Milanabad
di Michele Monina
Castelvecchi
244 pagine, 15 euro
Sinossi
Marco è un ragazzo come tanti. Un figlio della periferia milanese che, alle prime luci dell’alba, sente bussare alla porta di casa sua. Scortato dalle forze dell’ordine, sul pianerottolo c’è un ufficiale giudiziario: Marco è stato sfrattato e, insieme a sua madre, deve lasciare immediatamente l’appartamento dove vive. In attesa che si faccia giorno, madre e figlio si rifugiano in macchina. Non c’è niente da fare: la zia di Marco è l’unica persona in grado di ospitare la famiglia e, proprio per questo, i due senzatetto si dirigono alla volta di Lambrate. Nel nuovo quartiere, Marco scoprirà in suo cugino Rabbia – metà milanese e metà egiziano – la guida di cui ha bisogno per capire le leggi della strada. Insieme, Marco e Rabbia scopriranno di condividere una comune passione per il rap e, rima dopo rima, inizieranno a mettere in musica i deliri e i disagi da cui sono circondati. In una metropoli che non lascia spazio all’immaginazione, l’adolescenza diventa un’età da bruciare in fretta: benzina sul fuoco del terrorismo, dello scontro razziale e della paura nei confronti di tutto ciò che è marginale e diverso. Privati persino dello spazio necessario a inseguire i propri sogni, Marco e Rabbia si ritroveranno soli: schegge impazzite in una città in grado di trasformarsi nella peggior nemica dei propri desideri.
Commento
Quando uno scrittore può dirsi veramente bravo? Quando riesce a catturare lettori con gusti difficili, o comunque orientati verso una narrativa diversa da quella di cui lui si occupa.
Michele Monina, lo Stakanov della letteratura italiana, è senz'altro in grado di spaziare tra generi, filoni, argomenti spesso agli antipodi. Lo conoscerete forse come autore di biografie e di saggi su musicisti e cantanti, oppure come acuto osservatore di faccende calcistiche (più legate al tifo, in realtà, che non al gioco in sé).
Su queste pagine vi ho invece presentato due libri anomali di Monina, Tangenziali (scritto con Gianni Biondillo) e Lo zen e l'arte della manutenzione della vespa 125 primavera. Questa volta tocca a Milanabad, edito da Castelvecchi, un romanzo che parla essenzialmente di due cose: di Milano, com'è facile intuire dal titolo, e di musica.
Ora, voi sapete quanto io adori le storie ambientate a Milano, partendo da quelle immortali di Giorgio Scerbanenco, per arrivare alle splendide poetiche horror di Samuel Marolla, senza dimenticare il bravissimo Valter Binaghi, che sposta solo di poco il mirino, concentrandosi sull'hinterland e il suo microcosmo. In Milanabad Monina focalizza invece l'attenzione sulla “città 2.0”, ossia sulle nuove generazioni che il politically correct definisce multietniche, e che tanto spaventano tutti coloro che invocano giri di vite sulla sicurezza, scuole arianeggianti e altre idiozie padano-celtiche.
Lo scenario è dunque questo: non più la Milano noir della Mala e della scighera, né quella da bere di corrotti, modelline dalla coca facile e relativo contorno. L'attenzione è concentrata sui quartieri popolari, periferie non propriamente degradate, ma poco ci manca. È lì che cresce la “milanesità” del domani, piaccia o non piaccia. Ed essa conta famiglie italiane, mischiate ad altre egiziane, ecuadoriane, slave, marocchine e via elencando.
Milanabad sfugge alla ricerca del facile stereotipo: i ragazzi che vivono in questi quartieri non sono emuli poveri dei Warriors di Walter Hill, bensì giovani come tanti, che crescono in una strada che sa essere tanto amica quanto nemica, cullando sogni di riscatto senza mai tradire le origini. Ed è qui che la musica, l'hip-hop, il rap, giunge a colmare i vuoti di una società che non offre più nulla, nemmeno i sogni, alle generazione future. Quindi esse si gestiscono da sole, creandosi crew, regole d'onore, gruppi, idoli da imitare e altri, negativi, da evitare.
Lo scontro generazionale esiste da sempre, ma mai come in questo nuovo millennio padri e figli sembrano extraterrestri provenienti da mondi diversi e spesso in conflitto tra loro. Non sembra esserci più alcun interesse nel tentare di comprendere le reciproche ragioni e il risultato è che spesso sono i giovani ad apparire degli UFO agli occhi di chi (così) giovane non lo è più. La tendenza a generalizzare ci porta spesso, me per primo, a immaginare gli under 18 come perditempo sottoculturati senza alcun valore degno di nota. Cliché che spesso corrisponde alla realtà, ma di certo non sempre. Milanabad ribalta il punto di vista e ci insegna che c'è del buono – e del male – al di là dei meri vincoli biografici ed etnici, ma su quest'ultimi solo i padano-celtici potevano avere qualcosa da obiettare.
Alla fin fine la cosa peggiore da fare è persistere nel non cercare di comprendere chi, ci piaccia o meno, erediterà questo mondo alla deriva quando noi saremo dei vecchi sdentati e incontinenti. E, per comprendere un'altra tribù, bisogna studiarne le abitudini e il linguaggio. Monina fa un piccolo passo in più, e si lancia nella fase dell'immedesimazione.
La storia di Tarik e Pluto parte dallo sfratto di quest'ultimo, costretto con la madre a cambiare quartiere, abitudini e compagnia. Da qui l'amicizia tra due cugini che fino a quel momento si erano frequentati poco, fino a inseguire insieme il sogno, per fortuna non di Defilippiana memoria, di diventare “qualcuno” attraverso l'hip-hop, guadagnandosi il rispetto della loro gente. Sogno che purtroppo è costretto a interrompersi, perché la realtà non è Amici e la vita viene a bussare sempre alla porta sul più bello.
È un romanzo che piace appunto perché non è ipocrita o truffaldino, né rovinato da facili stereotipi che sarebbe stato fin troppo semplice utilizzare. Quel che stupisce è l'abilità di Monina nel descrivere una gioventù “credibile” e corrispondente al mondo reale, cosa che ad altri riesce raramente, oppure riesce solo in modo molto parziale. Questo si evince tanto dalla caratterizzazione dei protagonisti, primari e secondari, quanto dalla proprietà di linguaggio, compresi rimandi e citazioni musicali che l'autore conosce molto bene. Tutto è al suo posto, o almeno questa è la sensazione di chi legge.
Milanabad è una fotografia attuale scattata nella presunta capitale morale d'Italia, ma anche una canzone. Rap, ovviamente.