Mimmo Calopresti e Giovanni Berardi
“…Dovevo girare un film, invece ho scritto un libro…”. Così esordisce il regista Mimmo Calopresti, fresco autore di un libro, Io e l’Avvocato. Storia dei nostri padri (edizioni Mondadori, marzo 2013), alla domanda precisa su questa improvvisa e sorprendente inversione di tendenza legata alla sua professione. Dice Mimmo Calopresti: “Ho scritto il libro perché, in fondo, ho narrato una storia piuttosto personale ed intima. Non ho voluto in questo preciso momento della mia esistenza condividere la cosa con nessuno, se non con chi adesso la ascolta mentre la legge, tenendola sicuramente stretta ed affogata tra le sue mani. Un giorno diventerà probabilmente un film, e forse in questo senso sarà anche un altra storia, una realtà che già avverto diversa, filtrata cioè attraverso la sensibilità degli attori chiamati a metterla in scena, attraverso la fotografia, attraverso la realtà del montaggio, attraverso i limiti inevitabili della produzione. Quando scrivi invece scrivi in assoluta e religiosa solitudine, quindi resti contenuto e sorretto da una estrema libertà. Nessuno nel processo creativo della scrittura ha interesse o potere a manipolare la tua idea come invece può succedere con un film. Infine ho scoperto che è sorprendentemente bello scrivere, e non costa niente”.
La storia della sua famiglia, è un po’ questa quello che racconta il suo libro, Mimmo Calopresti non si è mai privato di raccontarla in più di una occasione, evidentemente sin dall’inizio sapeva o percepiva che lì avrebbe trovato la fonte necessaria per la sua espressione artistica. In molte interviste spesso le sue risposte lì andavano, e sempre a ragione in ogni caso, a parare. C’erano tutte le ragioni possibili per questo, tutte le speranze di una carriera artistica e sociale racchiusa nella sua esistenza di un bambino calabrese immigrato a Torino negli anni cinquanta con la famiglia d’origine. Da quegli occhi fantastici di bambino, sempre posati sul vivere, si è consolidata in fondo la sua poetica ed il suo cinema, ed ora anche il suo libro. Tra le sue pagine c’è dunque, in prima linea, la grande fabbrica, la Fiat, c’è la famiglia Calopresti, e c’è l’avvocato Gianni Agnelli, all’inizio riconosciuto da Mimmo bambino solo sulle tribune d’onore dello stadio Comunale di Torino negli anni sessanta a tifare Juventus e c’è appunto Mimmo Calopresti bambino, ma dagli spalti popolari a tifare Torino, e poi ci sono, nette, le urgenze delle grandi lotte per l’affermazione e la dignità operaia.
Dice Mimmo Calopresti: “La mia famiglia, verso la fine degli anni cinquanta era a caccia di un po’ di benessere. E a Torino insisteva una grande industria italiana avviata verso un deciso sviluppo, la Fabbrica Italiana Automobili Torino, comunemente chiamata Fiat. Dietro questa industria c’era una grande famiglia, quella degli Agnelli, i proprietari. Quindi il mio è un romanzo che si snoda un po’ tra il vero ed il falso, perché c’è l’immaginazione di un benessere, anzi di una solenne prosperità che insiste in casa Agnelli da una parte e c’è, invece, dall’altra la voglia di conquistare un po’ di questo benessere che mio padre voleva donare finalmente anche alla sua famiglia”.
Mimmo Calopresti è un artista che ha sempre amato diversificare le discipline, oltre alla scrittura che è decisamente figlia del nostro tempo, nel 2003 ha addirittura calcato le scene come attore teatrale con una versione de Il Ciclope di Euripide, riletto in quella occasione dallo scrittore Enzo Siciliano. Differenza tra cinema a teatro? Dice Calopresti: “Il cinema è qualcosa di eccessivamente stabilito, predisposto, deciso. Il teatro si fa assolutamente con gli attori”. Calopresti ci insegna, lo ha sempre fatto attraverso il suo cinema, attraverso il suo senso dello spettacolo, ora lo fa anche attraverso la sua narrativa, a vivere come una autentica esigenza quella di raccontare, appunto, i grandi disagi e le grandi lotte degli umili per l’affermazione della propria dignità. Il film che adesso Mimmo Calopresti sta preparando sarà certamente un altra tappa di questa dinamica e di questo processo creativo. Dice Mimmo Calopresti: “Parlerò nuovamente di un conflitto, certamente quello ancora piuttosto acceso tra nord e sud, in cui si doppierà un ennesimo conflitto, sempre eterno, quello tra un padre ed un figlio”. Temi assolutamente giusti, urgenti, di grande impatto sociale ed emotivi; certamente è un ritorno ai temi centrali del suo terzo film, Preferisco il rumore del mare (2000), bellissimo titolo scelto anche per lodare la bella, affascinante poesia dell’amato poeta Dino Campana. Mimmo Calopresti è un regista che ci ha regalato un cinema di finzione essenziale ed iper-umanista, decisamente netto e sobrio, con titoli, ad esempio, come: La seconda volta, 1995, La parola amore esiste, 1998, La felicità non costa niente, 2003, L’Abbuffata, 2007. Ma non è stato solo questo Mimmo Calopresti, perché poi attraverso i suoi documentari (Calopresti è assolutamente estremo nella grammatica dei suoi documentari, vedere in questo senso almeno due produzioni superlative, Volevo solo vivere, 2005 e La fabbrica dei tedeschi, 2008, quest’ultima una produzione tra l’altro di Steven Spielberg) ci ha condotto con mano ferma attraverso le traversie inestricabili ed i disastri concreti del paese. Dice Calopresti: “Prima di girare il documentario Volevo solo vivere ero convinto di sapere tutto sui lager. Non era assolutamente vero. E non ero assolutamente preparato a tutto ciò che ho poi sentito realizzando il film”. Un altro film che sicuramente rappresenta in toto l’animo e la sensibilità di Mimmo Calopresti è La fabbrica dei tedeschi, il documentario che narra la tragedia infame della Tyssen Krupp.
La seconda volta
Dice Calopresti: “Era necessario che uno come me se ne occupasse. Io ci sono cresciuto in quelle fabbriche”. In questo senso, in una sorta di un nuovo e deciso neorealismo anche letterario (sperando in una ripetizione assoluta dei fasti del passato), Mimmo Calopresti oggi dice di amare molto un libro come Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, un romanzo che resta soprattutto la storia sofferta e sanguigna delle umili famiglie italiane, quelle chiamate dal regime al lavoro duro, quel lavoro che nel tempo porterà, proprio con il sangue versato dai coloni, alla redenzione dell’agro pontino. Calopresti ricorda che, in definitiva, solo con la lettura profonda di questo libro ha capito veramente cosa era stato il fascismo in Italia, e proprio nel faticoso, sanguinoso periodo della bonifica pontina. Comprendiamo come i suoi film migliori sono stati sempre esempi decisi e profondi di una riflessione civile, sociale e politica, una pellicola su tutte in questo senso rimane il primissimo La seconda volta, prodotto e interpretato da Nanni Moretti, un film che rimane semplicemente bellissimo, dove il difficile tema del terrorismo delle Brigate Rosse era affrontato con l’imbarazzo sincero dell’intellighenzia di sinistra, quella decisamente più ideologizzata, a cui appartiene assolutamente, ancora oggi pensiamo, proprio la “volontà politica” di Mimmo Calopresti. La seconda volta rimane un tentativo, molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, di elaborare certamente un recente passato, visto, pensiamo e non a caso, da Torino, la città di adozione (in definitiva tanto amata e forse anche tanto mitizzata) del regista. Un tentativo, anche, mischiato forse inconsciamente ad una percezione solenne di capire, talora, proprio l’esigenza di tanta violenza esercitata dal terrorismo degli anni settanta. I film sul terrorismo sono sicuramente di difficile gestazione poetica per ogni autore, poi restano anche decisamente rischiosi perché, come ci ha raccontato anche Mimmo Calopresti: “La condizione necessaria ed essenziale per raccontare una qualunque tematica sofferta, anche la più innocua o la più feroce, resta quella di innamorarsi decisamente del soggetto di indagine”. Poi Calopresti rincalza: “E comunque devo dirlo, La seconda volta non è stato proprio un film sul terrorismo, non avevo proprio le forze per raccontare quella situazione specifica, è stato piuttosto un film che metteva a confronto due ragioni, quella di chi ha fatto la scelta della lotta armata e quella di chi l’ha combattuta”. E visti in questa ottica di storica riflessione pensiamo proprio che Colpire al cuore di Gianni Amelio, Buongiorno notte di Marco Bellocchio e La seconda volta di Mimmo Calopresti restano, in questo senso, gli autentici capisaldi della poetica che guarda ai temi difficili ed anche improbabili del terrorismo politico italiano.
Dice Calopresti: “E pensare che, quando la sceneggiatura de La seconda volta cominciava a girare per i tavoli dei produttori è stata proprio la Sacher Film a cercarmi, cioè Nanni Moretti e Angelo Barbagallo. Anzi fu proprio Barbagallo, socio di Moretti, a chiamarmi perché voleva leggere la sceneggiatura. Poi, una conseguenza di questo, la scelta di Nanni Moretti come protagonista del film, che non è un vero attore, è stata una scelta veramente indovinata. In mente non avevo certo Moretti come interprete del film ma bensì Michele Placido o Carlo Cecchi”. E Nanni Moretti produttore? Fu davvero democratico? Dice Calopresti: “Il fiato sul collo da parte sua certamente l’ho avuto, devo dire però che, nonostante questo, mi ha lasciato molta libertà, la libertà comunque di sbagliare e di allungare per questo il piano di lavorazione per ripetere alcune scene. E per una produzione non è certamente una cosa da poco”.
Ora, tra i progetti cinematografici di Calopresti rimasti in sospeso c’è sempre la voglia di narrare ancora una volta la vita frenetica di Pier Paolo Pasolini a Sabaudia (proprio nella casa costruita tra le dune dove c’era un dirimpettaio scomodo come Alberto Moravia – così amava dire, con i toni dello scherzo, lo scrittore – e la scrittrice Dacia Maraini) e con la voce narrante proprio dell’amato scrittore Antonio Pennacchi. Alla domanda precisa sulle probabilità di riuscita del progetto pasoliniano Mimmo Calopresti sembra rispondere solo annuendo, anzi alzando gli occhi, proprio rivolti al cielo, che nel giorno dell’intervista, ricolmo di stelle, pareva davvero infinito, lontano. Capiamo che, per ora, questo su Pasolini rimane un progetto sicuramente lontano. Calopresti non è nuovo certamente nell’affrontare l’ottica poetica di Pier Paolo Pasolini. Già nel 2008 se in Italia c’è stata una opportunità di vedere Romanzo sull’immondezza girato da Pier Paolo Pasolini durante lo sciopero, storico e memorabile, dei netturbini il 24 aprile 1970 ed inserito da Calopresti nel suo documentario Come si fa a non amare Pier Paolo Pasolini, il merito e tutto di questo geniale cineasta. Mimmo Calopresti ha proprio recuperato con le sue mani il filmato pasoliniano quando ha assunto la carica di presidente dell’Archivio del Movimento Operaio di Torino, dove il filmato era appunto depositato per proseguire nella fine ignobile a cui era stato destinato dalla precedente gestione, l’oblio e l’invisibilità. Mimmo Calopresti invece l’ha fatto sviluppare, ne ha curato personalmente il montaggio stilistico, poi lo ha trasferito su un supporto digitale, gli ha dato un titolo, forte, e ne ha curato la distribuzione nei circuiti cinematografici adatti. Una lode assoluta per il curriculum artistico di Mimmo Calopresti.
Giovanni Berardi