Un progetto concepito e sviluppato sul campo, tra le persone, in luoghi impensabili e che stanno scomparendo a causa di disastri ed inquinamenti ambientali.
L'ultima tappa da documentare, dopo il Bangladesh e la Mongolia, è il Kenya e per questo Alessandro ha bisogno del nostro supporto. Vediamo come aiutarlo nella sua missione.
Migranti ambientali: l' ultima illusione from Alessandro Grassani on Vimeo.
Benvenuto Alessandro. Raccontaci brevemente chi sei.
Ho studiato fotografia all'Istituto Riccardo Bauer di Milano. Ho deciso di diventare fotografo per raccontare storie, per mostrare agli altri quello che, per diverse ragioni, non hanno l' opportunità o il potere di vedere o conoscere. Ho concentrato la mia attenzione suuna fotografia di approfondimento e indagine di importanti tematiche sociali che mi hanno portato a lavorare dal Sud America all’Asia, dal medio Oriente all’Europa afflitta dalla crisi finanziaria, viaggiando per oltre 30 Paesi e pubblicando i miei reportage sulle principali testate giornalistiche internazionali, tra gli altri, The New York Times e il Sunday Times.
Nel 2008 sono entrato a far parte dell' agenzia Grazia Neri e – dopo il suo fallimento – ho iniziato a lavorare con LUZphoto.
"Migranti Ambientali: l'ultima ullusione" è il tuo progetto fotogiornalistico. Come mai hai scelto di raccontare attraverso le immagini questo tema?
L’idea del progetto è nata nel 2011, quando avevo deciso di indagare il tema delle migrazioni causate dai cambiamenti climatici.
Mi sono imbattuto in una previsione delle Nazioni Unite che stima che nel 2050 la Terra dovrà farsi carico di 200milioni di profughi climatici; tutte persone che non emigreranno nelle nazioni ricche, ma cercheranno nuove forme di sostentamento nelle aree urbane dei loro paesi d’origine, i cosiddetti slums, già sovraffollati e spesso poverissimi. Il 90% di questa migrazione avverrà infatti proprio nei Paesi meno sviluppati, cosi i Paesi più poveri - proprio quelli che meno hanno contribuito ai cambiamenti climatici - saranno i più colpiti da questo fenomeno a causa della mancanza di fondi da investire in politiche alternative di sviluppo nelle zone non più abitabili. Mi sono chiesto chi fossero questi profughi climatici, da dove arrivano e dove vanno: ho deciso di percorrere il loro cammino e raccontare le loro storie.
Foto di Alessandro Grassani
Come si sviluppa il tuo progetto?
Il mio progetto “Environmental migrants: the last illusion” include tre capitoli: Mongolia, Bangladesh e infine Kenya
In ogni Paese uso lo stesso schema narrativo: racconto le storie di chi combatte contro i cambiamenti climatici nelle campagne e poi cerco i profughi climatici che sono emigrati in città e racconto le loro storie.
Il progetto vuole creare una relazione tra i cambiameti climatici e la continua crescita demografica delle città, infattiil 2008 ha segnato il punto di non ritorno:per la prima volta nella storia dell’uomo c’è più gente che vive nelle città che nelle campagne.
Le metropoli crescono sempre più per l’arrivo dei profughi climatici, costretti a fuggire dalle zone colpite dai cambiamenti climatici e destinati a diventare - nel giro di pochi decenni - la nuova emergenza umanitaria del pianeta.La scelta di questi tre luoghi è stata dettata dalla volontà di rappresentare le diverse tipologie di cambiamenti climatici che provocano le migrazioni ambientali verso le metropoli: dall’estremo freddo della Mongolia, al processo di desertificazionein Kenya, passando per inondazioni, cicloni e innalzamento del livello del marein Bangladesh.
Raccontaci la tua esperienza in Bangladesh ed in Mongolia. Quali sono le cose che ti hanno più colpito? Nonostante queste persone abbiano perso tutto, mantengono una grande dignità. La loro dignità è la cosa che più mi ha colpito.
Foto di Alessandro Grassani
Nel 2050, come avvertono le previsioni, 1 persona al mondo ogni 45 sarà un profugo climatico. Chi è il profugo climatico? Si tratta di persone che non possono più vivere nei loro villaggi - resi inabitabili dai cambiamenti climatici - e sono costrette a emigrare.In alcuni casi i cambiamenti climatici hanno letteralmente cancellato le loro terre, in altri le hanno rese invivibili e a loro non resta che scappare, perché lì non avrebbero nessun futuro!
Come già detto io ho scelto di indagare la migrazione rurale/urbana causata dai cambiamenti climatici.
Come secondo te possiamo evitare che questo pronostico si realizzi? Io sono solo un fotografo, non in grado di rispondere a questo interrogativo a cui, purtroppo, ancora nessuno ha trovato una soluzione.
Sicuramente accendere i riflettori su questa situazione prima che diventi una catastrofe conclamata è una buona cosa.
Il mio lavoro è sensibilizzare e spingere più gente possibile ad approfondire una tematica, più gente avrò spinto a farsi delle domande sulle migrazioni ambientali, meglio sarà riuscito il mio lavoro.
La tua ultima tappa sarà in Kenya. In che modo le persone possono aiutarti nel realizzare questo progetto? I primi due capitoli del reportage sono stati totalmente autofinanziati, mentre spero di riuscire a realizzare l’ultimo capitolo, Nairobi-Kenya, grazie alla campagna raccolta fondi che ho avviato su kisskissbankbank.com. Il crowdfunding è un finanziamento “condiviso dal basso” piuttosto diffuso all’estero e che ora sta prendendo piede anche in Italia.
In pratica sono i privati cittadini, le persone comuni, che credono e finanziano – anche con piccole donazioni - idee e progetti che altrimenti non potrebbero essere realizzati.
In cambio il donatore riceverà un piccolo dono, il cui valore è in relazione alla cifra che si decide di donare (per esempio una stampa numerata).
Speroche molte persone decidano di credere nel mio progetto e di dare il loro contributo.
Oggi che il mondo della fotografia è in forte crisi e non è più in grado di finanziare progetti fotografici di approfondimento, ognuno di noi deve fare la propria parte, le persone hanno la possibilità di diventare protagonisti e di raccontare insieme a me i grandi cambiamenti in corso nel nostro mondo. E’ una grande responsabilità che molte persone hanno già deciso di affidarmi, ma ho ancora bisogno di aiuto, anche il più piccolo.
In che modo le persone possono visionare il tuo lavoro work in progress? Una volta che sarà raggiunto l’obiettivo della campagna raccolta fondi, e sarò partito, terrò un blog aggiornato sullo stato di avanzamento del lavoro, sui villaggi visitati e le persone incontrate. Oggi si può approfondire quello che è già stato fatto (Mongolia e Bangladesh), visionare in dettaglio il progetto Kenya e dare il proprio contributo economico sul sito:
http://www.kisskissbankbank.com/en/projects/environmental-migrants-the-last-illusion
Una volta raggiunto l'obbiettivo e ultimato il tuo lavoro in Kenya, in che modo penserai di far conoscere la realtà di queste persone? Ad oggi questo progetto è stato già pubblicato su diverse riviste, come il Sunday Times, Foreign Policy e Sette del Corriere della Sera, solo per citarne alcune.
E’ stato premiato a livello internazionale, per esempio ai “Sony World Photography Awards” ed esposto in circa quaranta mostre, dal Giappone agli Stati Uniti, dall’Italia al Brasile.
Il mio obiettivo è riuscire a dare la stessa visibilità anche all’ultimo capitolo relativo al Kenya e all’intero progetto, finalmente concluso.
Alessandro Grassani
Quando nasce in te la passione per la fotografia?Da piccolo, avevo dieci anni e un anziano vicino di casa appassionato di fotografia.
Ricordo le domeniche pomeriggio trascorse a stampare foto nella sua camera oscura e le serate a sfogliare i National Geographic che mi prestava.
Quali sono i fotografi che più ti hanno influenzato e per quale motivo? William Eugene Smith per il suo modo di raccontare per immagini e per come si relazionava con il soggetto.
Lui diceva: “La maggior parte dei fotografi sembrano agire da dietro un vetro che li separa dai propri soggetti. Non riescono a entrare in contatto con loro per conoscerli”.
Questo è uno dei suoi insegnamenti che guida sempre il mio lavoro.
Con quale immagine chiuderesti questa intervista?Mi piace pensare che quella che diventerà la mia immagine preferita la scatterò in Kenya tra qualche mese, quando - grazie a tutte le persone che decideranno di finanziare il mio progetto - potrò terminare di raccontare la prossima emergenza umanitaria del Pianeta: i profughi climatici.