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Migranti, priorità al ricongiungimento alle famiglie

Creato il 02 settembre 2015 da Alessandro Zorco @alessandrozorco
Migranti, priorità al ricongiungimento alle famiglie

L'arrivo in Sardegna di altri 800 migranti provenienti dalle coste libiche pone ancora una volta e con forza il problema dell'efficacia delle politiche per l'immigrazione. Domani al porto di Cagliari attraccherà nuovamente la nave norvegese Siem Pilot con il suo carico di disperazione e di morte. Cagliari - con il suo ormai rodato sistema di solidarietà (che, per inciso, non è composto da chi va una tantum a fare il volontario per lavarsi la coscienza e poi posta le foto su facebook) - non potrà fare altro che accogliere, soccorrere, aiutare. Curare. Sicuramente tanti di loro rifiuteranno di restare in Sardegna. Ma, forse questo non è troppo chiaro all'opinione pubblica, la maggior parte di questi migranti non rifiuterà il vitto e l'alloggio gentilmente offerti dalle autorità italiane per un mero capriccio: lo faranno perchè - oltre a sapere che qui in Sardegna non potrebbero avere un futuro - vogliono soprattutto ricongiungersi alle loro famiglie, alle loro mogli, ai loro mariti, ai loro figli, ai loro fratelli che sono sfollati in altri paesi d'Europa.

L'emergenza migranti

Abbiamo ancora negli occhi i visi disperati dei migranti che quest'estate, per giorni e giorni, sono stati lasciati a bivaccare in piazza Matteotti, davanti al porto.

Quei visi, quei corpi buttati sui cartoni a dormire, quei panni stesi ad asciugare sulle inferriate sono stati il segno tangibile di come chi ci governa sia incapace di gestire un problema così enorme.

Ingiuste regole europee, che fanno gravare tutte le responsabilità in capo ai paesi che si affacciano sul mediterraneo come l'Italia e la Grecia, impongono che la nazione che procede al riconoscimento dei migranti che richiedono asilo debba anche farsene carico.

Ecco perché molti migranti non vogliono farsi riconoscere in Italia. Ed ecco perché, come ha denunciato nelle scorse settimane il sindacato autonomo della polizia di Stato, molti migranti arrivati a Cagliari sono stati imbarcati sulle navi della Tirrenia senza essere identificati e sottoposti a controlli medici. Insomma è stata una scorciatoia, un modo come un altro per non affrontare il problema.

Domani nel porto di Cagliari sarà allestito un campo per il primo soccorso e per la pre-identificazione dei nuovi migranti. Poi questi saranno accompagnati nei centri di accoglienza di tutta l'isola. Si ripeterà quello che sta succedendo da mesi: tanti migranti in quei centri di accoglienza non ci vorranno andare, proprio perché vogliono partire per ricongiungersi ai loro familiari.

Non è in questione l'integrazione. Si tratta di buon senso. Il problema dell'integrazione sorge quando i migranti vogliono integrarsi in Sardegna trovando un lavoro serio, magari adeguato ai loro studi. Quando vogliono programmare il loro futuro nella nostra terra. Allora non c'è alcun motivo per non equipararli ai tanti sardi che sono emigrati e continuano ad emigrare dalla nostra isola in cerca di fortuna.

Ma qui si tratta di persone che non vedono l'ora di ripartire. Persone che vedono la Sardegna solo come una tappa intermedia del loro cammino verso la vita.

Migranti, priorità al ricongiungimento alle famiglie

Non è sicuramente facile gestire flussi così imponenti di migranti. Nessuno, tanto meno chi strepita sul web, ha in tasca la soluzione per risolvere una questione così complessa. Ma una possibile linea di azione potrebbe essere quella di dare priorità proprio a chi si deve ricongiungere con la famiglia, permettendogli - previe adeguate verifiche, tecnicamente possibili per nazioni europee all'avanguardia nell'intelligence e nei servizi di spionaggio - di raggiungere gli altri paesi europei immediatamente dopo essere stato identificato in Italia.

In questo modo sarebbero evitati ulteriori passaggi intermedi e si sarebbe veramente d'aiuto a queste persone evitandogli permanenze in luoghi dove non vogliono restare.

Governare questa enorme emergenza umanitaria non significa assistere passivamente a quanto sta succedendo. Governare un territorio significa alzare la voce, se necessario. Prendere provvedimenti per garantire anche a livello locale l'ordine e la salute pubblica. Garantire che le regole valgano per tutti.

Ma governare significa anche saper orientare questo flusso di esseri umani. Stabilire delle priorità. Perché l'eccessiva passività di chi ci governa favorisce, anche grazie a un'informazione inadeguata, le strumentalizzazioni, il razzismo e le guerre tra poveri. Chi ha responsabilità di governo ha il dovere di affrontare i problemi con polso e decisione. Altrimenti la situazione rischia di diventare davvero ingestibile.

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