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MINERAL – Parigi, Glazart 05/02/2015

Creato il 11 febbraio 2015 da Iyezine @iyezine

I Mineral sono morti. viva i Mineral. I Mineral sono vivi. evviva i Mineral

I Mineral sono stati una delle migliori bands underground degli ultimi 20 anni. Come tali dovrebbero essere riconosciuti. Malgrado siano stati una delle più indecifrabili, incompiute, misteriose ed effimere esperienze musicali degli anni ’90, hanno tracciato un solco e innescato un vento musicale che ha influenzato e sospinto suoni, melodie e rumori lontano nello spazio e nel tempo, molto più lontano del natale Texas.

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Io sono un maledetto nostalgico.
Si, perché c’era un tempo in cui era ok avere pantaloni larghi e t-shirt con il logo di una band sconosciuta. C’era un tempo in cui una generazione di ragazzi e musicisti, proveniente dall’hardcore, passata per una rapida cotta adolescenziale verso il grunge e con i posters in cameretta di gente come gli Snapcase e i Fugazi, aveva deciso che non era poi così male aggiungere melodie e testi che parlavano d’amore sfortunati a delle musiche “punk”.
C’era un tempo in cui questa stessa generazione aveva pure deciso che ci si poteva ritrovare, con le braccia piene di lividi dal pogo dell’ultimo concerto, tra amici davanti a una birra e parlare all’infinito di queste storie d’amore intense, simboliche e finite male. Aveva pure osato darsi un nome, questa nicchia post-adolescenziale e snob come ogni movimento giovanile che si rispetti: si chiamava emo, e il loro suono Emo-core. Si, perché c’era un tempo in cui Emo non era ancora una parolaccia musicale che rimanda a facce truccate con nero slavato, gruppi mainstream e adolescenti depresse.
C’era un tempo in cui esistevano ancora parole per descrivere la musica dei Mineral.
C’era un tempo in cui “End Serenanding” fu il regalo di San Valentino per la mia ragazza di allora (storia ovviamente finita malissimo).
C’era un tempo in cui era accettabile che le chitarre suonassero più forte della voce. Perché, in fondo, chi mai ha capito per intero le parole di una canzone hardcore.
C’era un tempo in cui c’erano due chitarre per band e dialogavano fitte tra loro. E c’erano degli arpeggi che ti cullavano. E poi, all’improvviso, un muro di distorsione da far drizzare i capelli (eh si, c’erano pure più capelli).
C’era un tempo in cui si suonavano accordi minori e distorti.
C’era un tempo in cui le canzoni alternavano piano e forte, e se il piano poteva essere a momenti sorprendentemente piano, il forte era sempre maledettamente forte.
E poi c’era ieri sera. E c’erano i Mineral. E c’era di nuovo tutto quanto.

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Band texana all’attivo soltanto per 4 anni (1994-1998) e due dischi (di cui il secondo terminato quando la band era già ufficialmente sciolta e quindi mai proposto dal vivo), i Mineral hanno deciso all’improvviso di riformarsi per il tempo di un tour, inizialmente americano e poi mondiale ; germe seminato e mai raccolto, le canzoni dei 4, ormai quarantenni, hanno passato gli ultimi 20 anni a vivere una vita propria, indipendente, sorprendentemente intensa, rissosa, a moltiplicarsi negli stereo e cd passati sottomano.
Finalmente ritrovarseli in carne ed ossa su un palco è un’occasione imperdibile, per me e per circa altri 100 ottimisti in questa serata parigina. Sul sito del gruppo sembra che molte delle date anglosassoni siano sold out, invece qua la cosa è rimasta molto intima, ma per una volta non me ne dispiaccio affatto. Ci sono i Mineral e le loro canzoni. Questo basta. Appena la band tocca la prima corda, un muro di suono senza tempo si alza ad avvolgere la serata. A differenza di tutti noi, le canzoni non hanno preso una ruga, i quattro musicisti sembrano non avere mai smesso di suonare insieme, il suono esce dritto dritto da quei Marshall che ho davanti eppure sembra che prima di arrivarmi alle orecchie si diverta a spolverare anni di amicizie, musica, esperienze, storie vissute e da raccontare. E non è solo nostalgia, perché i Mineral sembrano davvero volere affermare con forza e precisione il loro diritto a essere una delle migliori band degli ultimi 20 anni. La tensione emotiva del cantato; due chitarre dialettiche e complementari, in eterno bilico tra suoni rassicuranti e distorsioni che squarciano la sala trasformandosi in grida; un basso avvolgente e presente; una batteria che non si risparmia e detta i tempi; un’alternanza chirurgica e quasi dolorosa tra piano e forte; una gestione, spinta all’estremo, del limite e della sovrapposizione tra melodia e rumore: questi sono i Mineral . Anche il secondo disco “End Serenading”, epitaffio della band forse un po appesantito da una postproduzione postuma, riacquista freschezza e incisività, ora che finalmente, alla tenera età di 17 anni, scopre la sua dimensione live. I quattro sul palco dicono a malapena una parola durante tutto il set di due ore, ma non fa niente, ci sono le loro canzoni, ci sono sempre state eppure da quanto tempo le aspettavamo: let the music do the talk, please. Il me stesso che aveva 20 anni è euforico, il me stesso di oggi è felice, Gloria is silent, Glory is a silent thing (“Gloria- The Power of Failing”)

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