-L’insostenibile (per gli altri) leggerezza del calcio-
Esiste un segreto, una chimica, in annate come questa, che fa pensare a qualcosa di magico. Ma non è un allineamento di pianeti, piuttosto un’adesione comune a quel che è bene per la squadra. Ricordo i commenti post-Cesena, di critica e tifosi: ho sempre pensato che “la coerenza” nel calcio sia un valore per tarparsi le ali e, al contrario, sia da ricercare una sempre nuova, possibile identità in corso d’opera, che possa all’occorrenza far fruttare ogni risorsa a disposizione.
La coerenza… bah! La più grande balla mercificata nello sport di squadra e nella sua comunicazione: come se non fosse stata questa a declinare la fine di Sacchi che sull’ara di un principio univoco fece sfiorire un gruppo raro per valori tecnici e professionali; fino al Leonardo -quello Milanista-, che di coerenza ne aveva da vendere.
Allegri, se avesse posto al centro del suo lavoro “la coerenza”, non avrebbe cambiato il Milan in corso d’opera per più di una volta: ne parliamo adesso a giochi quasi fatti, com’è giusto, perché di fare i fenomeni ce ne impipiamo, e non per scarsa sensibilità a certe dinamiche poco reclamizzate. Ha lasciato il segno alla stagione una percentuale enorme dei giocatori della rosa, e non certo nell’incistarsi del tecnico su alcuni pregiudizi comodi che avrebbero potuto essere pure legittimi: convinzioni che avrebbero potuto inchiodare il Milan a se stesso, quello degli anni passati.
Partita com’era da sotto-zero ad agosto (Ibrahimovic determina il volto di un 11, non lo completa e basta), la squadra si è arrampicata sulla schiena della punta Svedese per trovare risultati in campo in maniera sofferta ma efficace e la tranquillità in settimana. I gol di Roma contro la Lazio, quello contro il Genoa in casa, sono emblemi sotto gli occhi di tutti.
Prima serie di 4 vittorie: ne scrivevamo anche qui “Siamo in alto, ma qualcosa non convince”… il gioco, il tenere la gara meno in bilico fino alla fine (con relativi patemi d’animo). Venne il tempo di Ambrosini davanti alla difesa, dei “tre mastini” di centrocampo: etichetta che ben riempiva la fantasia di chi in realtà si accontentava, per poi strillare poco tempo dopo che “il Milan giocava male”, da pagine più o meno rosa, e TV più o meno limpide come il cielo.
Sfruttare ogni risorsa a disposizione, la forza di un gruppo unito: le tante facce del Milan di quest'anno.
Un Milan povero di idee, che piaceva poco e convinceva anche meno come pretendente allo scudetto per come aveva abituato i suoi tifosi; più che felici, quasi sorpresi nel leggere la classifica che vedeva un Milan inedito nella sua espressione calcistica posizionarsi al 1° posto. La seconda serie di vittorie e punti consecutivi parte da Bari, trova il suo culmine di applicazione tattica e “mentale” nel derby d’andata, sdrucciola a Genova e alza la qualità del gioco con l’inserimento di Pirlo mezzo-sinistro -Brescia, Bologna-, e termina con l’uscita dal campo del 21 bresciano dopo venti minuti contro la Roma che ci sconfigge a S.Siro. Qualcosa si rompe… un equilibrio provato e trovato, che rendeva in termini di risultati e varietà gioco.
Poi gennaio, con la preparazione ad Abu Dabi -riuscita-: la squadra non esce mai dalla gara prima dei 90’, pur giocando su campi che impastano gioco e garretti. Con unghie, denti e culo si strappano punti a Cagliari, all’ultimo sospiro con l’Udinese, a Catania si difendono i centimetri in 10, e Jankulovski pare un leone. La squadra fatica nei volti dei protagonisti, ma va avanti, non esce di strada e mantiene il primato; puntualmente però i rimandi della memoria vanno a quel Bologna-Milan delle 12.30: massima espressione della squadra tanto da venire quasi mitizzato quel pressare alto, quel saper stare corti e stretti e ripartire diritti verso la porta avversaria in un amen…
Ma Ibrahimovic è stanco, Pato è fluttuante come e più del solito, e i tre mediani han già poco di loro piedi cesellati per non patire pure la fanghiglia dei campi d’inverno per giocare palloni luminosi. Il nostro 7 segna a Verona, punge sempre al momento giusto: per la prima volta si sente dire di una gara “E’ determinante”… e siamo al 20 febbraio!
A “sostituire” il capitano infortunato è arrivato Van Bommel: “arma segreta” della seconda parte di stagione. La retorica si spreca su di lui: “E’ un muro, dà solidità alla difesa”, su giornali rosa e TV a tinte più o meno (nero) azzurro cielo tutto diventa “Assoluto”… tanto che lo troviamo protagonista o coprotagonista sui gol presi a Genova, Verona, contro il Bari e col Palermo. Quando si dice “tirarla a qualcuno…”
Tocchiamo il punto più difficile della stagione: zeppi di infortuni, eliminati dalla Champions League, un punto in due gare. L’equilibrio non ha dimora nelle parole di critica e tifosi: non è il calcio che interessa, piuttosto far giustizia, chi capita capita. In fretta “i giudizi” -termine che dovrebbe far rabbrividire chiunque si accosti a voler “gustare” il calcio come gesto tecnico, atletico e sportivo-, si capovolgono e ci danno per spacciati –!-
Non è con la fretta però che il Milan si riassesta per affrontare il termine della stagione: ma con il tempo dalla sua e la calma, non con isterismo infantile che porta a nulla-. L’inquietudine nervosa e fisica accumulata fra Bari e Palermo si discioglie nelle due settimane pre-derby, con Boateng e Van Bommel “trattenuti” e “richiamati” a Milanello nonostante gli impegni delle loro Nazionali. Si svolterà ancora.
Il tiepido di una primavera che sorge di colpo, fa ritrovare la densità muscolare giusta all’ultimo giocatore rimasto in rosa che possa dare qualità (mai stata ad un livello così basso in mezzo al campo); il numero di panchine record smuove forse l’orgoglio, forse più semplicemente gli torna “la voglia” di giocare. Dopo quel “famoso” Bologna-Milan, un terzo di qualità viene riposizionato a metà campo: sorretta, guarda caso, dallo stesso Van Bommel e da Boateng che, libero dai compiti più tattici, può sprigionare la corsa su cui la tecnica può e deve trovare lo spazio per fare differenza. Il Milan NON rassomiglia più a se stesso per l’ennesima volta.
Viene un derby storico, pazzesco per modi e significati, altre vittorie difficili, rognose, dove la squadra che perde Ibra e Pato -ancora!- non si fa ricondurre ad un solo cliché tecnico o atletico, e sfonda pur presentandosi senza un centravanti in campo in gare dispendiose come mai in stagione: gioventù, esperienza, qualità tecniche, dinamismo… c’è quasi tutto. Al Milan manca un punto per conquistare il suo 18° titolo tricolore: la coerenza è servita.