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Milano da mangiare

Creato il 17 marzo 2014 da Scribacchina

Altri tempi, quando c’era la Milano da bere.
Sì, quella dell’amaro Ramazzotti.
Che ha tuttora un pregio non indifferente: zitta zitta, ci ricorda come una volta gli spot potevano avere colonne sonore serie, non la canzonetta-orrore del momento.

Bene.
Conclusa l’epoca della Milano da bere, ecco arrivare di gran carriera la Milano da mangiare: quella di Eataly.
Quella che ti apre un circuito di 15-ristoranti-15 all’interno del Teatro Smeraldo (o di quel che ne resta), pronta a dare da mangiare – ma ce n’era davvero bisogno? – a tutto un popolo di gente che del Teatro Smeraldo, forse, se n’era sempre fregata.

Che poi, intendiamoci: a me piace Eataly. Mi piacciono le commistioni di arte e godimento: ho fatto magnifiche indigestioni di libri, cibo e vino alle Librerie Coop di Bologna. Per non parlare dello Spazio Terzo Mondo di Seriate, che tra un pensiero al mio basso rotto e una birra artigianale mi aveva fatto conoscere l’uomo Danilo Sacco.

Eppure non mi piace questa cosa dello Smeraldo.
E non mi basta sentire le parole di Oscar Farinetti, patron di Eataly, per stare più serena: «Mentre il popolo dei golosi si muoverà dentro lo Smeraldo per comprare, mangiare, imparare, sul palco, dalle 19 a mezzanotte, si farà musica del vivo: rock, blues, jazz, pop, folk. E a sorpresa, di tanto in tanto, avremo l’esibizione delle star».

No, non mi basta.
Lo Smeraldo era un tempio: non si può farlo diventare un centro commerciale, no, sono categorica, non si può. E non m’interessano le obiezioni: sono contro a prescindere, a dispetto di qualsiasi logica.
Perché io allo Smeraldo ci sono stata una sola volta.
E ci ho visto il concerto più importante della mia vita.
Il mio primo vero concerto – wow.
A Milano – doppio wow.
Allo Smeraldo – triplo wow.
Con mia sorella e con un gruppo di «amici dell’amico» – leggi: dei perfetti sconosciuti.
Mille difficoltà superate pur di esserci, pur di sentire dal vivo David Sylvian, Robert Fripp e Trey Gunn – quanto è curiosa la vita: anni dopo mi sarei ritrovata a intervistare per il mio giornaletto Paul Richards del California Guitar Trio, formazione che non conoscevo e che proprio quella sera faceva da spalla a Sylvian e Fripp.

Io me la ricordo bene quella sera, me lo ricordo bene quel concerto.
Mi ricordo lo Smeraldo, e non voglio, non voglio, non voglio che diventi una mangiatoia con angolo musica.
Dappertutto poteva farlo, caro signor Eataly, ma non allo Smeraldo.
Non ai miei ricordi.


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