Ma sto divagando… Quanto scritto era solo per farvi capire che razza di mente malata ho quando si tratta di sognare, e pensare che non mangio neanche pesante e non vado a letto ubriaco da una quindicina d’anni almeno.
Torniamo a quel che ho sognato ieri notte. Ho sognato di essere un calciatore, e già questa cosa potrei definirla assurda, in quanto nella realtà sono scarso come pochi al mondo. Ho la visione della porta di Calloni con un occhio di vetro e l’altro con la cataratta, la classe nelle movenze palla al piede di Maldini, Cesare, di oggi. Ma nulla si può dire sulla mia resistenza fisica. Eccome no? Difatti ho la capacità di resistere sul campo a battagliare coi compagni, almeno nel tragitto tra gli spogliatoi e l’ingresso in campo, poi al fischio d’inizio chiedo già la sostituzione per evidente carenza di ossigeno, stramazzando al suolo invocando pietà, ed i barellieri che mi portano via, mi sembrano i Santi Pietro e Paolo che mi conducono verso il riposo eterno. Ma nei sogni tutto è possibile! Ed io ne so qualcosa. Ecco perché ho potuto sognare di essere un calciatore.
In questa mia fantasia notturna, so di essere calcisticamente cresciuto nel Parabiago, la mia amata città, come “centrocampista di randellanza”. Il classico distruttore di gioco che sta in mezzo al campo a darle ma anche a prenderle. Ogni partita per me era una guerra.
Ma il mio sogno inizia con la fine. L’ultima partita della mia carriera. Sto per entrare in campo e gioco con la maglia del Monza. Ormai ho superato di una manciata d’anni i trenta e ne ho viste di tutti i colori durante gli ultimi 8 al Monza. Io e i miei compagni abbiamo portato i biancorossi verso traguardi di tutto rispetto, la promozione in B, partite memorabili, ed ora eravamo pronti a giocarci l’approdo in serie A, mancano ormai 3 partite e siamo terzi a 2 punti dalla seconda. Il Pisa! Sorpassare sti neroazzurri vorrebbe dire Serie A sicura, e si sta per giocare lo scontro diretto.
C’è un problema però. Io vengo da un lungo stop di due mesi e mezzo per la frattura alla caviglia destra, non è il mio piede, ma comunque mi serve direi. Ed in ogni caso in questa stagione (e anche per metà della scorsa) non ho brillato particolarmente come gli anni passati. Sono stato spessissimo sostituito perché non ce la facevo più, ho sbagliato l’impossibile, e per colpa di gravi errori miei abbiamo perso anche due partite che ancora mi stanno sullo stomaco se ci penso. Nonostante tutto, anche oggi che ci stiamo giocando la stagione proprio contro gli odiati pisani, il mister mi schiera, mi da fiducia. Povero lui.
E nel sogno, mentre sono fermo nel tunnel che porta in campo, ricordo quando arrivai al Monza appunto 8 anni prima, essendo famoso per le risse e per essere tifoso del Milan, mi diedero subito il soprannome di “Diavolo biondo” e la mia prima partita in biancorosso non aiutò di certo a cambiare idea su di me. Giocavamo in casa e dopo 20 minuti, mi sono beccato un giallo per un fallo a centrocampo inutile, poi assist molto casuale per il gol vittoria, e a dieci minuti dalla fine un bella gomitata in area avversaria, rosso diretto e a casa due partite. Si ma quel tale se lo meritava, era tutta la partita che mi insultava perché sono basso e mi schiacciava i piedi sui calci d’angolo. Bisognava che capisse chi comandava.
Nonostante l’inizio non proprio da pallone d’oro, negli anni a seguire divenni una colonna della squadra, ridimensionando un po’ la mia irruenza, ma solo un po’. Diciamo quando l’arbitro non guardava. L’ultimo anno e mezzo però era tutto uno schifo, come dicevo, ormai ero più di la che di qua, sia con il fisico che con la testa. I tifosi su di me erano divisi, chi giustamente non vedeva l’ora che levassi le tende, e chi invece aveva ancora negli quel tale che li aveva portati fino alla serie B a suon di sgomitate. Gli altri ricordavano a questi, quanto invece il Monza volasse senza di me…
All’ingresso in campo sentivo i mormorii tra le prime file dei miei detrattori. Ad un certo
E fu in quel momento che ne ebbi abbastanza. Mentre ancora i Pisani festeggiavano, mi avvicinai alla panchina e dissi al mister: “Capo, io esco. Metti un altro.” nonostante non fosse d’accordo fu costretto a “seguire il mio consiglio”, soprattutto quando mi levai gli scarpini e mi sedetti in panchina da solo. Questo mi costò pure una multa dalla società, ma pensa te… Beh fatto sta che “l’altro” entrò riportando la squadra in parità numerica, visto che con me giocavano in dieci contro dodici. Il Monza pareggiò e la partita si concluse così. Uno a uno. Fu l’ultima della mia carriera, le restanti due me ne rimasi seduto in tribuna per mia scelta, ed a fine anno rescissi il contratto.
Al risveglio ho continuato a sognare ad occhi aperti. Chissà che accadrebbe se dovesse succedere al Milan una cosa simile? In tutti questi anni, abbiamo avuto giocatori attaccati con il bostik al loro posto da titolari. Giocatori che nonostante fosse evidente che non ne avessero più, ma non da un paio di giorni, ma da qualche anno buono buono, continuavano imperterriti a scendere in campo. Allenatori che nonostante avessero in rosa gente degna di sostituire chi era palesemente impresentabile, si ostinavano cocciutamente a schierare sempre le solite statuine del presepe. Ma perché parlo al passato? Infondo ancora oggi tutto questo accade, magari meno frequentemente rispetto a prima, ma accade. Ma ce lo vedete voi, mi viene un nome a caso in mente, Seedorf che chiede ad Allegri di non giocare perché (da almeno 5 anni) non riesce ad essere non dico in forma, ma diciamo almeno presentabile? No, lui si lamenta e chiede spiegazioni in società. Pretende di incontrarsi con tutti, di riunire il CDA, per capire cosa sia mai questa brutta cosa chiamata “panchina”. Lui, come altri prima ed anche ora. Scusate il gioco di parole, ma sarebbe un sogno se accadesse quel che ho sognato! In tutti i sensi…
A me, come ai miei amici qui, viene rinfacciato di non avere rispetto per “chi ha dato tanto al Milan”, di non avere riconoscenza per “chi ci ha portati dove siamo ora”, beh… Ed il rispetto di lor signori per “la maglia che indossano” e “lo stipendio che prendono”, e la riconoscenza nei confronti di “chi da anni paga per andarli a vedere” e perché no? “chi li ha sostenuti a prescindere”? Queste cose non contano? Il rispetto e la riconoscenza deve essere sempre unilaterale?