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Milano odia: la polizia non può sparare

Creato il 25 luglio 2015 da Alessandro Moccia @cinemainpixel

Milano_odia_la_polizia_non_puo_sparareRAI MOVIE (canale 24) ore 21:15

Si discute spesso tra amici della differenza tra il cinema italiano odierno e quello tra i ’60 e gli ’80. Ha tanti problemi il cinema contemporaneo, sui quali ci sarebbe da scrivere libri interi, ma uno di questi è il fatto che non racconta la realtà. Peggio, pretende di raccontarla attraverso dei luoghi comuni inesistenti o comunque rari oppure attraverso la derisione delle nostre tragedie quotidiane e alla fine ciò che fanno è spingerci a credere che il vissuto sia quello su schermo. Un vissuto però messo in scena (a volte involontariamente, spesso furbamente) come fosse un continuo carnevale, anche nei film che si presentano come drammatici. In altre parole: da secoli società e cultura si influenzano a vicenda controbilanciandosi, ora il rapporto è a senso unico con l’arte che pretende di indirizzare la società senza conoscerla. Film come questo risentivano di una certa situazione sociale, la contestualizzavano e ne estrapolavano un pensiero che a volte era anche ruffiano, cerchiobottista o reazionario, ma la radice unica era sempre e solo quella popolare, quella delle piazze, della gente che viveva dell’essenziale, della massa insomma. Ne risultavano pellicole che anche oggi sembrano profonde, intime e intense in ragione del fatto che è il nostro quotidiano ad essere così.

Non fa eccezione Milano odia di Umberto Lenzi, un film che parla di un’Italia purtroppo ancora molto vicina alla nostra: racconta di un popolo lasciato ai suoi drammi dalle istituzioni disinteressate e arrendevoli e che sfoga la sua disperazione nella violenza. Lenzi però narra senza legittimare o patteggiare. Il protagonista è un figlio del proletariato, disoccupato e dedito alla miseria, le sue brevi e dirette invettive sono anche giuste e coscienziose, ma lo spettatore non è mai portato a simpatizzare per lui: Giulio Sacchi rimane comunque un assassino spietato e megalomane che compie azione crudelissime (anche quando non uccide) e che si crede il più intelligente, anche se a salvarlo sarà solo l’inettitudine di chi dovrebbe preservare la nostra incolumità. E anche il poliziotto sebbene mosso da ideali puliti e nonostante abbia a cuore il ruolo che gli compete, alla fine anche lui si piegherà a delle leggi che dovrebbero essere più adatte a una giungla piuttosto che a una società civile.

Il realismo esplode in ogni scelta, dalle scene degli omicidi alla scenografia fino all’interpretazione di tutti gli attori (specie un Milian grandioso) e non si smarrisce nel bellissimo finale in cui la vendetta prende forma, ma non sfocia nell’eroismo celebrativo, bensì in una presa di coscienza, nella consapevolezza che la violenza non è mai giustificabile, nemmeno quando non sembra esserci altra scelta.


Archiviato in:Il cinema dal divano Tagged: Anita Strindberg, Henry Silva, Laura Belli, Milano odia: la polizia non può sparare, Tomas Milian, Umberto Lenzi

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