Serendipity. Ovvero (più o meno): la fortuna di fare felici scoperte per puro caso. O trovare una cosa imprevista mentre se ne stava cercando un’altra.
Oggi la #MilanoDaLeggere che voglio raccontarvi inizia proprio così! Con una coincidenza che mi ha fatto sorridere. E che ha – ancora! – come palcoscenico la famosa Design Week milanese. Vi ho raccontato delle mie esplorazioni urbane nel quartiere di Lambrate vero? Bene, mentre ero lì per via Conte Rosso ad ammirare una mostra fotografica sulla storia del quartiere, dalle vecchie gloriose fabbriche (Innocenti, Faema) alle ville di piacere di quando quella era campagna ritempratrice, mi fermo a leggere i pannelli che raccontano gli albori della ferrovia.
E un’immagine, in bianco e nero, mi colpisce, questa:
Sapete cos’è? E’ un ponte ferroviario, e una volta tagliava in due quello che oggi è corso Buenos Aires, sì, proprio la via dello shopping milanese. E sopra c’era un “guerriero di latta” che faceva reclame. Ho sorriso, perchè di quel ponte io avevo appena appena scoperto l’esistenza leggendo un libro, di Aldo Nove, che è quello che vi racconto oggi: Milano non è Milano.
Corso Buenos Aires era già tutt’altro.
Al n. 1 del corso c’è palazzo Luraschi, una delle prime costruzioni in cemento armato italiane. Otto piani. Negli anni Dieci c’era un ristorante famoso, il Puntigam, che godeva di una stratosferica novità, l’energia elettrica. C’erano palazzi e alberi, ampi spazi e a metà del corso un ponte che lo tagliava in due, un simbolo del nuovo e della sua urgenza, sopra il quale passava il treno del viadotto che sarebbe stato distrutto negli anni Trenta per diventare l’attuale viale Tunisia.
Aveva qualcosa di surreale, quel ponte.
Di violentemente surreale,
Una strada spaccata in sue da un treno sopraelevato. Su quel ponte, per decenni, ha troneggiato un guerriero di latta con una caramella irrandiante luce dal petto, testimonial della “Catramina Bertelli, sicura contro tosse e influenza” (vai alla geolocalizzazione su Cityteller)
Ecco qui. Così Aldo Nove racconta il ponte che non c’è più, e un corso d’antan. In un libro che è un piccolo compendio meneghino, dalla centralissima Piazza Duomo alla periferia dei centri commerciali. Uno zibaldone, che vuole raccontare una città che si trasforma. E per farlo non lesina certo in ironia e tocco surreale.
Tanto che parte paragonando Milano ad un certo Axolotl, ovvero una divinità atzeca che si trasforma senza sosta. E certi capitoli fanno un volo panoramico sulla storia di Milano con fare sincopato e senza quasi prendere respiro. Altrove invece è didascalico quasi da sussidiario. E comunque regala chicche come il racconto della Fiera Campionaria del 1932 scritto da Carlo Emilio Gadda. O la visita, per nulla compiaciuta, di Mark Twain al Cenacolo di Leonardo da Vinci. In mezzo, tante “fotografie” di sacro e profano, dalla chiesa di San Bernardino alle Ossa alle discoteche, ai luoghi per gli innamorati a Milano.
E a proposito, io ho scelto cinque luoghi di Milano tra quelli raccontati da Aldo Nove. Uno lo avete già letto, vi regalo gli altri quattro, e come al solito li ritrovate anche sull’App di Cityteller. Buona esplorazione urbana!
Il Cimitero Monumentale di Milano è una hall of fame dei morti meneghini ed il suo simbolo è il Famedio, omaggio architettonico ai milanesi di cui la storia si ricorda. Va visitato preferibilmente verso mezzogiorno quando il sole è alto e sciabola dentro dai rosoni con un effetto davvero suggestivo, sulle pareti e il pavimento traslucido (vai alla geolocalizzazione su Cityteller)
Il proposito del celebre architetto che la progettò, Giò Ponti, era quello di riprendere la “maestosità” viscontea frammista alla dinamicità delle strutture moderne, messe ostentatamente in vista. Da un altro punto di vista, la Torre Velasca sembra un grattacielo in cima al quale è stato attaccato un pezzo di grattacielo più grande (vai alla geolocalizzazione su Cityteller)
L’idea di Corso Como 10 sarebbe quella di abbandonare l’aurea della metropoli occidentale per approssimarci invece a quella di un bazar orientale. Molto romantico. Romantico e freddo. L’Oriente della metropoli. Nel cuore di Milano. Ovviamente, però, i veri bazar, un po’, puzzano (vai alla geolocalizzazione su Cityteller)
Il suo nome, Palazzo Pirelli, è dovuto al fatto che venne progettato tra il 1955 ed il 1960 per sostituire gli uffici della società Pirelli, che stava in via Galvani. A dire il vero, è bello. Slanciato, imponente. Lo scrittore Bianciardi lo aveva definito “una fiaba in verticale (vai alla geolocalizzazione su Cityteller)