Durante le feste di fine anno, mentre mi preparavo ad approfondire le ricerche per redigere il presente articolo, mi giunse dalla Francia una testimonianza che m’indusse ad allargare il mio raggio d’interesse.
In Francia la seguitissima trasmissione televisiva della seconda rete “Envoyé Special” (Inviato speciale) proponeva un dossier su i bambini vittime della guerra in corso in Repubblica Centrafricana. Decisi di impegnarmi a trovare il nesso tra la faccenda e il dramma di Lampedusa così come suggerito dal mio contatto Francese.
La sorte degli immigrati per qualche tempo è tornata a tener banco a seguito del suicidio di un giovane Eritreo senza grandi novità sulla dinamica del gesto all’interno del Centro Richiedenti Asilo (Cara) di Mineo.
Il Cara di Mineo è stato progettato per 400 posti letto ma vi sopravvivono stipate oltre 4000 persone. Nel corso degli anni non sono mancate denunce, rivolte anche drammatiche e altri suicidi. È compressibile dopo le pesanti accuse mosse contro i responsabili del centro, che i movimenti antirazzisti stiano preparando nuove campagne di protesta e sensibilizzazione.
«Le istituzioni del territorio, i comuni del calatino, hanno rinunciato a criticare il Cara». È l’opinione del sindaco Prc di Palagonia Valerio Marletta. “Si barattano le vite dei migranti per qualche posto di lavoro nelle cooperative e negli enti gestori”.
«Scenderemo in piazza nel nome di Mulue e di Nelson Mandela per far capire che nessun uomo al mondo è illegale». Così Alfonso di Stefano, della Rete antirazzista Catanese. L’affermazione riassume il senso delle iniziative che si sono svolte in Sicilia nei giorni scorsi. «A Messina, Palermo e Niscemi si sono tenute manifestazioni per ricordare le vittime dei troppi naufragi avvenuti nel Canale di Sicilia – l’ultimo lo scorso 3 ottobre a largo di Lampedusa. La tragedia sembra lontana anni luce ormai dopo il clamore che destò. Orbene, è calata l’attenzione mediatica ma sul posto vi è ancora grande fermento e altre disgrazie si consumano quotidianamente soprattutto tra gli immigrati ospitati nei centri di accoglienza.
Eppure una ricerca realizzata nell’ambito del progetto “Indagine conoscitiva sul disagio abitativo degli immigrati presenti nell’Italia Meridionale” finanziata dal Ministero della Solidarietà Sociale nel quadro degli interventi del Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia 2000-2006” aveva già dato l’allarme qualche anno fa. Bastava prendere provvedimenti per non rendere inevitabile lo scempio di Lampedusa o il gesto forte contro la permanenza nel centro di accoglienza immigrati di Ponte Galeria. 10 rifugiati hanno utilizzato la graffetta di un accendino e il filo di una coperta per cucirsi la bocca. Sono stati subito assistiti da un medico e non è stato necessario il trasporto in ospedale. In seguito hanno iniziato lo sciopero della fame. Se per il sindaco Marino è chiaro che bisogna “Rivedere la Bossi-Fini” legge che sembrava un’assoluta rivoluzione, è ancor più chiaro che bisogna far applicare le leggi quando esistono e sono buone.
L’Italia è colpevole dopo aver gridato al Mondo la Sua rabbia, per esser stata abbandona a gestire da sola i flussi migratori provenienti dal mediterraneo, porta d’ingresso di tutta l’Europa, di aver successivamente consegnato la gestione dell’accoglienza a gruppi locali con dubbie capacità e pochi mezzi. Era il caso di chiedere e ottenere una gestione internazionale con più risorse esattamente come si sta verificando negli ospedali della Repubblica Centrafricana dove tra l’altro i gruppi che si stanno distinguendo sono proprio italiani.
Al visto del documentario sul caso centrafricano appunto, si ha la sensazione che le adozioni siano sempre più percepite come “una trovata per far piacere agli Occidentali e dargli la possibilità di lavarsi la coscienza.” Non che non sia del tutto una buona cosa ma dai genitori Occidentali pronti a dare tutto ciò che meritano di ricevere quei poveri bambini, a volte non traspare la certezza che siano completamente in sintonia con tutto l’aspetto culturale e psicologico.
Viene in mente la storia di una ricca signora Canadese che s’impietosì per una giovane Camerunense con problemi di sovradimensionamento mammario. Una volta operata, la ragazza si dileguò e scomparve nel nulla. La ricca Nordamericana che aveva sopportato i costi di tutto gliene volle a morte. Gli osservatori attenti ebbero l’intuizione del divario culturale apparentemente semplicistica ma azzeccata. La benefattrice poteva anche avere soldi che le uscivano dalle orecchie, ciò non toglie niente al fatto che le era impossibile mettersi al livello del soggetto. Sebbene più tardi la signora avesse confessato di non avercela più con la sua assistita, non si poteva dire che della sua comprensione si evidenziassero notevoli progressi.
Il problema degli Occidentali rimane quello o di voler inculcare le proprie vedute agli altri, o di voler aiutare gli altri a migliorarsi ma senza mai elaborare la capacità di mettersi al posto degli altri. Evidentemente vero è anche il contrario ma forse ha meno scuse chi ha più risorse et più confort.
Il 7 dicembre scorso leggendo la stampa internazionale mi capitò di verificare con quanta ammarezza, era stata commentata nei paesi francofoni dell’Africa tra cui il Congo, la notizia dell’annullamento della condanna a un dipendente del Comune di Catanzaro con assoluzione dell’imputato in un caso presentato come macchiato di pedofilia. Lui sessanta anni e lei undici. Aveva preso tra le sue braccia la bimba di famiglia disagiata che la mamma gli aveva affidato. Ma quando i poliziotti fecero irruzione in quella villetta in riva al mare, le sue braccia la tenevano stretta sotto le lenzuola del lettone. Entrambi nudi. Dopo l’accusa per pedofilia e il processo precedentemente conclusosi con una condanna a 5 anni di reclusione, per la Cassazione è amore. Oltre al timore che sia un caso di giurisprudenza destinato a confortare chi si sta battendo per la legalizzazione della pedofilia, in Congo alleggia il sospetto che sia questo il destino di bambini adottati o dati in affidamento in Italia.
A chi andiamo a spiegare che un paese che non riesce a gestire l’immigrazione sia invece molto avvezzo a agevolare adozioni internazionali dando anche l’impressione di commettere la leggerezza di bruciare le tappe o di avere scarse capacita e volontà di controllo? È il vecchio problema della differenza tra ONG e ONLUS come già visto nel caso della non ben definita Cooperativa Sociale ALISEI. Si tratta di soldi destinati a Paesi in via di sviluppo scomparsi.
Enrico Crespi nel suo blog lamentò il fatto che “In altri paesi, almeno, sono stati messi in piedi meccanismi formali di controllo ma in Italia niente; il sistema non ha mai voluto che i finanziamenti statali (per fortuna ora esauriti) fossero dati in base a gare pubbliche, che fossero attivati enti indipendenti di controllo su qualità e costi dei progetti, che si definissero criteri speciali per i bilanci delle ONLUS più grosse, per esempio.” Questo è una lacuna legislativa grave che permette a queste organizzazioni di operare in una sorta di limbo senza leggi. In Italia per esempio le ONG non sono tenute a pubblicare il proprio bilancio né il proprio organigramma. Continua Crespi: “La legge n. 49 del 1987 fissa i criteri relativi al riconoscimento delle ONG e prevede che il Ministero degli Esteri possa dichiarare la loro idoneità alla gestione dei progetti di cooperazione solo dopo aver condotto un’accurata e selettiva istruttoria che verifichi che i progetti rispettino le disposizioni ma come spesso il problema non è che non ci sono le leggi. È che spesso e volentieri o non le si fanno applicare o si lascia che vengano impudentemente disattese.”
Il 30 dicembre 2013 un gruppo di ribelli che potrebbe fare riferimento a un leader religioso ha assaltato la televisione pubblica congolese, l’aeroporto e lo stato maggiore con machete e armi. Il Paese, che vedeva bloccate ventiquattro famiglie italiane in attesa di adottare alcuni bambini congolesi, è stato teatro di atti violenti e scontri a fuoco. L’Unità di Crisi della Farnesina ha rivolto un invito ai connazionali a non lasciare i propri alloggi, mentre l’ambasciata italiana è rimasta in costante contatto con le famiglie italiane bloccate nel paese per le adozioni. L’hanno riferito fonti diplomatiche, secondo cui il ministro degli Esteri Emma Bonino ha seguito personalmente l’evolversi della situazione attraverso l’Unità di Crisi e l’Ambasciata a Kinshasa. In considerazione del vivo interesse delle famiglie e del governo italiano per una rapida e positiva soluzione della vicenda, il primo ministro congolese ha confermato l’impegno a velocizzare il riesame delle adozioni, disponendo che i casi italiani siano verificati per primi.
Cinquantadue cittadini italiani sono bloccati a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. La colpa? Di una firma. Si tratta di genitori adottivi in attesa di poter rientrare in patria insieme ai loro figli. Maura Prianti, neo mamma di due bambine non si lascia disturbare dal fatto che dall’Italia tutto tace. “Ma che c’entra l’Italia? Se io sono qui e se qui ci sono altri 51 cittadini italiani insieme ai loro figli, che già hanno un cognome italiano, è perché la Commissione per le adozioni internazionali (Cai), ha deciso che potevamo partire per venire finalmente ad abbracciare i nostri figli”, spiega Maura, che poi continua: “L’ambasciata italiana a Kinshasa non lo sapeva? Mi sembra strano, ma se due organismi ufficiali dello Stato italiano non si parlano non è un problema mio, né delle mie figlie. Loro sono mie figlie perché ben due sentenze di due tribunali congolesi dicono che lo sono.” Ora Nonostante la Ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge anche essa originaria del Congo abbia garantito di occuparsi del dossier, le 24 famiglie italiane sono tristemente rientrate in patria senza i loro bambini per colpa della unilaterale decisione delle autorità governative locali di fermare tutte le pratiche di adozione internazionale in corso almeno fino a settembre–ottobre.
La riflessione al riguardo mi riporta a una trasmissione televisiva in Francia, dove la rete Canal+ ha diffuso la settimana scorsa uno sketch sul genicidio del Ruanda di cui si è detta il giorno dopo pentita per l’interpretazione che ne è conseguita. La commedia voleva offrire una parodia come replica a un‘altra trasmissione. I responsabili della rete aggiungeranno: “Quello sketch non mirava in alcun caso a intaccare la memoria delle vittime del genocidio ruandese”. Così si è difesa la mittente aggiungendo “Lo sketch aveva come scopo quello di caricaturare e denunciare l’attitudine di alcuni Occidentali interessati a se stessi in un paese che gli è totalmente estraneo”. La scelta di un paese che ha attraversato un periodo di massacri era volta a generare un contrasto estremo tra la gravità dei fatti e l’attitudine disinvolta dei presunti ospiti di una trasmissione satirica. Noi siamo mortificati che lo sketch sia stato interpretato diversamente” ha concluso il portavoce della rete criptata che ha soppresso il video dello sketch dai siti di condivisione.
La sequenza incriminata in cui compariva tra gli altri il premio Oscar Jean Dujardin voleva servire al pubblico un parodia di “Rendez-vous en terre inconnue” (appuntamento in Terra sconosciuta) di Frederic Lopez che va in onda su France2. Tra le altre cose, in un frammento della parodia che ha scioccato i telespettatori si poteva sentire uno dei personaggi cantare “fa le ninne Colas fratellino mio / fa le ninne che gli altri sono morti / Mamma è sopra / a pezzi l’hanno fatta / Papà è sotto / le braccia gli mancano.
Le adozioni vanno di moda, soprattutto con bambini provenienti dal sud del mondo. Nessuno sembra preoccuparsi dei risvolti psicologici a lungo termine, passato l’impatto de l’approccio e l’integrazione che si sa ormai si accompagna della maestria degli psicologi d’emergenza. Sarebbe triste che per bambini provenienti dal Congo dove è in corso una guerra che ha già fatto 7 milioni di morti con delle atrocità indicibili si ripetesse anche in un futuro lontano nella loro terra di accoglienza degli scivoloni inguaribili con i bambini per cui alcune famiglie italiane si stanno battendo.