Siamo dunque dalle parti di Zelig e de La rosa purpurea del Cairo dove la magia e la fantasia imperano. Il tema è l’idealizzazione delle epoche passate, la nostalgia e l’insoddisfazione per il tempo che si vive.
Protagonista assoluta è Parigi che il regista ci mostra in una lunga sequenza iniziale nella quale scorrono i luoghi e le stagioni.
È la storia di Gil, uno sceneggiatore di Hollywood, giovane e di successo, che vorrebbe fare il grande salto e diventare scrittore che si reca a Parigi con la futura moglie, Inez, una bella insopportabile, e i futuri suoceri conservatori. Come se non bastasse incontrano per caso un professorino pedante, esperto in tutto, per il quale Inez aveva una cotta nei tempi passati. Stanco della compagnia, Gil comincia a girare per la città, a godere di ogni suo angolo, dei profumi e delle persone. E ogni sera, a mezzanotte, vive la sua avventura nella Parigi anni Venti insieme ai più importanti artisti dell’epoca.
Pittori, scrittori, registi sono ritratti secondo gli stereotipi; un modo, secondo me, di strizzare l’occhio allo spettatore medio e di farlo sentire soddisfatto di sé quando li riconosce.
Ottimo Owen Wilson nella parte di Gil che nel corso del film si trasforma, passando dalla timidezza alla sicurezza, fino alla spavalderia, come quando suggerisce a Buñuel un soggetto che lui stesso non riesce a capire. Come è accaduto a noi quando abbiamo visto il suo film, L’angelo sterminatore. Complessivamente tutti all’altezza gli interpreti, su tutti direi Adrien Brody/Dalì, Kathy Bates/Gertrude Stein e Corey Stoll/Hemingway. Deliziosa Marion Cotillard nella parte della “groupie dei geni”.
Molto bello il manifesto arricchito di uno sfondo di Van Gogh, che però, se non sbaglio, non appare nel film.
Assolutamente da non perdere.