Magazine Diario personale

Miele

Creato il 18 gennaio 2013 da Povna @povna

Inizio in sordina, narrazione sviluppata con competente pacatezza, Miele si candida a essere il miglior romanzo scritto da Ian McEwan dai tempi di Espiazione. La trama, in sé, è assai semplice: Serena Frome, scintillante studentessa modello ai tempi della scuola superiore, middle class agiata, figlia di un vescovo, viene strappata al suo adolescenziale amore per la lettura per andare a coltivare le sue (presunte) doti di logica avanzata a Cambridge. Di fronte ai bravi veri, comprenderà che la scienza del calcolo consiste in altro, ma sarà troppo tardi per cambiare percorso, e si rassegnerà a prendere – ultima dei bravissimi – una modesta laurea a vuoti voti in matematica. Siamo alla fine degli anni Sessanta, il mondo occidentale, e anche l’Inghilterra, si avvia verso la grande rivoluzione di Seventies. Serena vive la sua educazione sentimentale, come tutti, anche se nei fatti – ci assicura – lei e i suoi amici restano sostanzialmente ben al riparo di una educazione sufficientemente conformista. Per Serena in particolare, la blanda contestazione avviene nell’atmosfera protetta di un animo fondamentalmente poco progressista, che continua a macinare un grande amore per le grandi storie d’amore che rispecchiano la realtà, senza troppi metaletterari fronzoli, e finiscono in gloria con uno “Sposami!” tradizionale.
E’ in questo contesto che una rocambolesca relazione allacciata ancora a Cambridge la porta a fare un colloquio, e poi a essere assunta dall’M15, il contro-spionaggio britannico. Ed è qui che – la suspence viene annullata in partenza (lei stessa ci rivela alla quinta riga del romanzo di averci lavorato per soli 18 mesi prima di essere scaricata malamente) – viene coinvolta in una operazione letteraria (“Miele”, in codice) nel pieno della guerra fredda. Il suo compito sarà quello di avvicinare e offrire, sotto copertura, una sovvenzione a uno scrittore potenzialmente conservatore, Tom Haley, del quale la nazione ha interesse a finanziare la creatività in funzione anti-sovietica. Serena dunque prima si legge i suoi racconti (che riecheggiano pericolosamente titoli e trama della raccolta Tra le lenzuola, di un certo scrittore britannico) e poi lo va a trovare.
Su questo canovaccio – nel quale già si intravedono, chiari e forti, allusioni spudoratamente autobiografiche (il periodo in cui è ambientato il romanzo, la sede universitaria, l’Università del Sussex, in cui sta lavorando Tom quando Serena lo incontra per la prima volta, l’evidente effetto specchio dei racconti) – McEwan tesse, paziente, la sua trama romanzesca. Costruita tutta attraverso l’approfondimento del concetto di segreto e fiducia, indagati, come sempre (e la memoria del lettore torna così a The Innocent), nella loro doppia implicazione, pubblica e privata.
In mezzo – e il rimando a Espiazione diventa più esplicito – riflessioni sul potere della fiction, sulle potenzialità seduttive della parola e del discorso (il rapporto tra Serena e Tom, che ben presto diventano amanti, è del resto costruito su una fin troppo evidente opposizione lettore/scrittore). Così, la passione fiduciosa di Serena per le trame realistiche, lineari, belle (come dice lei, senza giochetti) si contrappone al gusto più intellettuale di Tom per le nuove tecniche postmoderne: e, sullo sfondo perenne di un senso di colpa (quello di non potergli rivelare la verità sull’occasione che ha determinato il loro incontro), il rapporto il rapporto di Serena con il suo scrittore-amante dipana la progressione di una educazione sentimentale e letteraria.
Il colpo di scena – chi ha letto McEwan non può dubitarne – è dietro l’angolo. La geometria millimetrica sulla quale l’autore ha costruito le relazioni tra i diversi personaggi dà i suoi frutti, e determina cause e conseguenze. Così, nel corso di una lettera-finale (ed ecco, di nuovo, The Innocent), la trama di amore e spionaggio (dei personaggi) e quella di elaborata (ma mai eccessiva) meta-fiction (che coinvolge il rapporto tra l’autore McEwan e il suo lettore con levità inequivocabile e indiretta) si sciolgono vicendevolmente. Lasciando al lettore, al momento di chiudere il romanzo, l’ombra di un sorriso di soddisfazione sulle labbra. Insieme al desiderio, una volta conclusa una prima lettura sul livello del godimento immediato del racconto, di tornare indietro al principio del romanzo. E ripercorrere, con altri sguardi, criticamente consapevoli, l’intero filo della trama.

Con questo post – c’è bisogno di dirlo – la ‘povna partecipa al venerdì del libro di questa settimana.


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