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Midnight in Paris si apre su una consueta carrellata di immagini della città su musica jazz. Ti aspetteresti la consueta voce fuori campo a introdurre le vicende, ma questa viene sostituita da un dialogo oscurato dai titoli di testa. Un dialogo, sia chiaro, che ripropone la vieta alternativa di Allen tra nevrosi romantica e psicosi affaristica (e viceversa). Gil (Owen Wilson), sceneggiatore alle prese con un romanzo da finire, e Inez (Rachel McAdams) sono a Parigi, approfittando di un viaggio d'affari del padre di lei John (Kurt Fuller). I giovani sono in procinto di sposarsi e Inez vorrebbe fare qualche acquisto importante per la loro prossima casa, grazie ai suggerimenti della madre Helen (Mimi Kennedy), arredatrice. Ma Gil è recalcitrante, vorrebbe proprio approfittare dell'occasione per trovare nuova ispirazione e finire il suo romanzo. L'equilibrio incespica oltremodo quando i due fidanzati incontrano una coppia di amici di Inez, Paul (Michael Sheen) e Carol (Nina Arianda). altro cliché della cinematografia di Woody Allen, lui è un intellettuale pedante con un fraseggio punteggiato di retorica apertura al dubbio, lei è inchiodata sul suo sorriso turistico e refrattaria al francese. Le due improbabilissime coppie potrebbero passare tempo insieme, ma Gil "don Chisciotte" si tira sistematicamente indietro e trova modo per vivere la sua Parigi di notte.
Ma questa città (lo so bene) allo scoccare delle fiabe è tutta una magia. Il giovane, vagando per le strade buie, si perde e viene catapultato nella Parigi dei suoi sogni, negli anni '20. Un mondo visitato dai fantasmi vividissimi e carnali di Zelda e Scott Fitzgerald (citatissimo da Woody Allen anche in Zelig), da Buñuel, da Linda e Cole Porter, Dalì, "Tom" Eliot e, beninteso, da Hemingway. Proprio a lui, Gil, chiederà di leggere il suo romanzo, ma lo scrittore lo rimanda al giudizio infallibile di Gertrude Stein (la Kathy Bates che la interpreta è un'invenzione di geniale e feroce ironia). Quando Gil la va a trovare, viene accolto da Alice Toklas (non si butta via niente...) e da lei introdotto nella stanza in cui la scrittrice sta discutendo con Picasso del ritratto della sua splendida amante, alla presenza della stessa Adriana (Marion Cotillard, si noti: l'Edith Piaf giovane di La vie en rose, oltre che la Josephine Bloom di Big Fish). Questa donna è per Gil una rivelazione: sembra provenire da altri tempi ed è anche lei insoddisfatta del suo presente, nonostante provenga da liasons con Modigliani e Braque, prima di approdare tra le lenzuola e le tele di Picasso.
Se già prima non era facile, dopo questo fatale incontro la quotidianità di Gil e Inez ora viene minata alle fondamenta. Incapaci entrambi di vedere, lei oltre il suo presente, lui oltre il suo passato, non condividono la stessa storia, né gli stessi gusti. Nella loro grettezza, hanno ragione Hellen e John a desiderare un matrimonio diverso per la figlia, perché certo il suo è un fidanzamento sbagliato, che non funziona. L'identità della coppia, che da sempre è stata problematica in Woody Allen, negli ultimi film (mettiamo l'analogo Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, Basta che funzioni e, ancor più, Vicky Cristina Barcelona) si fa tragica. Sembra impossibile venire a patti, sembra che niente leghi più degli interessi particolari e, soprattutto, sembra che i sogni di ciascuno portino a un isolamento nella sfera affettiva. Nella consuetudine all'avere e sbagliare partner, l'unico investimento che conta è quello nella propria fuga dall'altro, in una sorta di predestinazione inesorabile e insieme casuale (sulla quale si rimanda senz'altro a Match Point). I conti non quadrano: l'amore in Woody Allen è una rinuncia, ma non c'è potenza che valga la miseria della propria solitudine o che ricompensi la ricerca di pienezza e dignità affettiva.
Midnight in Paris è un rondeau di smarrimenti grandi e piccoli. Ci si perde e ci si ritrova, ci si insegue e ci si smarrisce a propria volta nel tempo sognato. Alla fisarmonica di cartoline patinate che apre il film, risponde una giostra di figure, personaggi, miti della cultura di un tempo che fu, come se l'oggi fosse impermeabile alla possibilità di definirsi quale nuova età dell'oro. Non c'è solo la disperazione del presente o l'improvviso barlume di coscienza di Gil, che vede come, quando il desiderio si fa presente, diventi per ciò meno interessante di un altro desiderio più lontano, anche se questo dovesse portare giù giù fino al big bang in cui ogni desiderio ha origine. In Midnight in Paris si ha anche l'impressione, qua e là sgradevole e senz'altro postmoderna, che le figure si equivalgano: appiattiti su un unico sogno, su una fantasia che tracima desideri e malinconia, aforismi e caratteri di persone che hanno fatto la storia si vanificano quasi l'un l'altro e perdono mordente, come se fossero tutti destinati a essere esposti su qualche scaffale del futuro, senza altro criterio che l'ordine alfabetico o le categorie accademiche. Eppure, Woody Allen concede una via di fuga all'odiosa indifferenza: ed è nell'incontro finale tra Gil e Gertrude Stein, quando questa rivela allo scrittore in crisi che il presente, a saperlo guardare, è già tutto lì, davanti a lui, nel suo fare. E l'uomo, che esce dall'incanto, trova la sua Parigi e l'amore.
(Per il cast completo di questo popolatissimo film rimando alla pagina dell'IMDB, la mia insostituibile fonte di informazioni.)
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