La Lettrice di Mezzanotte di Alice Ozma, una storia dolcissima di un padre e una figlia uniti dall'amore per i libri.
Alice, figlia di un bibliotecario di una scuola elementare e autrice del libro, ha nove anni quando, durante un viaggio in treno, fa un patto con suo padre Jim: ogni sera, per cento giorni, prima che scocchi la mezzanotte, lui leggerà per lei ad alta voce. Ma, una volta raggiunto il traguardo, Alice e Jim non riescono a fermarsi e continueranno fino a che la ragazza non andrà al college.
Il bello di questo libro è che è una storia VERA, che racconta gli attimi più significativi della vita di Jim e Alice ( ho apprezzato, soprattutto lui). Alcune storie sono tenere, altre divertenti e alcune anche molto tristi, come nella vita di tutti. Un'altra cosa cosa bella è stata vedere come nessuno dei due volesse saltare anche un solo giorno, immaginate che devozione? Nonostante il mio grandissimo amore per i libri, non credo sarei stata in grado di arrivare a tanto, soprattutto in un periodo strano come l'adolescenza.
Alice usa una scrittura semplice e fresca, che ti fa affezionare a questa famiglia particolarissima.
Nelle pagine si riflette molto sui vantaggi della lettura ad alta voce ai bambini e del fatto che bisogna fargli scegliere da soli (nei limiti) cosa vogliono leggere, perché dopo saranno loro a doverlo leggere, quindi meglio che sia una cosa che gli piaccia ed interessi.Sono stata contenta che dopo i problemi sul lavoro riscontrati da Jim il suo impegno e talento siano stati riconosciuti.
Il libro, inoltre, è ricco di citazioni e di titoli, che sicuramente vi verrà voglia di leggere, quindi in fondo c'è la bibliografia ;)
E' stata una lettura carina e interessante e anche molto divertente, come il brano che vi cito qui sotto.
Che ne pensate? Io vostri genitori hanno mai letto per voi? Lo fate per qualcuno?
C’erano alcune cose che la lettura e la Serie non potevano risolvere. Nonostante lo stupore di mio padre, Billy Whiskers non era la risposta alle paure che mi angosciavano. Anche dopo essermene sbarazzata pensai che JFK avrebbe sentito l’odore dell’inchiostro sulle mie mani, e quella sera mi lavai nella vasca con lo stesso zelo di Lady Macbeth. Corsi in camera mia a tutta velocità, e feci del mio meglio per passare oltre il letto di sotto senza guardarlo, tenendo gli occhi socchiusi per evitare anche solo di sbirciare quell’angolo. Saltai e, al sicuro sul mio trespolo, mi sporsi per guardare. Niente. Lessi per una o due ore, costringendomi a prendere sonno, finchè non ebbi la sensazione che le palpebre stessero scivolando verso il naso. Dopo mezzanotte papà mi gridò di spegnere la luce che riusciva a vedere dalla sua stanza, o almeno di chiudere la porta. Naturalmente non potevo, perché sarei dovuta scendere dal letto. E se l’avessi fatto avrei dovuto ricominciare la trafila da capo. Così diedi un’ occhiata dal lato del letto ancora una volta prima di spegnere la lampada, di tirarmi le coperte fin sopra la testa, e di piegare le gambe per non fare penzolare giù i piedi.
Al tempo non ero in grado di capirlo, ma occorreva una certa dose di creatività per restare sdraiati tremanti nel proprio letto, chiedendosi se i tuoi gatti sapranno come difenderti; e non dai fantasmi o dall’uomo nero, bensì dal cadavere immobile di uno dei più famosi e amati ex presidenti degli Stati Uniti. Grazie alla serie e a mio padre, l’immaginazione non mi mancava affatto.