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È una mattina come tante, c’è un vento gelido che neanche il tiepido sole riesce a mitigare.
Io passeggio tranquilla lungo il Battersea Bridge, del tutto ignara di ciò in cui da lì a breve mi sarei imbattuta.
Devo ammettere di essere abbastanza orba e non portando gli occhiali questo piccolo difettuccio viene fuori in tutta la sua prepotenza, ma quella scritta no, non passa inosservata. I miei occhi cecati mettono a fuoco subito, come se un padre Pio qualsiasi mi avesse fatto un miracolo momentaneo: BUNGA BUNGA…
Strizzo gli occhi, no, mi dico… deve esserci un errore.
Frenetica afferro il cellulare nuovo di pacca, posiziono l’obiettivo verso la scritta incriminata: click!
Guardo. Un conato di vomito su per la gola…
Cazzo, c’è davvero un ristorante italiano che si chiama Bunga Bunga??? Ma scherziamo?
Credo di aver imprecato da sola come una pazza, scuotendo la testa di tanto in tanto.
Ho pensato al mio Paese, a quelle parole di Dante “Ahi serva Italia…”, così profetiche, ho pensato e ripensato, ma la conclusione a cui sono giunta è che non c’è nessuna conclusione.
Chiudo gli occhi e vado indietro nel tempo: mi siedo per terra con Foscolo, all’ombra di quell’albero dove Nelson è seppellito, seguo Parini e con lui sveglio il padrone dal lungo sonno, gli sprimaccio i cuscini e gli do da bere cioccolata calda, poi scendo nel lazzaretto con Manzoni, con la mano mi copro la bocca, m’infilo dentro la giara e mi ci chiudo dentro, perdo un carico di lupini e faccio naufragio, mi siedo sul davanzale e guardo un ermo solitario.
Riapro gli occhi, sono a Londra e la mestizia di vedere la mia adorata patria mero oggetto di scherno da mezzo mondo, invece di suscitarmi un moto di indignazione, mi fa vergognare.
Sarà il caso di dire che sono spagnola la prossima volta?