Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ho sempre avuto un certo fastidio per chi irride le idee di sinistra se sono professate da indossatori di cachemire, fortunati possessori di fastose dimore, eredi pensosi e penitenti di dinastie industriali o bancarie. Cosa dovremmo dire allora del populismo di chi intemeratamente deride bisogni e diritti, dell’equità di chi penalizza solo i giù puniti della lotteria naturale, della pietas di chi scarica dai redditi la pelosa carità? E che autorevolezza potrebbe avere l’invettiva contro i lavoratori mariuoli e parassitari di un industriale indagato per reati fiscali o per licenziosa applicazione dei criteri di sicurezza e ambientali?
È che chi fa professione di critica delle ideologie e di chi se ne sente rappresentato e se ne fa portatore, deve rassegnarsi a fare della politica un esercizio letterario. Può indagarne la caratteristiche come un entomologo classifica le specie di farfalle, ma la realtà gli si chiude intorno come uno spazio di fatalità e di incoerenza: non ci si meraviglia che il libro peggiore riceva il premio più ambito, che il filosofo più confuso sia circonfuso dell’aura della lucidità, che decine di oratori abbiano sproloquiato sul valore del silenzio e in tv già ora un sociologo lancia la sua invettiva contro il carattere degenerativo della televisione.
Si la coerenza universalmente vista come una cifra noiosa. E monotona e pedante come il lavoro fisso e le lezioni morali di certi governanti. O i pistolotti di certa stampa che ha contribuito alla involuzione della funzione critica offrendo una sponda indulgente e assolutoria a che aveva perso o rinunciato al suo punto di osservazione per disincanto, esclusione o repulsione.
Però quando il predicare è particolarmente pomposo sentenzioso e edificante mentre il razzolare è ostentatamente sfrontato, offensivo e inopportuno allora vale il principio che per impartire didattica dell’austerità, istruire con la pedagogia della sobrietà, educare alla disciplina del sacrificio e persuadere alla bellezza penitenziale della povertà francescana, beh per essere credibili è meglio essere San Francesco. Soprattutto se non si è proprio convinti ad esempio che il ruolo di prestati alla politica non sia temporaneo. E piace e ci si vuol restare e ci si trova belli comodi per ambizione, interesse più o meno conflittuale, prestigio o infantile compiacimento.
Per essere autorevoli non basta l’autorità e non vale l’autoritarismo.
Così è proprio stonato con i tempi attuali l’inventario di beni in terra e posti al sole della compagine governativa che con molta riluttanza è stata costretta alla rivelazione dei suoi possedimenti denunciati al fisco.
Nel solito segno della continuità siamo passati da milionario a milionari. Lo sbrasone, lavoro guadagno spendo pretendo, era quel che era, pacchiano, dissipato, rozzo, con quella grossolanità meneghina, prodigo di promesse e poi cialtrone tanto da far pagare a noi i regali alle sue puttane escort o parlamentari che fossero. E ville pretenziose e sgargianti improbabilmente arredate, un ghe pensi mi applicato anche agli eventi istituzionali, regalie da satrapo, case a Lampedusa e dentiere all’Aquila. La forma della sua illegalità, il suo prolungato golpe prendevano quelle fattezze perché il governo era roba sua in attesa che lo diventassero lo stato, le istituzioni, il parlamento, già a buon punto, il paese, noi compresi da teleutenti a schiavi.
Nel caso attuale si lavora per un ceto, un ceto alto e che vuole continuare a esserlo anche nelle propaggini familiari e nei secoli a venire: caste industriali, dinastie accademiche, grandi studi professionali e grandi company, multinazionali farmaceutiche e di taxi, affette da gigantismo perché nella globalizzazione grande è bello e più redditizio.
A persone così, alla loro congerie separata, noi non interessiamo, non siamo graditi, ce lo dimostrano in tutti i modi e ce lo ripetono, siamo pigri, indolenti, sfaccendati, ma pretenziosi, esigenti e maleducati. Non ci meritiamo quello che loro possiedono e hanno accumulato o ereditato, che vogliono tenersi ben stretto e che vogliono tutelare per i loro consanguinei e affini.
Eh sì i privilegi sono tali se sono di pochi e se confliggono con i diritti di molti, pazienza, si risparmia sui diritti. Anzi si sacrificano, tanto a rimetterci sono quei molti.
Loro, adusi alla severità, si intendono di più di risparmi che di sacrifici infatti: guadagnano tanto ma non si intravvedono larghezza, aspirazioni, passioni nelle loro abitudini e nei loro consumi. Investono nel mattoncino, nel garage, nell’ufficio, nei fabbricati, micragnosi e meschini, da poveri ricchi che non sanno godersi i loro beni. L’accumulazione è una malattia, che moltiplica l’avidità e l’egoismo. E che aggiunta al potere può uccidere. Purtroppo, noi.