Affermare che tutti gli uomini hanno pari dignità, nonostante le singole differenze, a prima vista sembra un’ovvietà, ma chi vive una condizione di minoranza, come il detenuto o lo straniero, spesso è costretto a sperimentare sulla propria pelle quanto questo principio sacrosanto non sempre venga rispettato nella realtà. Eppure la cultura occidentale riconosce l’uguaglianza degli uomini almeno a partire dalla Rivoluzione Francese, con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Con la caduta dell’ancien régime, infatti, nessun uomo può arrogarsi la pretesa di una superiorità innata di fronte ai suoi simili, a differenza di quanto accadeva con le monarchie assolute.
Il testo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino in più di due secoli di Storia ha ispirato molte Costituzioni e quello stesso principio di uguaglianza è ancora oggi riconoscibile nella Costituzione della Repubblica Italiana, in vigore dal 1948. La prima parte dell’articolo 3, infatti, recita così: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ovviamente lo stesso principio di uguaglianza è alla base della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani redatta dalle Nazioni Unite e firmata nel 1948.
Nonostante le importanti conquiste, almeno a livello teorico che si sono avute a partire dalla Rivoluzione Francese, i soprusi dell’uomo sull’uomo non sono mai terminati. La schiavitù, diventata illegale negli Stati Uniti dopo la guerra di Secessione nel XIX secolo, di fatto è rimasta viva e vegeta durante gli anni del Colonialismo e c’è da dubitare che oggi sia definitivamente morta. Infatti lo sfruttamento estremo dei lavoratori nei paesi del Terzo Mondo è una realtà dura a morire per chiari motivi economici e non è poi così distante dallo schiavismo. D’altra parte anche nelle strade della nostra civile Italia la schiavitù continua a perpetrarsi ogni giorno: si pensi a tutte le donne, spesso minorenni, che dall’Africa o dall’Est vengono portate con l’inganno nel nostro paese e costrette a prostituirsi con i metodi più brutali. Questa nuova schiavitù non dovrebbe essere tollerata in un’Europa che si professa democratica e rispettosa dei diritti umani.
Che negli ultimi secoli l’umanità abbia fatto passi in avanti sul terreno del rispetto della dignità degli uomini è innegabile, tuttavia è sotto gli occhi di tutti l’intolleranza nei confronti dei diversi. Il razzismo è una piaga che ha flagellato l’Europa nel Novecento producendo l’orrore dell’olocausto, eppure sembra che siamo incapaci di imparare dalla storia: giudicare le persone esclusivamente sulla base dell’appartenenza etnica o religiosa senza cercare neanche di conoscerle è un atteggiamento infantile e pericoloso, che rischia di trasformarsi da un momento all’altro in furia violenta. Non bisogna fare finta che le differenze non esistano, ma bisogna conoscerle, rispettarle e viverle il più possibile come una ricchezza. Quando la diversità dei comportamenti crea situazioni di conflittualità che non si possono risolvere con il dialogo, dobbiamo avere chiaro che la violenza è sempre la strada sbagliata da percorrere. Per consentire la convivenza civile tra persone molto diverse e per evitare il ricorso alla violenza l’umanità si è data un importante strumento: le leggi.
Eppure bisogna ammettere che nella storia anche queste spesso sono state utilizzate per opprimere i diversi, basti pensare alle leggi naziste o alle leggi raziali dell’Italia fascista, ma quando invece esse hanno come scopo la convivenza armonica tra le varie componenti di una società, come quelle della nostra Costituzione, devono essere una guida per le nostre condotte. senza il rispetto delle leggi non c’è convivenza civile e quindi non c’è rispetto delle dignità di tutti gli uomini.
Tuttavia osservare le leggi di uno Stato è una condizione necessaria ma non sufficiente per rispettare fino in fondo la dignità di tutti gli uomini al di là delle differenze. Infatti per giungere a ciò ci vuole una particolare disposizione d’animo: bisogna imparare a fare in modo che la paura del diverso non si traduca in un atteggiamento di chiusura e ostilità nei confronti degli altri, ma che venga riconosciuta come un limite che si deve cercare di superare attraverso il dialogo e la conoscenza. Si tratta di un’esperienza che tutti dovremmo fare nella vita quotidiana, perchè tutti siamo potenzialmente consapevoli e vittime di intolleranza. Quando un detenuto finisce di scontare la sua pena e deve rientrare nel mondo, sa che farà fatica a farsi accettare dalla società, che spesso verrà discriminato, tuttavia queste sono difficoltà che si possono superare mostrando con buona volontà di avere imparato dai propri errori.
Giuseppe Gremo e Carmelo LaRosa