie di immagini di Parigi, belle ma dall'ovvio effetto cartolina, quasi a dire “Togliamoci subito il pensiero”; questo prologo appesantisce il film.
Woody - e non solo il suo protagonista - rinasce quando si sposta nel passato. La descrizione dell'epoca attraverso il suo sguardo di scoperta sconvolta è gustosissima, e Owen Wilson rende molto bene lo shock temporale (per cui piace ad Adriana che gli trova un'aria “smarrita”). Fra i personaggi che incontra, risultano fondamentali Hemingway (Corey Stoll) e Gertrude Stein (Kathy Bates), maestri di morale letteraria e non, poiché leggono il manoscritto del suo romanzo (per inciso, è anacronistico che Gertrude Stein parli di fantascienza, anche se è per accorciare: in quegli anni si sarebbe detto piuttosto “narrativa di anticipazione alla Wells”). Nel cinema di Allen è sempre stata forte la concezione dell'arte e della cultura come una mitologia che serve da guida (ricordiamo il valore pedagogico del cinema classico rivendicato in “Crimini e misfatti”). Qui questa mitologia si incarna in figure fisiche grazie al trasferimento nel passato.
C'è una scena sublime quando Gil (ormai tranquillizzatosi) incontra il giovane Luis Buñuel e vuole sfruttare la sua conoscenza del futuro regalandogli come idea per un film la trama de “L'angelo sterminatore” - e Buñuel non la capisce! I convitati non possono uscire: “Y porqué?”, “Pero no entiendo: porqué non possono lasciare la stanza?”. Questo è stupendo: un barbaglio del miglior Woody Allen del passato.
Più in generale, è delizioso un paradosso morale: quando scopriamo che mezzo mondo vorrebbe vivere in un tempo anteriore idealizzato, la cosa buffa è che ciò dà ragione all'antipaticissimo Paul, che enunciava quest'idea, non in modo elogiativo, all'inizio del film. Alla fine (attenzione, spoiler!) Gil rompe con la fidanzata ma incontra la sua vera donna, una francesina che lo capisce, nella Parigi 2010 e lo vediamo allontanarsi con lei. Ha accettato il presente.
Woody dunque mette in scena felicemente la “festa mobile” della Parigi anni '20, e questa grazia si trasmette al resto del film, anche se il suo fiacco inizio fa rimpiangere, diciamo, anche l'Allen relativamente recente del sottovalutato “Vicky Cristina Barcelona”. Ma il succo di “Midnight in Paris” sta nella sua “moralità” (nel senso di racconto a sfondo morale) sul desiderio e il sogno; e qui Woody coglie il bersaglio. Non stupisce: perché al di là dello humour e del divertimento, tutti i suoi film sono delle moralità.
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