“Giorgio? Giorgio mi sente? Forza, che il temporale di stanotte ha spazzato l’afa e il cielo è una tavolozza celeste!” lo incitò una voce maschile limpida come la giornata che immaginava splendesse fuori dalla terapia intensiva nella quale era ricoverato. “Sono passati in molti a chiedere di Lei e ora c’è un amico. Se ha voglia, la sollevo un po’ così lo saluta dal vetro.” Giorgio cercò di orientarsi con lo sguardo, impigliato com’era tra i numerosi fili che partivano dal suo petto e si collegavano alle apparecchiature necessarie a monitorare i suoi parametri vitali. I suoni che emettevano, ritmati e lenti, sembravano quelli di una playlist di soul music. Mise a fuoco più lontano e vide che Francesco, l’amico di sempre, gli faceva il segno della vittoria con le dita magre ed ossute, mostrandogli l’amuleto che portava sempre con sé. “Non può entrare?” chiese Giorgio sorridendo debolmente e cercando di rispondere al segno con la mano libera dalle cannule. “Solo parenti stretti” rispose la voce maschile “e comunque non sono ancora trascorse 24 ore dal trapianto. Non sia impaziente: avrà tutta la sua nuova vita per salutarlo.” “La mia nuova vita…” ripeté Giorgio “con un cuore nuovo. Sembra una favola… ma di chi è il cuore?” chiese una seconda volta prima di riaddormentarsi con la domanda sospesa, rimasta nuovamente senza risposta.
La riabilitazione fu veloce, tanto da stupire il chirurgo che l’aveva operato, e tutte le riserve vennero sciolte in pochissime settimane.
“Sembra nato con questo cuore!” esclamò lo specialista di emodinamica dopo l’ultimo esame, “Il flusso sanguigno è perfetto, i suoi vasi come rinati, le prestazioni da atleta ed i farmaci antirigetto quasi inutili. Le confesso tutto il mio stupore.” concluse guardandolo fisso negli occhi ed appoggiandosi allo schienale dell’avvolgente e comoda poltrona nello studio ipermoderno posizionato a strapiombo sulla baia. “Evidentemente, dr Novak, si tratta del cuore della mia mezza mela.” rispose Giorgio. “Quando Zeus scagliò il suo fulmine per dividermi dall’anima gemella nessuno avrebbe mai pensato che ci saremo riuniti in questo modo!” continuò sorridendo e cercando di dare una spiegazione logica ai dubbi del chirurgo con l’amore per la mitologia che lo aveva accompagnato durante i suoi lunghi anni di solitudine e ricerca. “Ma questo è un reparto di cardiochirurgia non il Simposio.” gli fece eco il professionista, cercando anch’egli nell’irrazionale quanto la scienza non riusciva a spiegare.Giorgio riprese la vita di sempre, tanto da tirar fuori dal
garage la vecchia Suzuki dal serbatoio color panna che la malattia gli aveva
fatto mettere da parte e che stava usando come mezzo di trasporto, complice un
autunno mite. Mentre si allontanava dalla clinica per le dimissioni definitive,
percorrendo la strada panoramica che lambiva il polo ospedaliero, iniziò a
montare in lui l’ansia della domanda senza risposta. Chissà se prima o poi
sarebbe stata soddisfatta la sua curiosità circa il donatore e, pur
comprendendo i protocolli di riservatezza, un’inquietudine non risolta
continuava a lambire le sue giornate, come le ombre lunghe che il mese di
novembre stava portando con sé.
Raggiunse il centro e la vecchia e polverosa libreria
dov’era solito trascorrere i pomeriggi di ozio che ogni tanto si regalava,
certo che non avrebbe trovato nessuno. Tanti anni vissuti da solo gli avevano
fatto amare la solitudine, quasi coltivandola, rendendo le sue rare amicizie
sempre più esclusive. Troppe volte aveva aperto il cuore a chi gli aveva
chiesto aiuto e troppe volte ne era rimasto ferito. “Non accadrà più”, si disse,
“con il cuore nuovo starò più attento. Visto che sembra una favola, esigerò un
lieto fine.” si promise.
“Buongiorno Giorgio, cosa posso proporti oggi?”.
Una volta giunto a casa Giorgio fu distratto dalla lettura della posta, dalla vicina di casa con il vizio del fumo e con il gatto in perenne fuga e dal telefono che non smetteva di squillare, dimenticando il pacchettino misterioso. Francesco lo raggiunse mentre il sole stava calando, avvolgendo di un rosso intenso le finestre e gli interni del suo salotto bianco e grigio. Sembrava che il sole si specchiasse sulla superficie di un mare placido, una piscina, da tanto riverbero mandavano i raggi. “E’ un compleanno importante, Giorgio” puntualizzò l’amico mentre osservava i riflessi del vino prezioso che gli era stato appena versato “42 è un multiplo di 7 e per la Cabala significa che stai affrontando grandi cambiamenti.” La riflessione fu subito interrotta dal vociare che proveniva dalle scale: gli amici gli avevano organizzato una serata a sorpresa, pretendendo la sua presenza e attenzione. Fu quasi l’alba quasi rientrò a casa e solo allora si ricordò del pacchettino rimasto nello zaino. Sembrava ancora più pesante e più caldo di quando lo toccò per la prima volta. Il rosso si era fatto più intenso e l’oro brillava maestoso.
Sfiorò il disegno di una goccia con il polpastrello della mano sinistra, ricevendone in cambio un brivido, come una carezza discreta. Scartò il pacchettino cercando di non sciupare la carta, che si aprì come una vestaglia di seta, un origami prezioso, svelando un libro “Il gusto della vita insieme. Elogio della coppia” di Claude Habib. Non conosceva l’autrice ma mentre leggeva la sinossi, che anticipava un saggio “sui piaceri delle relazioni che durano nel tempo e sulla promessa di felicità nella quale almeno una volta nella vita possiamo credere tutti”, si ricordò quando Agnese, mentre gli raccontava dei suoi viaggi in Persia, gli aveva svelato che in arabo habibi vuol dire “amore mio”, uno dei sessanta modi che la cultura della mezzaluna fertile ha per definire la bellezza di questo sentimento. Allora non aveva colto quanto in realtà la donna voleva dirgli e mentre sfogliava il libro si accorse di un foglio leggero, piegato in modo tale da ricordargli un fiore, che segnava pag. 120, dove l’attenzione fu colta dalla frase “E io t’aspetto, ricordati.” Aprì delicatamente l’origami e già dopo le prime righe calde lacrime di comprensione gli solcarono il viso mentre leggeva del dono di Agnese, del cui infinito amore non si era mai reso conto, come neppure del suo, soffocato dalla diffidenza e dalla paura di una nuova sofferenza.La lettera si concludeva con un commiato che non era un addio ma un arrivederci.
"Dolce Amore mio, dolcissimo Amore mio, la vita talvolta è strana e ti fa incontrare persone senza le quali capisci di non poter vivere ma con le quali, allo stesso tempo, per ragioni oscure, ti impedisce di condividere la tua esistenza.
Se non posso vivere con te, voglio farlo in te. Ti sembrerà strano ma i tuoi sorrisi ombrosi, i silenzi loquaci, il pudore che ti ha a lungo impedito di parlare della tua malattia mi hanno fatto capire che tu eri la mia mezza mela. Sapere del tuo cuore malato è stato come ritrovarmi in mare aperto senza sestante, una barca in balia della furia del vento, senza la speranza di un porto sicuro dove trovare riparo. Naufraga, senza il sostegno della guida di una notte stellata. Ho scelto di interrompere il mio cammino e fare in modo che il mio respiro terminasse laddove sarebbe iniziato il tuo.
Finché mi terrai in te, il nostro cuore non sarà più un cuore infranto.
Per sempre tua, Agnese.”
Per l'Mtc e la e-saltata di questa settimana non poteva mancare il consueto racconto, ispirato alla stagione che stiamo vivendo, l'estate, secondo me la stagione più malinconica dell'intero ciclo annuale e da un libro, quello citato, ricevuto in dono qualche giorno fa da una serissima e preparatissima giornalista di economia, dopo che le avevo raccontato come con la fibra ottenuta all'estrattore era possibile preparare deliziosi piatti ricicloni e vegani. E dal fatto che mi è stata chiesta una donazione straordinaria di una sacca del mio sangue, Gruppo A Rh negativo.
La ricetta, anch'essa ispirata all'estate, è invece buona, pulita e giusta, ricca com'è di fibre, grazie alla farina di ceci, e di licopene, così che Giorgio potrà continuare la sua riabilitazione senza soffrire più.
Millefoglie
di crepes con feta al timo, datterini confit e granella di pistacchio
Ingredienti (per 4 persone)
100 gr farina di ceci
una noce di burro chiarificato
2 uovo bio
300 gr di feta
un cucchiaio di foglie di timo fresche
500 gr di datterini confit
2 cucchiai di pistacchi freschi
zucchero di canna integrale (meglio Fairtrade)
pepe nero di Sarawak
olio evo
sale iodato
Preparazione Lavare i datterini, disporli sopra una placca da forno protetta da un foglio di carta forno, unire una presa di sale, una presa di zucchero di canna, 2 cucchiai rasi di olio evo ed un po’ di pepe macinato al momento. Cucinare nel forno statico già caldo a 160’ per circa 1h30’ oppure a 200° per 40'. In una ciotola porre la farina setacciata, unire le uova appena sbattute, unendo a filo il latte. Regolare con un sospetto di sale la pastella così ottenuta e lasciarla riposare un’ora in frigo, coperta da pellicola. In un’altra ciotola sbriciolare con le dita la feta e profumarla con il timo fresco e un cucchiaio di olio evo. Usando una padella antiaderente di 16 cm di diametro cucinare per 2' minuti per lato delle crèpes appena un po' spesse e lasciarle raffreddare.
Con un coppapasta di 5 /6 cm di diametro ottenere almeno 4 piccole sfoglie di crèpes per ogni singola frittatina. Frullare, tenendone da parte 1/3, i datterini confit e filtrare la passata al colino cinese, ottenendo una crema morbida e profumata. Preparare il piatto nel modo seguente: una sfoglia, un po’ di passata, un po’ di feta sbriciolata e così fino alla fine degli ingredienti.Decorare con i confit messi da parte e con un po’ di granella di pistacchio, ottenuta tritando i semi al un coltello.