Titolo: I Dragonieri di Pern/La cerca del drago (Pern #2)
Titolo originale: Dragonquest (Pern #2)
Autore: Anne McCaffrey
Editore: Nord
Pagine: 466
Anno: 1971
Giudizio: ★★★★☆
Sinossi
Ogni duecento anni il pianeta Pern viene sfiorato da uno strano corpo celesteche, propagando spore minacciose, distrugge tutto ciò con cui viene incontatto. Per scongiurare questa ciclica catastrofe i coloni hanno creato unanuova specie: i Draghi, possenti creature alate che solcano i cieli in unadimensione attraverso lo spazio e il tempo. Ma ultimamente i Fili invasori sembrano avere cambiato strategia: giungono dallo spazio interplanetario aintervalli sempre più imprevedibili e ciò rende sempre più difficileincontrarli a mezz’aria, a cavallo dei Draghi, per distruggerli. Ma, se i Draghi sono in grado di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo, perché non organizzare una spedizione sulla Stella Rossa per sbaragliare i nemici?
Nel momento in cui ho posato il primo volume di questa saga immensa, sapevo già con certezza che mi sarei fiondata sul secondo e che non lo avrei mollato fino alla sua conclusione. La cerca del drago è un romanzo che parla, sopra ogni altra cosa, di scoperte, scientifiche e personali, modulandone il racconto attraverso una maggiore focalizzazione su personaggi rimasti all’ombra di F’lar e Lessa, i protagonisti indiscussi del primo volume: F’nor, il fratello del comandante del Weyr di Benden, e Brekke, una delle Dame del Weyr di Fort. Mentre il loro rapporto evolve alla luce di un sentimento ancora acerbo, gli abitanti di Pern riscoprono le tecnologie dei coloni originari, vengono a conoscenza delle – adorabilissime, e ne voglio una grazie – lucertole di fuoco, s’ingegnano a loro volta in nuove invenzioni e si adoperano per recuperare conoscenze credute perdute. La lotta ai Fili è onnipresente, come ne Il volo del drago, ma questa volta il nocciolo della questione è politico piuttosto che organizzativo e ha il suo fulcro nell’acre dissenso scaturito tra due visioni contrastanti – quella dei Dragonieri e degli Antichi Dragonieri, portati nel tempo presente da Lessa. Non c’è una trama vera e propria (per questo non ho cercato di riassumerla, mica me ne son dimenticata!), quanto piuttosto un concatenarsi di piccoli episodi che suggeriscono più l’impressione di una quotidianità che non una vicenda con un inizio e una fine ben definiti – al solito, si conferma la mia regola personale in base alla quale il secondo libro è sempre un libro di passaggio, e di conseguenza è più brutto di tutti gli altri perché serve a collegare due momenti distinti. C’è stato persino un momento in cui mi sono chiesta se la McCaffrey avesse davvero ancora qualcosa da dire, sul suo universo, o se avesse scritto unicamente per il gusto di farlo. Il libro risente, in una certa misura, della mancanza della continua tensione che ha caratterizzato Il volo del drago, non fosse che, se non altro, la presenza delle lucertole di fuoco riequilibra in buona misura la marginalizzazione dei draghi veri e propri. Al di là di tutto è un bel libro, che si legge rapidamente e che in maniera un po’ goffa risponde un po’ a tutti i grandi interrogativi rimasti in sospeso alla conclusione del primo romanzo del ciclo. E, al contempo, non manca di aprirne altri, lasciando a Il Drago bianco il compito di trovar loro una giusta chiusura.
Un episodio particolarmente straziante? Il primo volo nuziale di Wirenth, compagna di Brekke. Difficile dimenticare la drammaticità di quelle pagine, dove lo strazio, la pena, la rabbia e la desolazione sono tratteggiate con una delicatezza strepitosa.