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#Mind the gap: cronache di una palermitana a Londra

Da Abattoir

venerdì 3 maggio 2013 d

- Nightmare before spring -

Mind_
Riprendo a scrivere dopo mesi. Quel “Mind the gap” intriso di jouex de vivre è diventato buio e angosciante: “Mind the life” sarebbe più appropriato, “attento alla vita”, che non si sa mai.

Un mese fa lasciavo il lavoro che mi aveva permesso di vivere a Londra, dove vivo tuttora, e (in realtà ancora prima) cominciava la mia personale discesa negli inferi: mai decisione fu più dura. Lascio tutto, forte del mio malato ottimismo di riuscire a farcela. Voglio, devo farcela, mi ripetevo come un mantra. Ma come faccio? Ho pochi soldi e nessun posto dove andare. Londra, minacciosa come non mai, ha la caratteristica di avere gli affitti più alti del sistema solare, ragion per cui non potevo manco affittare una topaia senza vendermi un rene. Vengo ospitata da una pseudo amica, anzi, persona-affetta-da-chiari-disturbi-della-personalità, che mi fa passare tre giorni di inferno e mi butta fuori casa senza tanti complimenti. Per fortuna, trovo persone straordinarie che mi accolgono con piacere e che mi fanno sentire meno sola. 

Comincia allora la girandola della ricerca di un posto di lavoro. Preparare il curriculum, stamparlo, portarlo in giro, umiliarsi quando ti guardano con sdegno o quando vedi mille italiani come te con i curricula in mano e sentirti uno schifo. Mi chiedo chi me lo fa fare. Mi dico: ma che? Ora neanche a Londra si trova più lavoro? O forse sono io che non vado. Qualcosa in me urla “loser”, perdente, ecco perché.

Trovo finalmente lavoro (o così credevo) come nanny, pagato di merda, ma questi sono italiani, e si capisce. Gli italiani all’estero diventano persone abiette, pronte a fottere il prossimo, soprattutto se connazionale. Dopo una settimana di levatacce mattutine per raggiungere il posto di lavoro, mi viene detto che era solo una prova (e dirmelo prima no??), e che avevano bisogno di provare altre ragazze. Cioè, questi qui offrono uno stipendio da fame, per 40 ore alla settimana, e si concedono anche il lusso di “fare le prove”. Assurdo.

Ripiombo nell’incubo e nell’angoscia. Mi ri-rimbocco le maniche, ma i soldi scarseggiano e a casa sono tutti preoccupati. Ma io non mollo, ostinatamente, caparbiamente, non mollo. Londra e le sue grandi opportunità sono tutto quello che ho al momento. Mi aggrappo a questo pensiero e mi ci cullo, sapendo che lì fuori c’è posto anche per me. Un pensiero che mi fa dormire serena, finalmente. Ma non è tutto negativo, tra un’angoscia e l’altra, trovo il tempo di godere di fortuite giornate di sole, di spogliarmi dal cappotto, sciarpa e cappello e sguazzare a piedi nudi nelle fontanelle di Kingston upon Thames, insieme ai bambini, come una bambina. Godo nel gustare ice cream giganti mangiati su panchine invase dai piccioni. Alzo lo sguardo, come sempre, e mi ritrovo avvolta in questa bellezza senza tempo, che mi trascina e coinvolge e lì ritrovo il senso perduto, lì le mie angosce si dissolvono. Guardo il Big Ben, il London Eye, passeggio sulla promenade che costeggia il Tamigi e mi sento bene, libera.

Poi arriva una chiamata e tutto cambia, di nuovo. Ritrovo il sorriso, di nuovo. Il perché ve lo svelo in seguito.

 


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