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Milo De Angelis - Quell'andarsene nel buio dei cortili

Da Mauro54

  Milo De Angelis - Quell'andarsene nel buio dei cortili MILO DE ANGELISQUELL’ANDARSENE NEL BUIO DEI CORTILI – MONDADORI 2010
La poesia di Milo De Angelis ci consegna una parola poetica che è evento, frammento di fatum, capace di rivelare la dimensione alta e tragica dell’esistenza, di cui è la testimonianza. Essa ingloba e al tempo stesso trascende il qui e ora. Ogni particolare, ogni dettaglio del reale è se stesso e contemporaneamente altro, la parte di un tutto/nulla inconoscibile ed oscuro (“nessuno sapeva se la vita era immensa/oppure niente”), oppure qualcosa che appare “negli intervalli di una sola e grande morte” e che ci tiene in una precaria sospensione esistenziale (“a volte, sull’orlo della notte, si rimane sospesi/e non si muore”).
In Milo De Angelis c’è lo sguardo e c’è la visione. L’oscurità dell’infinito si riflette nel finito, nei suoi millimetri. E ogni millimetro è un mondo spezzato, ogni millimetro è quella parola che l’annuncia e insieme lo annienta. Destino che si dà nella scrittura, dunque, che riporta e che strappa, che ferisce e allontana. Destino che è questa scrittura, in cui la parola eccede la cosa ed il suo significato: è chiamata, nell’alfabeto del momento(come si intitola la prima sezione del libro), ma è anche creatrice, sempre, ed entra in noi, entra nel tempo, in un ritornoche chiede ogni volta la pronuncia, la voce, in una ricerca incessante di sé.
Quell’andarsene nel buio dei cortili è anche (e forse soprattutto) una riflessione sulla temporalità, la consapevolezza che passato e presente si toccano e noi siamo gli strappi, gli attimi di ciò che è stato una volta per sempre (“noi a strappi, noi/appoggiati a un pioppo/siamo il sangue/di un attimo, siamo/le prime corse nell’ombra, siamo/rimasti”). L’annuncio è avvenuto, c’è stato (“Ogni frase/diventa linea perduta, annuncio di una volta”) e si manifesta qui nella forma di un continuo inoltrarsi nel buio, un senso di addio ineluttabile, un “andarsene” (“ognuno è solo il suo andarsene”), che è anche, paradossalmente, un trattenere ciò che è stato unico e irripetibile. Ciò che è accaduto ritorna e accompagna nel congedo.  Il tema dell’addio (titolo della precedente raccolta di De Angelis) si unisce così a quello del buio, che progressivamente si diffonde ed occupa ciò che una volta è apparso nella luce ed ha segnato un destino: “Io ero lì, ero/nel cortile che fu tutto”. Nell’inizio è già da sempre segnata la fine e la fine è come un ritorno, è questo procedere nella “notte umana”, nel mandato della scrittura, “certo come il nostro smarrimento”, in una circolarità enigmatica, nella quale passato e futuro divengono tutt’uno nel presente, nel compito dell’attimo che ci chiama. Sono i momenti agonali della poesia di De Angelis (“la bella epopea, il peso mortale di un pallone”, “l’oscura melodia di ogni adolescente”, “L’altro, nella luce/artificiale del campo Pirelli,/salta uno e novantuno/e poi scompare”, “gli occhi della tuffatrice con la testa spaccata”, “Il nostro pensiero cercava la carne/nel guizzo del pallone e nell’estasi del prato”, “fu una sapienza/di tiri e passaggi/dove la linea fiorisce/nell’atto di una squadra”), nei quali l’assoluto sembra manifestarsi in una sorta di lotta epica, che è al tempo stesso lacerazione e affermazione di sé, contatto con una realtà dominante tragica e dionisiaca. Ripetizione ontologica, potremmo dire. Ogni cortile è un destino. Ogni destino è una parola pronunciata. E lo scenario è quello urbano, di una Milano periferica, colta nella sua nudità segreta, nello “spavento delle strade”, nelle “sillabe mescolate all’asfalto”, nelle tangenziali, nei portoni, nelle case popolari, nei citofoni, in immagini e dettagli che sono impatti frontali, cifre di un’epifania misteriosa che chiama nel suo enigma inquietante, a cui il poeta non può non rispondere.
Come ha scritto Sebastiano Aglieco su “La Mosca” (n. 23), “la parola compito, quel gesto feroce e necessario” riassume proprio l’avventura poetica di Milo De Angelis: il mandato dell’ascolto delle voci nel tentativo di riconoscerne la verità segreta, nella consapevolezza ogni volta del ricominciamento perché la forza stessa del segreto è la sua inaccessibilità.
Mauro Germani
da  Alfabeto del momento
*
A volte, sull’orlo della notte, si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
a lungo, nel giorno mai compiuto, si vede
la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con una precisione vicina alla dolcezza. Così
si trascorre dal primo sangue fino a qui,
fino agli attimi che tornano a capire e restano
imperfetti e interrogati.
*
Mi attendono nascosti. Talvolta
li ho portati alla vita, al grande
alfabeto del momento. Ma loro tornano lì,
muti, si stringono a un palo,
non ne vogliono sapere. E il mondo
sembra un’eco della frase
che non trovano più, caduti nel buio
di un gesto qualunque, un sabato,
in un centro commerciale.
Parlo di eroi, naturalmente, corpi
che sul quaderno avevano una spina.
*
E’ qui, in un angolo della stanza, scocca
la sua freccia negli anni, nei nostri anni,
e vacilla. L’ho conosciuta. E’ una furia
che scende verso l’oscuro e dilaga
tra i muri passeggeri e sgretolati
dove ognuno è solo il suo andarsene,
il piede franato sulla riva, lo stormo delle frasi
che cadono cieche da una volta.
da Finale d’assedio

E’ tardi
nettamente. La vita, con il suo
perno smarrito, galleggia incerta
per le strade e pensa
a tutto l’amore promesso.
Cosa attende da me? Dove batte
il cuore dei perduti? E’ questa
la meta misteriosa
di ciò che vive?
La casa si allontana
Dai soggiorni, tutto
è consegnato all’evidenza
della fine, tutto è sfuggito …
… ma la sillaba
che stringeva la gola
è questa.
*
E’ così. La memoria
di un uomo era solamente questa
manciata di sillabe. Solo loro
ritornano dalle cantine
abitate per niente
e sono puntuali, sono
scagliate oltre le rocce, bisbigliano
parole esterrefatte, sono un battere
di ali protese e fedeli
a un ordine oscuro. Adesso tu
devi tradurre.


da Sei perduto

*
Tu dov’eri? Ti aspettavo
in uno stupore giovanile.
Il canto inseguiva la tua gola,
il tuo assoluto andirivieni.
Un sasso precipita
su tutti gli dei del sorriso, su tutti i versi
che uno chiama nulla
se scompari.
Dov’eri? Io ero lì, ero
nel cortile che fu tutto. Ero lì, inchiodato
a un esistere sparito.
Vanno
le fughe dei ragazzi verso un luogo
bianco e feroce.
da Canzoncine
19 marzo
Tra oscure severità
è apparsa lei, la giocatrice
delle due finte, e ogni vita
fu illuminata
alle soglie dei cipressi
si squarciò la notte minerale
si colmarono i prestiti della mente
e questo paesaggio
con le sue innocenze sibilline
con i suoi vuoti d’aria e di cuore
entra nell’intero musicale
si rigenera morendo
allora fu eroica l’estate
delle nostre battaglie, fu una sapienza
di tiri e passaggi
dove la linea fiorisce
nell’atto di una squadra, nel giro
dell’aquila, nelle assemblee del vento
noi a strappi, noi
appoggiati a un pioppo
siamo il sangue
di un attimo, siamo
le prime corse nell’ombra, siamo
rimasti.

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