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MIDNIGHT IN PARIS (2011)
Regista: Woody Allen
Attori: Owen Wilson, Rachel McAdams, Kathy Bates,
Adrien Brody, Marion Cotillard
Paese: Spagna/USA
L'appuntamento annuale con Woody Allen questa volta è “Midnight in Paris”. Dopo aver raccontato a suo modo Barcellona in un film piacevole ma senza meriti particolari, il regista statunitense si immerge nella città per definizione più romantica. Vuole raccontarne l'incanto, la dimensione sfocata, il fascino di un passato le cui ombre sembrano colorare un presente magnetico. La poetica dell'anima risvegliata da una città capace di concederle quel ruolo primario a cui non è più abituata o a cui non lo è mai stata. Cerca di farlo a suo modo, con quella leggerezza non sempre leggera, venata di una malinconia necessaria a far muovere personaggi non a caso immediatamente riconoscibili.
Il protagonista è il classico carattere alleniano, frenetico e impacciato, alle prese con dubbi e nevrosi che si impongono con una forza ancora maggiore quando si tratta del suo lavoro. Gil (Owen Wilson) è peraltro sulla linea di confine che separa due realtà ben distinte, intenzionalmente prive di sfumature grigie quali punti di contatto tra le stesse. E in questo senso Parigi è uno scenario perfetto. È la città di cui il turista può osservare i colori ammalianti, nelle cui strade può perdersi per giorni prima di tornare alla realtà; oppure è la città che può essere vissuta, al cui respiro si allinea il proprio, alla quale si permette di suonare le corde di quella parte più intima e romantica troppo spesso relegata a parentesi saltuarie. Non è importante che Parigi possa o meno riflettersi in un quadro simile, perché l'intenzione di Allen è quella di coglierne quasi esclusivamente la magia e ritrarla sullo schermo. Si alternano quindi luci esageratamente calde che allo scoccare della mezzanotte sfumano la città nella favola. Illuminano le strade con colori irreali, delineano volti di altre epoche, permeano le atmosfere di un tepore confortante e aprono le porte di un ventennio intramontabile. L'intera pellicola, invero, è un susseguirsi di tonalità calde. Quando la favola svanisce Parigi non appare comunque fredda, nemmeno sotto la pioggia battente che, come sottolinea più volte Gil, rende la città anche più affascinante. Di lì a poco tuttavia, pur non capendo di preciso quando, se durante una discussione tra Hemingway e Gertrude Stein o uno scambio tra Buñuel e Dalì, ci si ritrova a scivolare fuori dal tutto. L'atmosfera non riesce più a coinvolgere e la favola diviene un racconto asettico, durante il quale ci si limita a sorridere ogni tanto e senza troppa convinzione. Da questo momento il film non torna più sul giusto binario, perdendosi sequenza dopo sequenza in una banalità che da Allen ormai ci si aspetta. E la cosa peggiore è in assoluto quest'ultima considerazione.
Banale e scontata è infatti la sceneggiatura che trascina via dalla favola lo spettatore. Annoia al punto da non riuscire a fornire sostegno alcuno a quel fascino iniziale che inevitabilmente si sgonfia rivelando il nulla all'interno. Quella dell'intreccio, oltretutto, è una struttura tipica della filmografia del regista ma che lo stesso non riesce più a valorizzare. Se in precedenza i dialoghi erano tali da riuscire a divertire e nel mentre suggerire riflessioni mascherate da nevrotica superficialità, in “Midnight in Paris” sono così deboli da poter essere messi al pari della più anonima delle commedie, ad eccezione di brevissime parentesi non a caso affidate ai personaggi rispolverati per l'occasione. E non basta la riuscita dell'altrettanto classica riflessione malinconica in chiusura per risollevare il tutto, è anzi la dimostrazione della forza che la pellicola avrebbe potuto avere. Quella della Belle Époque, infatti, è una scelta perfetta nel suo valorizzare una riflessione che sarebbe altrimenti apparsa anch'essa banale. Ma è un guizzo, e tale resterà. È un Allen che guarda ad un passato che non riesce più a proporre. Non ci è mai riuscito, del resto, neanche con quelle pellicole che tra le ultime possono dirsi maggiormente riuscite. “Vicky Cristina Barcelona”, come si scriveva, è piacevole ma il cinema del regista è tutta un'altra storia. Barcellona, Londra, Parigi, nessuna di queste città è Manhattan; non le conosce, non può delinearne l'anima, quando infatti le descrive non pulsano come pulsava Manhattan. Restituisce cartoline, belle da vedere ma poco credibili, immobili.
Lo sguardo non ricambiato al passato lo si nota in maniera palese anche nella direzione degli attori. La sua mancanza davanti alla telecamera nelle sue pellicole si avverte chiaramente. Non c'è un altro Allen, è inutile che lo cerchi. Ci ha provato con Larry David ("Curb Your Enthusiasm") in “Basta Che Funzioni”, ancor prima con Jason Biggs in “Anything Else” ed ora con Owen Wilson, la cui gestualità nel film ricorda da vicino quella dell'Allen attore. Ma neanche lui può ricoprire un ruolo che resterà vacante, nonostante offra nel complesso un'ottima prova. Non che sia una novità, come non è una novità neanche l'ottima prova della Bates. Tutti gli attori, ad onor del vero, offrono prove assai convincenti, in special modo coloro ai quali è stato affidato un personaggio del passato - Brody/Dalì, a tal proposito, è una meraviglia. E sono tra l'altro anche gli unici in grado di trascinare il film fino al termine nonostante la breve durata.
Affermare che Allen non dovrebbe più dirigere perché sembra non abbia più niente da dire, o non riesca a farlo, sarebbe quanto meno irrispettoso verso un artista che è stato capace di ritagliarsi nella cinematografia mondiale uno spazio abbastanza vasto da ospitare qualcosa come una cinquantina di pellicole, tra cui svariati capolavori. É anche vero però che girare un film all'anno è eccessivo, dato che la sua creatività non è di certo paragonabile a quella di un tempo, quando anche se per la tv un suo film riusciva a distinguersi senza sforzi (si veda “Dont Drink The Water”). Peraltro ormai le pellicole non riuscite si stanno accumulando e tra qualche anno potrebbero trasformarsi in un esercito in lotta contro quello delle pellicole riuscite. Sembra quasi si sia intestardito. È invece parere di chi scrive che dovrebbero un attimo fermarsi, prendersi il giusto tempo e salutare il cinema con il suo canto del cigno. E anche se non dovesse riuscirgli, poco male, dato che non ha più nulla da dimostrare. Del resto non avrebbe avuto nulla da dimostrare anche nel caso in cui cui avesse girato solo “Crimini e Misfatti”.